venerdì 5 giugno 2009

GUIDA AI 3 REFERENDUM ELETTORALI DEL 2009

Quando si vota
Il Governo italiano ha fissato per il 21 giugno 2009 lo svoglimento dei tre Referendum sulla riforma della Legge Elettorale e sull'abolizione delle candidature multiple.
I Referendum si svolgono con un anno di ritardo rispetto alla raccolta delle firme, a causa dello scioglimento del Parlamento italiano nella passata legislatura, accaduto in tempi troppo ravvicinati alla data dello svolgimento del referendum; la coincidenza è vietata dalla Costituzione.
Per cosa si vota
I cittadini italiani maggiorenni saranno chiamati ad esprimere il proprio parere sui seguenti tre quesiti:
1 - scheda di colore VERDE (premio di maggioranza alla lista più votata alla Camera dei Deputati) Votando SI si approva la modifica alla legge elettorale attuale nella parte in cui assegna il premio di maggioranza alla Camera dei Deputati, che verrebbe assegnato alla lista con più voti e non più, come ora, alla coalizione di partiti con più voti.Votando NO si lascia invariata la legge attuale.
2 - scheda di colore BIANCO (premio di maggioranza alla lista più votata al Senato della Repubblica)Votando SI si approva la modifica alla legge elettorale attuale nella parte in cui assegna il premio di maggioranza al Senato della Repubblica, che verrebbe assegnato alla lista con più voti e non più, come ora, alla coalizione di partiti con più voti.Votando NO si lascia invariata la legge attuale.
3- scheda di colore ROSSO (abolizione delle candidature multiple)Votando SI si vieta a qualsiasi candidato di essere presente su più circoscrizioni e si obbliga ognuno a scegliere in quale collegio/sezione elettorale candidarsi.Votando NO si lascia invariata la legge attuale.
Cosa cambia se passano i tre quesiti
Niente premio di maggioranza alle coalizioni, sia alla Camera che al Senato; divieto di candidarsi in più circoscrizioni. È quanto prevedono i tre quesiti referendari di Mario Segni e Giuseppe Guzzetta sulla legge elettorale.
Secondo l’attuale legge elettorale, a beneficiare del premio di maggioranza possono essere alternativamente liste o coalizioni di liste. I primi due quesiti referendari si propongono di abrogare l’assegnazione del premio di maggioranza alle coalizioni e la disciplina che permette il collegamento tra liste. In caso di vittoria dei referendari, il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola, e non più alla coalizione di liste, che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Di conseguenza, verrebbero innalzate le soglie di sbarramento, che sarebbero del 4% per la Camera e dell’8% per il Senato.
Resterebbero in vigore, invece, le norme sull’indicazione del “capo della forza politica” e quelle sul programma elettorale. Il sistema elettorale prodotto dai referendum dovrebbe, nelle intenzioni dei referendari, spingere verso il bipartitismo, con tutela per le minoranze più rilevanti. Il terzo quesito, infine, intende cancellare la possibilità per il candidato eletto in più circoscrizioni di optare per uno dei seggi ottenuti, consentendo ai primi dei non eletti di subentrargli. Se passerà il quesito referendario verrà abrogata la possibilità di candidature multiple alla Camera e al Senato.E sui referendum gli schieramenti politici hanno posizioni molto variegate.
Chi è per il Sì
Secondo il ministro leghista Roberto Calderoli il successo del referendum “non lo vuole nessuno tranne Gianfranco Fini e la parte del Pdl proveniente da Alleanza Nazionale”. A cui si aggiungono, ovviamente, Giovanni Guzzetta e Mario Segni come comitato promotore del referendum. Al quale sono politicamente iscritti Antonio Di Pietro (e la sua Idv), Arturo Parisi, esponente del Pd. A proposito, i Democratici, riuniti in direzione, hanno infine deciso di votare sì. Ma – si spiega – benché a cambiare l’attuale legge si sono detti tutti i membri della direzione, ci sono stati cinque che hanno votato contro e quattro che si sono astenuti. In vero, nel Pd le voci che si sono levate contro la consultazione referendaria non sono state poche. Se la radicale e vicepresidente del Senato, Emma Bonino arriva a parlare di “golpe in caso di rinvio”, l’ex leader della Margherita, Francesco Rutelli, si schiera apertamente per il no ai quesiti: “Io credo che il bipartitismo consegnerebbe l’Italia al populismo della destra e quello che uscirebbe dal referendum sarebbe peggio di quello che abbiamo oggi”. Curiosa la posizione di Luciano Violante, ex presidente della Camera ed esponente del Pd, che esprime un doppio no: a quesito e a rinvio. Per Violante “il referendum non è contro la legge Calderoli, ma la rafforza: la vittoria del sì ne confermerebbe i tre caratteri principali: la sottrazione ai cittadini del potere di scegliere i parlamentari, il sistema proporzionale; il premio di maggioranza”.
Chi è per il No
Non sono pochi coloro che all’interno delle forze politiche si proclamano esplicitamente contrari alla consultazione. Siccome il referendum, se avesse successo, favorirebbe le grandi forze mentre le piccole perderebbero gran parte del loro potere d’interdizione, tra i contrari ci sono l’Udc di Pier Ferdinando Casini, Rifondazione, l’Udeur di Clemente Mastella e prossoché l’intera area della sinistra massimalista. Oltre al Carroccio.
Ma anche il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. Proprio lo stesso presidente dei deputati ha spiegato le perplessità di fronte ad un referendum con cui il Pdl “potrebbe andare a nozze”, ma le cui ragioni di semplificazione “sono venute meno” da quando i gruppi parlamentari si sono ridotti a cinque. La vittoria dei sì produrrebbe infatti, secondo Cicchitto, una legge per la quale Dario Franceschini griderebbe alla “fascistizzazione dello Stato” se fosse venuta dal Pdl. Comunque sull’ipotesi slittamento al 2010 la posizione ufficiale del Pd, che pure lamenta di non essere stato consultato, si dice “disponibile con la condizione, giuridicamente e politicamente irrinunciabile, che vi sia il necessario e preventivo assenso da parte dei promotori del referendum”.
La questione costi
L’accusa che il centrosinistra ha lanciato contro la maggioranza e il governo è che avendo rinunciato all’election day il 7 giugno, per colpa di Bossi che avrebbe ricattato l’esecutivo di aprire la crisi. E che i costi ai danni dell’erario ammontano così 460 mln di euro. Numeri smentiti dal premier Silvio Berlusconi che da L’Aquila ha parlato di “cifre assolutamente inferiori”. Parole a cui ha replicato il segretario del Pd, Dario Franceschini: “Si stanno arrampicando sugli specchi perché la cifra è quella, ma anche se fosse un solo milione, sarebbe assurdo buttarlo dalla finestra su ricatto di Bossi, in un momento in cui servono risorse”. Costi che per il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, dovrebbero accollarsi Guzzetta e Segni: “Andrebbero messi a carico dei referendari”.Parole che gli sono valse la reprimenda del presidente, e professore universitario del comitato promotore, Giovanni Guzzetta: “Tremonti è ignorante, nel senso che ignora i fondamentali del diritto costituzionale”.
ilcorsarorosso

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