venerdì 27 novembre 2009

Modello per il Rimborso dell’ IVA sulla Tassa Rifiuti “TIA”

La Corte Costituzionale con la sentenza 238/2009 ha sancito che la TIA è una tassa e pertanto non può essere applicata l’IVA.
Bisogna controllare attentamente la bolletta: se è stata applicata l'Iva (nella misura del 10%) sulle voci di raccolta e smaltimento rifiuti, si può richiederne il rimborso immediato!!
L’aggravio dell’IVA sul pagamento della tassa rifiuti è illegittima da ciò ai cittadini italiani deve essere restituita l’IVA pagata per la tassa rifiuti negli ultimi dieci anni.
Ma per i risarcimenti si rischia di ottenerli alle calende greche se il Governo non dà attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale; nel frattempo, tutte le più importanti Associazioni di Consumatori si sono mobilitate iniziando a mettere sotto pressione i Comuni o le società di gestione che sul territorio con puntualità inviano ai cittadini le fatture sulla TIA ancora con l'applicazione dell'IVA, come se nulla fosse. I Comuni e le società di gestione dei rifiuti, non a caso, sostengono che, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, nulla sia cambiato; ed in verità è tutto vero, visto che occorre dare attuazione alla sentenza. Ma nel frattempo i cittadini, anche per preservarsi dalla prescrizione debbono necessariamente mobilitarsi.
E allora, cosa bisogna fare?
Innanzitutto bisogna controllare di avere tutte le ricevute di pagamento relative alla TIA, facendo attenzione che, nelle relative fatture, sia stata effettivamente addebitata l’IVA.
Per richiedere il rimborso e la cessazione immediata dell’applicazione dell’IVA, per gli aventi diritto basterà recarsi presso uno degli sportelli delle associazioni di categorie del vostro paese, ma per chi ama risolvere direttamente i propri problemi, di seguito riporto uni schema indicativo di domanda da presentare al più presto per non incorrere nella prescrizione decennale.
Spett.le *___________________________
_____________________________
_____________________________
Raccomandata A/R
Spett.le*____________________________
_____________________________
_____________________________
Raccomandata A/R

Oggetto: richiesta di rimborso dell’IVA relativa al pagamento della Tariffa di Igiene Ambientale/ Tassa di Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani.
Il/la sottoscritto/a___________________________________________________, nato/a a __________________________________, il___________________________, C.F.:__________________________e residente in_____________________, Via/P.zza _______________________ numero________ cap.____________,
in qualità di **: ____________________ dell’immobile sito in _____________________, Via/P.zza_______________________________________n.______________, iscritto al Catasto del Comune di____________________________, Sezione________________, Foglio_________, Particella___________, Sub___________, Zona____________, Categoria___________, Classe___________;

PREMESSO CHE
ha regolarmente corrisposto per i/il suddetti/o immobili/e la TARSU/TIA comprensiva di Iva al 10%, come da fatture allegate alla presente.
Con la Sentenza numero 238/2009 la Corte Costituzionale ha rilevato la natura tributaria di TARSU e TIA. Non esiste, del resto, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti […]. Se, poi, si considerano gli elementi autoritativi, propri sia della TARSU che della TIA, entrambe le entrate debbono essere ricondotte nel novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006; come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 16 settembre 2008, in causa C-288/07) esclude in via generale dall'assoggettamento ad IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità».”
ha di fatto inequivocabilmente escluso l’imponibilità ai fini IVA di codesta Tassa o Tariffa.
Ne consegue che l’Iva addebitata al sottoscritto e documentata dalle fatture in allegato risulta indebitamente corrisposta quindi

CHIEDE

1. Il rimborso di quanto versato e non dovuto come da tabella riepilogativa allegata, con riferimento agli ultimi dieci anni, oltre agli interessi legali decorrenti dal giorno dei singoli pagamenti;
2. l'immediata cancellazione dalle future fatture e dai ruoli della suddetta voce nonché la comunicazione alla società di riscossione ai fini dell'eventuale sgravio.
Si rimane in attesa di un Vostro riscontro, entro e non oltre novanta giorni dal ricevimento della presente, con l’avvertimento che, decorso inutilmente tale termine, il sottoscritto si vedrà costretto ad adire la competente Autorità Giudiziaria per la tutela dei propri diritti.
La presente vale ad ogni effetto di legge quale formale diffida e messa in mora, anche ai fini interruttivi della prescrizione.
_________________________, lì _________________ Firma

Riepilogo Fatture:
Anno _____ Fattura n. ______ Importo ________

Anno _____ Fattura n. ______ Importo ________

Anno _____ Fattura n. ______ Importo ________

Anno _____ Fattura n. ______ Importo ________
totale fatture ______ Iva versata __________

Totale Iva versata _________
Allegati:
- copia fattura n._________ del __________;
- copia fattura n._________ del __________;
- copia fattura n._________ del __________;
- copia fattura n._________ del __________;

* Compilare alternativamente a seconda di chi vi ha fatturato la TARSU/TIA: Comune, Gestore privato o azienda municipalizzata.
** Per ogni immobile di cui si chiede il rimborso dell’Iva versata, indicate la vostra qualifica (ad esempio proprietario, affittuario…) e riportate gli estremi catastali dell’immobile che trovate sulla visura catastale o sugli atti del notaio.

- Elencare le copie delle fatture che si allegano riportandone il numero e l’anno di versamento, ricordando di allegare tutte le fatture emesse nello stesso anno in caso di pagamento frazionato.
- Elencate le fatture che allegate indicando l’anno di pagamento, il numero della fattura, l’importo totale della stessa e l’Iva versata, inserendo il totale nell’ultimo rigo della tabella, in corrispondenza della colonna relative all’IVA.

lunedì 23 novembre 2009

Patrocinio gratuito a spese dello Stato


Spesso non si sa come attivare un servizio a cui si ha diritto e non si riesce a beneficiarne solo perchè non si trovano le istruzioni minime per evitare che la pubblica amministrazione risponda con incomprensibili divieti o rifiuti privi di ogni buon senso.
Al fine di essere rappresentate in giudizio sia per agire che per difendersi, le persone non abbienti possono richiedere la nomina di un avvocato e la sua assistenza a spese dello Stato, usufruendo dell'istituto del Patrocinio a spese dello Stato.
(artt. dal 74 al 141 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – D.P.R. 30/05/2002, n. 115).
Per essere ammessi al Patrocinio a spese dello Stato è necessario che il richiedente sia titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.723,84.
Se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante.
Eccezione: si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
Nel solo ambito dei procedimenti penali, la regola che impone la somma di tutti i redditi prodotti dai componenti della famiglia è contemperata dalla previsione di un aumento del limite di reddito che, a norma dell'art.92 del T.U., è elevato ad euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi.


Patrocinio a spese dello Stato in materia civile

Il patrocinio a spese dello Stato può essere concesso nell'ambito dei giudizi civili, amministrativi, contabili o tributari già pendenti ed anche nelle controversie civili, amministrative, contabili o tributarie per le quali si intende agire in giudizio.
Purché le loro pretese non risultino manifestatamene infondate possono richiederlo:
- i cittadini italiani;
- gli stranieri, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare;
- gli apolidi;
- gli enti o associazioni che non perseguano fini di lucro e non esercitino attività economica.
L'ammissione può essere richiesta in ogni stato e grado del processo ed è valida per tutti i successivi gradi del giudizio. Se la parte ammessa al beneficio rimane soccombente, non può utilizzare il beneficio per proporre impugnazione.
Dove si presenta la domanda di ammissione in ambito civile Presso la Segreteria del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, competente rispetto al:
- luogo dove ha sede il magistrato davanti al quale è in corso il processo;
- luogo dove ha sede il magistrato competente a conoscere del merito, se il processo non è ancora in corso;
- luogo dove ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato per i ricorsi in Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti.
Modalità di presentazione della domanda al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati
I moduli per le domande sono disponibili presso le stesse Segreterie del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati. La domanda deve essere presentata personalmente dall'interessato con allegata fotocopia di un documento di identità valido, oppure può essere presentata dal difensore che dovrà autenticare la firma di chi sottoscrive la domanda. Può essere inviata a mezzo raccomandata a.r. con allegata fotocopia di un documento di identità valido del richiedente.
La domanda, sottoscritta dall'interessato, va presentata in carta semplice e deve indicare:
- la richiesta di ammissione al patrocinio;
- le generalità anagrafiche e codice fiscale del richiedente e dei componenti il suo nucleo familiare;
- l'attestazione dei redditi percepiti l'anno precedente alla domanda (autocertificazione);
- l'impegno a comunicare le eventuali variazioni di reddito rilevanti ai fini dell'ammissione al beneficio;
- se trattasi di causa già pendente;
- la data della prossima udienza;
- generalità e residenza della controparte;
- ragioni di fatto e diritto utili a valutare la fondatezza della pretesa da far valere;
- prove (documenti, contatti, testimoni, consulenza tecniche, ecc. da allegare in copia).
Il Consiglio dell'Ordine dopo il deposito della domanda:
- Valuta la fondatezza delle pretese da far valere e se ricorrono le condizioni per l'ammissibilità,
- entro 10 giorni emette uno dei seguenti provvedimenti:
- accoglimento della domanda
- non ammissibilità della domanda
- rigetto della domanda
- trasmette copia del provvedimento all'interessato, al giudice competente e all'Ufficio delle Entrate , per la verifica dei redditi dichiarati.
Dopo il provvedimento di ammissione, l'interessato può nominare un difensore, scegliendo il nominativo dall'Elenco degli Avvocati abilitati alle difese per il patrocinio a spese dello Stato appositamente approntati dai Consigli degli Ordini degli Avvocati del distretto della competente Corte di Appello.
Nel in cui la domanda non viene accolata, l'interessato può proporre la richiesta di ammissione al giudice competente per il giudizio, che decide con decreto.
In caso la decisione da parte del Consiglio dell'Ordine non pervenga entro termini ragionevoli, l'interessato può inviare una nota al Consiglio dell'Ordine stesso e per conoscenza al Ministero della Giustizia – Dipartimento Affari di Giustizia – Direzione Generale della Giustizia Civile- Ufficio III.

Esclusione dal patrocinio in ambito civile


Il beneficio non è ammesso nelle cause per cessione di crediti e ragioni altrui (salvo se la cessione appaia fatta in pagamento di crediti o ragioni preesistenti).
Patrocinio a spese dello Stato in materia penale
Per essere ammessi al Patrocinio a spese dello Stato, anche in ambito penale è necessario che il richiedente sia titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.723,84.
Se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante.
La regola che impone la somma di tutti i redditi prodotti dai componenti della famiglia è, in questo caso, contemperata dalla previsione di un aumento del limite di reddito che, a norma dell'art.92 del T.U., è elevato ad euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi.


Chi può richiedere l'ammissione in ambito penale


- i cittadini italiani;
- gli stranieri e gli apolidi residenti nello Stato;
- indagato, imputato, condannato, offeso dal reato, danneggiato che intendano costituirsi parte civile, responsabile civile o civilmente obbligato per l'ammenda;
- da chi (offeso dal reato – danneggiato) intenda esercitare azione civile per risarcimento del danno e restituzioni derivanti da reato.
L'ammissione può essere richiesta (e se concessa è valida) per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure derivante ed incidentali, comunque connesse, salvo nella fase dell'esecuzione, nel procedimento di revisione, nei processi di revocazione e opposizione di terzo, nei processi relativi all'applicazione di misure di sicurezza o di prevenzione o per quelli di competenza del tribunale di Sorveglianza (in questi casi occorre presentare autonoma richiesta di ammissione al beneficio).
Dove si presenta la domanda di ammissione in ambito penale
Presso l'Ufficio del magistrato davanti al quale pende il processo e quindi:
- alla cancelleria del G.I.P., se il procedimento è nella fase delle indagini preliminari;
- alla cancelleria del giudice che procede, se il procedimento è nella fase successiva
- alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, se il procedimento è davanti alla Corte di Cassazione.
Modalità di presentazione della domanda presso gli Uffici giudiziari
La domanda deve essere presentata personalmente dall'interessato con allegata fotocopia di un documento di identità valido, oppure può essere presentata dal difensore che dovrà autenticare la firma di chi sottoscrive la domanda. Può, inoltre, essere presentata dal difensore direttamente in udienza. Potrà anche essere inviata a mezzo raccomandata a.r. con allegata fotocopia di un documento di identità valido del richiedente.
La domanda, sottoscritta dall'interessato, va presentata in carta semplice e deve indicare:
- la richiesta di ammissione al patrocinio;
- le generalità anagrafiche e codice fiscale del richiedente e dei componenti il suo nucleo familiare;
- l'attestazione dei redditi percepiti l'anno precedente alla domanda (autocertificazione);
- l'impegno a comunicare le eventuali variazioni di reddito rilevanti ai fini dell'ammissione al beneficio.
Se il richiedente è detenuto, la domanda può essere presentata al direttore dell'istituto carcerario;
se è agli arresti domiciliari o sottoposto a misura di sicurezza ad un ufficiale di polizia giudiziaria. Questi soggetti ne curano la trasmissione al magistrato che procede;
se il richiedente è straniero (extracomunitario), per i redditi prodotti all'estero, la domanda deve essere accompagnata da una certificazione dell'autorità consolare competente che attesti la verità di quanto dichiarato nella domanda (in caso di impossibilità, quest'ultima può essere sostituita da autocertificazione).
Se l'interessato straniero è detenuto, internato per esecuzione di misura di sicurezza, in stato di arresto o di detenzione domiciliare, la certificazione consolare può essere prodotta entro venti giorni dalla data di presentazione dell'istanza, dal difensore o da un componente della famiglia dell'interessato (oppure sostituita da autocertificazione).
Cosa può decidere il giudice competente dopo la presentazione della domanda
Entro 10 giorni, da quando è stata presentata la domanda o da quando è pervenuta (o anche immediatamente, se l'istanza è presentata in udienza) il giudice competente verifica l'ammissibilità della domanda e può decidere in uno dei seguenti modi:
- può dichiarare l'istanza inammissibile
- può accogliere l'istanza
- può respingere l'istanza.
Sulla domanda il giudice decide con decreto motivato che viene depositato in cancelleria. Del deposito viene dato avviso all'interessato. Se detenuto, il decreto gli viene notificato. Se l'ammissione è chiesta in udienza, il giudice provvede immediatamente e la lettura del decreto sostituisce l'avviso di deposito se l'interessato è presente. In ogni caso, copia della domanda e del decreto che decide sull'ammissione al beneficio sono trasmesse all'Ufficio delle Entrate territorialmente competente per la verifica dei redditi dichiarati.
Cosa produce l'accoglimento dell'istanza
L'interessato può scegliere un difensore di fiducia tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello stato tenuti presso il Consiglio dell' Ordine del distretto della competente Corte di Appello e, nei casi previsti dalle legge, può nominare un consulente tecnico e un investigatore privato autorizzato.
Cosa si può fare se la domanda viene rigettata
Contro il provvedimento di rigetto, l'interessato può presentare ricorso al presidente del Tribunale o della Corte di Appello entro 20 giorni dal momento in cui ne è venuto a conoscenza. Il ricorso è notificato all'Ufficio delle Entrate. L'ordinanza che decide sul ricorso è notificata entro 10 giorni all'interessato e all'Ufficio delle Entrate che, nei 20 giorni successivi, possono proporre ricorso in Cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato.


Esclusione dal patrocinio in ambito penale


Il beneficio non è ammesso:
- nei procedimenti penali per evasione di imposte;
- se il richiedente è assistito da più di un difensore



DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DELLE CERTIFICAZIONI RICHIESTE
DAL D.P.R. N. 115/02 SUL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO.
(art. 46 del D.P.R. 28.12.2000 n. 445)



Il/la sottoscritto/a ………………………………………………….., nato a …………………………
il ………………………, prov. ………. Cod. fisc…………………………………………, attualmente residente a…………………………….prov. (…….), Via ………………………….n. …,
avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 46 del D.P.R. 28.12.2000 n.445 e nella piena consapevolezza della responsabilità penale a carico di chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso o esibisce un atto contenente dati non più veritieri, ai sensi dell’ art. 76 del D.P.R 28.12.2000 n. 445, del codice penale e delle leggi speciali in materia,
dichiara
sotto la propria personale responsabilità:
• di aver svolto nel corso del 2008 l’attività di ………………………………………., alle dipendenze di ……………………………………., e di aver percepito un reddito imponibile pari ad € ……………………………………………………..;
• di essere stato/a disoccupato/a e di non aver percepito alcun reddito.
(barrare la casella che interessa)
Venezia, li ……………………………………
IL DICHIARANTE
…………………………………………………
il dichiarante è stato identificato con
……………………………………..

CONCILIAZIONE arriva la "Mediazione Civile"

LA CONCILIAZIONE - E' una procedura in cui un terzo professionista neutrale, imparziale e specificamente preparato, assiste le parti in lite aiutandole a trovare una soluzione negoziata che sia soddisfacente per entrambe.
Il conciliatore è privo di qualsiasi potere decisionale, sicché il suo ruolo è profondamente differente da quello del giudice o dell'arbitro
I vantaggi della conciliazione sono evidenti e tangibili, in quanto consente la risoluzione della vertenza per via negoziale, garantisce l'estrema riservatezza verso i terzi, contiene al massimo i costi sia in termini economici che di tempo, ma soprattutto aiuta le parti a mantenere i loro rapporti per il futuro.
Del tutto innovativa sarà la "Mediazione Civile". Una rivoluzione nei rapporti cittadino giustizia.
E’ stato approvato, su proposta dal Ministro della giustizia, Angelino Alfano, uno schema di decreto legislativo che, in attuazione della delega conferita al Governo dalla legge n. 69 del 2009 in materia di processo civile, riforma la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione di tutte le controversie in materia civile e commerciale, con obiettivi di deflazione e di diffusione della cultura del ricorso a soluzioni alternative.
Lo schema di decreto, inoltre, adegua la legislazione ad alcune norme comunitarie che disciplinano la mediazione. Il provvedimento sarà trasmesso alle Commissioni parlamentari per il parere.
Con le parole del Ministro:
"La mediazione ha lo scopo di facilitare l'accordo tra le parti tra le quali e' insorta una controversia per evitare che le parti vadano davanti al giudice "La mediazione e' il tentativo operato da un soggetto specializzato terzo indipendente altamente qualificato vigilato dal Ministero di Giustizia tentativo tendente ad ottenere una conciliazione tra le parti.
Lo scopo di fondo e' quello di non mandare tutto e sempre in Tribunale.
La filosofia e' che ci siano soluzioni alle controversie che non debbano necessariamente dichiarare uno sconfitto e un vincitore.
Si può fare per tutti i diritti disponibili in materia commerciale.
"Si deve fare in un catalogo di situazioni: condominio, locazione, responsabilità da colpa medica, contratti assicurativi, bancari finanziari: la mediazione è obbligatoria e diventa condizione di procedibilità”.
"Conseguenze se le parti non accettano la mediazione: se in giudizio il giudice attribuisce giustizia facendo propria nella sostanza la decisione del mediatore, la parte che l'ha rifiutata dovrà pagare spese, costi e tasse aggiuntive.
Due tipi di mediazione: quella "facilitativa, nel caso in cui le parti siano aiutate a raggiungere un accordo anche amichevole sul loro rapporto in funzione dei rispettivi interessi; aggiudicativa, quando viene proposta una risoluzione delle controversie distribuendo torti o ragioni.


Questo: Art. 60. (Delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale.
2. La riforma adottata ai sensi del comma 1, nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai princìpi e criteri direttivi di cui al comma 3, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi alle Camere, ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 1 o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di sessanta giorni.
3. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia; b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione;
c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione, di seguito denominato «Registro», vigilati dal medesimo Ministero, fermo restando il diritto delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell'articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ad ottenere l'iscrizione di tali organismi nel medesimo Registro;
d) prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;
e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli;
f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro;
g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali;
h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro;
i) prevedere che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche;
l) per le controversie in particolari materie, prevedere la facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell'albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, i cui compensi sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali;
m) prevedere che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti;
n) prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
o) prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale, assicurando, al contempo, l'invarianza del gettito attraverso gli introiti derivanti al Ministero della giustizia, a decorrere dall'anno precedente l'introduzione della norma e successivamente con cadenza annuale, dal Fondo unico giustizia di cui all'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181;
p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell'articolo 9 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115;
q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi;
r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l'indipendenza e l'imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;
s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

giovedì 19 novembre 2009

Detrazioni Fiscali per i figli a carico

Il genitore non affidatario non ha diritto alla detrazione a fronte dell’obbligo di sostenere spese per il mantenimento dei figli. Per il genitore non affidatario la norma potrebbe risultare particolarmente penalizzante in quanto tenuto al mantenimento dei figli mediante un assegno che, per le norme tributarie non fruisce di beneficio fiscale. Con la nuova disposizione il genitore non affidatario sostiene un onere che incide sulla capacità contributiva.
La regola di ripartizione al 50% subisce rilevanti modifiche in caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, con affidamento dei figli a un unico genitore o con affidamento congiunto o condiviso. In tale ipotesi, la nuova normativa prevede che, salvo accordo contrario, la detrazione spetta per intero al genitore affidatario, o al 50% in caso di affidamento congiunto. Inoltre: ove il genitore affidatario ovvero, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione, la detrazione è assegnata per intero al secondo genitore. In quest’ultimo caso, salvo diverso accordo fra le parti, il secondo genitore è tenuto a riversare all’altro genitore affidatario un importo pari all’intera detrazione ovvero, in caso di affidamento congiunto, pari al 50% della detrazione stessa.
La legge finanziaria per il 2007 ha modificato l’art.12 del TUIR, nel seguente modo:
“…La detrazione è ripartita nella misura del 50 per cento tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati ovvero, previo accordo tra gli stessi, spetta al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato. In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50 per cento tra i genitori. Ove il genitore affidatario ovvero, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione, per limiti di reddito, la detrazione è assegnata per intero al secondo genitore. Quest’ultimo, salvo diverso accordo tra le parti, è tenuto a riversare all’altro genitore affidatario un importo pari all’intera detrazione ovvero, in caso di affidamento congiunto, pari al 50 per cento della detrazione stessa. In caso di coniuge fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione compete a quest’ultimo per l’intero importo. Se l’altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, ovvero se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, per il primo figlio si applicano, se più convenienti, le detrazioni previste alla lettera a);
Non mi sembrano sussistere dubbi sul fatto che, in mancanza di specifico accordo, la detrazione spetti al coniuge affidatario. Addirittura, in caso di impossibilità per il genitore affidatario di usufruire della detrazione, la norma prevede che può usufruirne l’altro coniuge che,però, deve riversarla al coniuge affidatario. Il nuovo testo, però, è in vigore dal 1° gennaio 2007. C’è da dire che la tesi dell’Agenzia, precedente il nuovo art.12 del TUIR, è frutto di una interpretazione, se vogliamo anche labile, che si basa sul collegamento con una circolare che si esprime in termini alquanto generici. A favore del contribuente c’è, invece, il peso, nella gerarchia delle fonti, di un atto avente forza di legge, che, sebbene possa disporre solo per il futuro, può servire a misurare anche per il passato le varie tesi interpretative,anche considerando una estensiva applicazione del principio del “favor rei” di cui all’art. 3 del Decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 472.
Riporto alcune domante poste all’agenzia delle entrate … con relative risposte:
Genitori separati
D Si chiedono chiarimenti in merito alle istruzioni al Modello 730/2008 per quanto concerne la ripartizione della detrazione per figli a carico tra genitori separati. In particolare, si chiede se il riferimento ai "limiti di reddito" del genitore affidatario (ovvero di uno dei due genitori affidatari, in caso di affidamento congiunto) debba essere inteso come reddito piu' elevato, oppure possa riferirsi anche al caso in cui il genitore affidatario non riesca a fruire della detrazione in quanto, pur avendo un reddito maggiore dell'altro genitore, sia in possesso di oneri deducibili e/o detraibili tali da azzerare l'imposta.
R Premesso che per i genitori legalmente ed effettivamente separati la ripartizione della detrazione per figli a carico e' diversamente disciplinata dalla lett. c), comma 1, dell'art. 12 del Tuir, a seconda che sia stabilito o meno l'affidamento congiunto dei figli, si fa presente che, in base all'interpretazione della disposizione suddetta fornita dalla scrivente nella circolare n. 15 del 2007, sono individuabili le seguenti fattispecie:
a) nel caso di affidamento ad un solo genitore, la detrazione spetta interamente a quest'ultimo salvo la possibilita' di accordo per suddividere la detrazione al 50 per cento tra i genitori oppure per attribuire l'intera detrazione al genitore che ha il reddito piu' elevato;
b) nel caso, invece, di affidamento congiunto o condiviso la detrazione e' ripartita, nella misura del 50 per cento tra i genitori salvo la possibilita' di accordarsi per attribuire l'intera detrazione al genitore con il reddito piu' elevato.
Questa interpretazione e, in particolare, la fissazione della detrazione secondo percentuali prefissate (50 per cento e 100 per cento), nonche' il riferimento al "reddito piu' elevato", si e' resa necessaria al fine di evitare ingiustificate discriminazioni tra i genitori separati e quelli non separati.
Pertanto, la detrazione per figli a carico non puo' piu' essere ripartita liberamente tra i genitori separati.
Al di fuori delle ipotesi suddette, l'art. 12, comma 1, lett. c) del Tuir, stabilisce una diversa disciplina nel caso in cui il genitore originariamente beneficiario della detrazione per figli a carico (il genitore affidatario ovvero, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari) non possa fruire in tutto o in parte della detrazione per limiti di reddito.
In tal caso la norma stabilisce che la detrazione non fruita possa essere attribuita, per intero, in favore dell'altro genitore e che quest'ultimo sia tenuto a riversare all'altro genitore un importo pari all'intera detrazione ovvero, in caso di affidamento congiunto, pari al 50 per cento della detrazione stessa, salvo la possibilita' di accordarsi diversamente.
Come evidenziato nella richiamata circolare n. 15 del 2007, il riferimento della norma all'impossibilita' di "usufruire della detrazione per limite di reddito" individua l'ipotesi in cui il genitore, originariamente destinatario del beneficio della detrazione per figli a carico ai sensi dell'art. 12 del Tuir, non possa di fatto fruirne, in tutto o in parte, a causa di una imposta incapiente.
Pertanto, la fattispecie presa in considerazione dalla norma e la possibilita', quindi, di devolvere la detrazione per intero all'altro genitore, ricorre anche nell'ipotesi in cui il genitore, originariamente affidatario, pur avendo un reddito piu' elevato rispetto a quello dell'altro genitore, non possa fruire della detrazione in quanto in possesso di oneri deducibili e/o detraibili tali da azzerare l'imposta.
In sostanza, la possibilita' di attribuire la detrazione al genitore con reddito piu' basso e' riconosciuta esclusivamente ai genitori separati e limitatamente alla ipotesi in cui l'altro genitore non possa fruirne per incapienza dell'imposta.
Quindi in conclusione:
La detrazione per figli a carico non può essere ripartita liberamente tra i genitori separati. La circolare spiega che, nel caso di affidamento ad un solo genitore, essa spetterà interamente a quest'ultimo, salvo la possibilità di accordo per suddividere la detrazione al 50% tra i genitori oppure per attribuire l'intera detrazione al genitore che ha il reddito più elevato.
In caso, invece, di affidamento congiunto, la detrazione è ripartita nella misura del 50 per cento tra i genitori salvo la possibilità di accordarsi per attribuire l'intera detrazione al genitore con il reddito più elevato. Solo nel caso in cui il genitore originariamente beneficiario della detrazione non può fruirne per limiti di reddito, la detrazione non fruita può essere attribuita, per intero, in favore dell'altro genitore. Quest'ultimo dovrà in tal caso riversare all'altro genitore un importo pari all'intera detrazione (o, in caso di affidamento congiunto pari al 50% della detrazione), salvo la possibilità di accordarsi diversamente. La possibilità di attribuire la detrazione al genitore con reddito con reddito più basso è, in sostanza, riconosciuta esclusivamente ai genitori separati e limitatamente nel caso in cui l'altro genitore non possa fruirne per incapienza dell'imposta.
Ancora in tema di detrazioni per figli a carico la circolare si sofferma sui requisiti e sulla documentazione necessaria per poterne fruire, nel caso si sia residenti in un paese comunitario. La Finanziaria 2007 ha infatti attribuito anche ai soggetti non residenti, limitatamente agli anni 2007, 2008 e 2009, le detrazioni per carichi di famiglia. Esse spettano però a condizione che i soggetti richiedenti dimostrino che le persone alle quali le detrazioni si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore, al lordo degli oneri deducibili, a 2.840,51 euro, compresi i redditi prodotti al di fuori del territorio dello Stato. E' inoltre richiesto che il soggetto richiedente non goda nel Paese di residenza, o in altro, di benefici fiscali connessi ai carichi di famiglia.
Quanto all'ulteriore detrazione introdotta per le famiglie con almeno quattro figli a carico, il documento spiega che non rilevano gli accordi intervenuti tra i genitori relativamente alla detrazione ordinaria: l'ulteriore detrazione, pari a 1.200 euro, è comunque ripartita tra gli stessi al 50 per cento. Se però la percentuale di carico varia durante l'anno, sarà necessario calcolare la media ponderata delle percentuali.
Le detrazioni fiscali per i figli a carico, per ragioni di evidente equità sociale, non possono che spettare, salvo diverso accordo tra i coniugi, al genitore affidatario che ha, nella maggior parte dei casi, effettivamente ed esclusivamente i figli a proprio esclusivo carico.
Riporto di seguito alcuni pareri e quesiti....
4 Dicembre 2008 - di Alfredo Matranga - www.diritto.it - Prima importante applicazione, da parte della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sentenza n. 477 del 12.11.08, della II sezione), della norma prevista dalla Finanziaria 2007 (comma 6, articolo unico, legge n. 296/06) in materia di detrazioni per i figli a carico, secondo cui in caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione (per i figli a carico) spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario.
La questione al vaglio della Commissione riguardava l’impugnazione di una cartella esattoriale con cui era stato ingiunto al ricorrente il pagamento di € 379,87 per la presunta illegittima detrazione fiscale totale (100%) per il figlio allo stesso affidato dal Tribunale in sede di separazione giudiziale. Tale detrazione a parere dell'Amministrazione finanziaria poteva essere riconosciuta al ricorrente solo nella misura del 50%, poiché la sentenza di separazione aveva solo affidato e non posto a carico di uno dei due coniugi i figli, con la conseguenza che le detrazioni fiscali spettavano ad entrambi in eguale misura.
Al contrario, la Commissione Tributaria ha ritenuto fondato nel merito il ricorso poiché l’Ufficio non ha fornito alcuna prova che i figli del ricorrente, allo stesso affidati dal Tribunale, sono rimasti anche a carico del coniuge separato.
In conclusione, la Commissione Tributaria di Lecce, richiamando anche la Legge Finanziaria 2007, ha affermato l’importante principio in base al quale le detrazioni fiscali per i figli a carico, per ragioni di evidente equità sociale, non possono che spettare, salvo diverso accordo tra i coniugi, al genitore affidatario che ha, nella maggior parte dei casi, effettivamente ed esclusivamente i figli a proprio esclusivo carico.
Avv. Alfredo Matranga
Quesito: Detrazione figli a carico coniugi separati - Pubblicato su 8 Luglio 2007 da ascomprocida
a cura di Giorgio Di Dio – Isola di Procida
QUESITO
Separazione tra coniugi i figli vengono affidati alla mamma con assegno di mantenimento a carico del papà. La mamma inserito la detrazione per i figli al 100%. L’ufficio ha rettificato il mod. 730 per la quota 50% detratta con la motivazione: Le detrazioni per i figli spettano al 50% perchè ne ha beneficiato il coniuge nella sua dichiarazione l’altra metà. A me sembra carente la motivazione in quanto l’ufficio, a cui è stato consegnato la copia della separazione, non fa menzione dell’atto di affidamento stabilito dal giudice. Inoltre il papà non partecipa alle spese mediche dei figli cosi come stabilito invece dalla sentenza di separazione ed a tale proposito ci sono giudizi in corso. Si può impugnare l’operato dell’ufficio? Quando non c’è possibilità di ripartizione “discrezionale” per ovvi motivi conflittuali?
Cordialmente
E. Panico
RISPOSTA
Per quanto mi risulta gli Uffici Delle Entrate hanno sempre ritenuto che la detrazione per figli in caso di separazione spetti a entrambi i genitori in proporzione all’effettivo onere sostenuto da ciascuno, non essendo condizionata dalla convivenza del figlio stesso con il genitore, come è affermato dalla circolare 15 del 1° febbraio 2002, e che, in mancanza di accordi specifici, queste vada ripartita al 50% per ciascun coniuge. Credo sia arduo, anche se non impossibile, addurre motivi di natura civilistica ( conflitto tra i coniugi,il papà che non partecipa alle spese mediche, ecc.) a sostegno della tesi dell’attribuzione della detrazione al solo coniuge affidatario. Piuttosto io farei leva sul punto che segue.
La legge finanziaria per il 2007 ha modificato l’art.12 del TUIR, nel seguente modo:
“…La detrazione è ripartita nella misura del 50 per cento tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati ovvero, previo accordo tra gli stessi, spetta al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato. In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50 per cento tra i genitori. Ove il genitore affidatario ovvero, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione, per limiti di reddito, la detrazione è assegnata per intero al secondo genitore. Quest’ultimo, salvo diverso accordo tra le parti, è tenuto a riversare all’altro genitore affidatario un importo pari all’intera detrazione ovvero, in caso di affidamento congiunto, pari al 50 per cento della detrazione stessa. In caso di coniuge fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione compete a quest’ultimo per l’intero importo. Se l’altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, ovvero se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, per il primo figlio si applicano, se più convenienti, le detrazioni previste alla lettera a);
Non mi sembrano sussistere dubbi sul fatto che, in mancanza di specifico accordo, la detrazione spetti al coniuge affidatario. Addirittura, in caso di impossibilità per il genitore affidatario di usufruire della detrazione, la norma prevede che può usufruirne l’altro coniuge che,però, deve riversarla al coniuge affidatario. Il nuovo testo, però, è in vigore dal 1° gennaio 2007. C’è da dire che la tesi dell’Agenzia, precedente il nuovo art.12 del TUIR, è frutto di una interpretazione, se vogliamo anche labile, che si basa sul collegamento con una circolare che si esprime in termini alquanto generici. A favore del contribuente c’è, invece, il peso, nella gerarchia delle fonti, di un atto avente forza di legge, che, sebbene possa disporre solo per il futuro, può servire a misurare anche per il passato le varie tesi interpretative,anche considerando una estensiva applicazione del principio del “favor rei” di cui all’art. 3 del Decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 472

Ricorso c/o Commissione Tributaria

Il ricorso deve essere proposto direttamente alla controparte (Ufficio del ministero delle finanze, Ente locale, Concessionario della riscossione) utilizzando, alternativamente, una delle seguenti modalità:
• notifica a mezzo Ufficiale Giudiziario da effettuare osservando le disposizioni del codice di procedura civile;
• invio a mezzo servizio postale con plico raccomandato, senza busta, con avviso di ricevimento;
• consegna diretta all’ufficio finanziario (o all’Ente locale) che ha emesso l’atto contro il quale si ricorre.
In tal caso l’impiegato addetto alla ricezione provvede al rilascio di ricevuta.
Nel caso di consegna diretta all’Ufficio o invio per posta, deve essere consegnato o spedito l’originale del ricorso in bollo, conservandone copia in carta semplice per la successiva costituzione in giudizio. Nel caso, invece, di notifica, devono essere consegnati all’ufficiale giudiziario 2 originali del ricorso, entrambi in bollo (uno rimarrà alla controparte, l’altro sarà restituito al ricorrente con apposta la "relata di notifica").
Centri di servizio
È soggetta a regole particolari la procedura per i ricorsi contro le iscrizioni a ruolo effettuate a seguito della liquidazione della dichiarazione dei redditi da parte dei Centri di Servizio.
In questi casi il ricorso, in bollo, deve essere intestato alla Commissione tributaria provinciale "tramite il Centro di servizio" e inviato allo stesso Centro di servizio a mezzo posta, con plico raccomandato senza busta, entro 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento. In caso di mancata risposta dopo almeno 6 mesi (e non oltre due anni) dalla presentazione del ricorso, il contribuente deve depositare presso la Segreteria della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio delle imposte dirette competente (o l’Ufficio delle entrate, ( a indirizzi ) se istituito) il fascicolo di parte contenente:
• la copia del ricorso in carta libera, dichiarata conforme all’originale
• la fotocopia della ricevuta della spedizione del ricorso
• la fotocopia della cartella di pagamento;
• altri eventuali documenti a sostegno del ricorso.
È possibile chiedere - oltre alla sospensione amministrativa ai Centri di servizio - la sospensione alla Commissione provinciale anche prima che siano trascorsi sei mesi dalla presentazione del ricorso, depositando anticipatamente i documenti sopra indicati.
6. Quando proporre il ricorso
Il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto (avviso di liquidazione o di accertamento, cartella di pagamento, ecc.).
Può accadere che l’atto di imposizione vero e proprio manchi (come, ad esempio, nel caso di una domanda di rimborso a cui l’Amministrazione non ha dato risposta).
In questi casi occorre attendere che si formi il c.d. “silenzio-rifiuto”, e cioè che siano trascorsi almeno 90 giorni dalla presentazione della domanda. A partire dal 91° giorno, e fino a quando il diritto non si prescrive (termine che può variare, secondo i casi, dai 48 mesi ai 10 anni) è possibile proporre il ricorso.
I termini per la proposizione del ricorso sono sospesi nel periodo feriale dal 1° agosto al 15 settembre.
La condanna alle spese
Con la sentenza che definisce il giudizio la Commissione potrà anche condannare la parte perdente al pagamento delle spese (o, a seconda dei casi, dichiararle compensate in tutto o in parte).
Sospensione dell’atto impugnato
Se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave e irreparabile, il ricorrente può chiedere alla Commissione provinciale la sospensione della sua esecuzione.
La richiesta motivata può essere inserita nel ricorso o proposta con atto separato (che va notificato alle altre parti e depositato presso la segreteria della Commissione).
Quando la sospensione è richiesta in materia di sanzioni tributarie non penali:
1. il giudice deve necessariamente concederla se il contribuente produce un’idonea garanzia, anche a mezzo fideiussione bancaria o assicurativa;
2. può essere proposta istanza anche dinanzi alla Commissione tributaria regionale.
Dopo la presentazione occorre la costituzione in giudizio
Nei 30 giorni successivi alla proposizione del ricorso il ricorrente deve "costituirsi in giudizio".
Questo adempimento è di fondamentale importanza in quanto la sua omissione o, anche, la semplice tardività comporta l’inammissibilità del ricorso.
Una inammissibilità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e pronunciabile anche se la parte avversa si è costituita.
La costituzione in giudizio si effettua depositando presso la segreteria della Commissione il fascicolo di parte contenente:
• l’originale del ricorso notificato a mezzo ufficiale giudiziario; se la presentazione è avvenuta per consegna diretta o a mezzo posta, si deposita una copia del ricorso dichiarata conforme all’originale insieme alla copia della ricevuta di consegna o di spedizione
• l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato e dei documenti eventualmente prodotti, elencati nel ricorso. Se sorgono contestazioni, il giudice può ordinare l’esibizione in originale di tutti gli atti e documenti.
Anche l’Ufficio deve costituirsi
L’obbligo di costituzione in giudizio riguarda anche la parte nei cui confronti il ricorso è proposto, che deve depositare le proprie controdeduzioni.
Tale adempimento è di estrema importanza in quanto tramite esso il ricorrente viene messo in condizioni di conoscere la strategia adottata dalla controparte.
Nelle controdeduzioni la parte resistente è, infatti, tenuta ad esporre le sue difese e a prendere posizione sui motivi del ricorso, indicando le prove di cui intende avvalersi e proponendo eventuali eccezioni processuali e di merito.
La parte resistente è tenuta a costituirsi in giudizio entro il termine (non perentorio) di 60 giorni dalla proposizione del ricorso.
Unica eccezione è data dai ricorsi proposti ai Centri di Servizio per i quali la costituzione in giudizio avviene entro 60 giorni dalla richiesta di trasmissione del ricorso (da parte della segreteria della Commissione Tributaria Provinciale) che fa seguito al deposito del ricorso da parte del contribuente.
Le regole per il deposito dei documenti
Il processo tributario è un processo prevalentemente documentale: non è quindi ammessa la possibilità di avvalersi degli altri mezzi di prova ordinariamente riconosciuti come, ad esempio, il giuramento e la prova testimoniale.
Per essere utilizzati nel processo, i documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati (ad esempio, nel ricorso).
È comunque ammesso produrli anche separatamente; in tal caso è però necessario preparare una apposita nota (chiamata "Nota di deposito documenti"), firmarla e depositarla in segreteria (in originale e in tante copie in carta semplice per quante sono le altre parti).
I "motivi" e il divieto delle "memorie integrative"
Uno degli elementi essenziali del ricorso - prescritto a pena di inammissibilità - è costituito dai "motivi", ossia dalla dettagliata esposizione delle proprie ragioni.
L’esposizione dei motivi che sono a base del ricorso costituisce un elemento di estrema importanza in quanto i motivi non potranno essere integrati in atti successivi.
Fa eccezione il caso in cui l’integrazione sia resa necessaria dal successivo deposito di documenti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione. In questi casi l’integrazione è ammessa entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data in cui l’interessato ha notizia del deposito.
Se è stata già fissata l’udienza di trattazione l’interessato deve dichiarare a pena d’inammissibilità, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in udienza pubblica, che intende proporre motivi aggiunti. Dopo tale adempimento la trattazione o l’udienza devono essere rinviate ad altra data per consentire il deposito della memoria.
L’integrazione dei motivi si effettua mediante un atto che deve avere, per quanto applicabili, i requisiti prescritti per il ricorso.
È invece possibile depositare, anche successivamente al ricorso, documenti e memorie illustrative (atti che senza ampliare l’ambito della controversia si limitano ad illustrare in maniera più approfondita i motivi già esposti nel ricorso). Nel caso di trattazione della controversia in camera di consiglio è possibile anche la presentazione di "brevi repliche", con le quali si propongono ulteriori contestazioni alle argomentazioni esposte nelle memorie.
Il deposito delle memorie, dei documenti e delle repliche va effettuato entro precisi termini: fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione, per i documenti; fino a 10 giorni liberi prima della data di trattazione, per le memorie; fino a 5 giorni liberi prima della data di trattazione in camera di consiglio, per le brevi repliche.

SCHEMA DI RICORSO PROPOSTO PERSONALMENTE DALLA PARTE
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
DI __________________
ATTO DI RICORSO
( ex art. 18 D.Lgs n. 546/92 )

Sig. __________________, C.F. ___ ___ _____ _____, residente in ______, Via ___________ n. ___, ed ivi elettivamente domiciliato,
- Ricorrente –
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO DI _____________ – Via _________ n. __, __________________, in persona del Funzionario responsabile pro tempore
Resistente –
Avverso: avverso l’avviso di accertamento ______________ n. _____
Premessa in fatto
Con avviso notificato in data _____________ (illustrare i fatti salienti della Controversia), l’Ufficio di ______________ rettificava la dichiarazione _______________ con la seguente motivazione: ______________________________.
Per l’effetto accertava un’imposta pari a euro _____________(Il tributo al netto di interessi e sanzioni deve essere inferiore alla soglia dei 2582,28 euro) e, contestualmente, irrogava sanzioni per euro _____________________.
All’avviso veniva allegato il p.v.c. n. ______ del _________.
Tutto ciò premesso, il sottoscritto
Ricorre
A codesta spettabile commissione tributaria provinciale per i seguenti
Motivi
1) ________________________________
2) ________________________________
3) ________________________________
Tanto esposto il ricorrente
Chiede
che codesta On.le Commissione tributaria provinciale di ______, in accoglimento del presente ricorso, dichiari la illegittimità dell’avviso impugnato e per l’effetto l’annullamento (totale o parziale) del medesimo;
che, in via subordinata, determini il maggior reddito in euro ______;
che annulli le sanzioni, sussistendo il presupposto di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale le sanzioni non penali, previste dalle leggi tributarie, non sono applicabili qualora la violazione sia giustificata da "obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce";
che, in ogni caso, condanni l’Ufficio di ___________ alla rifusione delle spese di giudizio.
Si deposita:
1) originale del ricorso (ovvero copia del ricorso consegnato all’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate, con ricevuta di deposito, ovvero copia del ricorso spedito a mezzo servizio postale con fotocopia della ricevuta della spedizione per raccomandata con avviso di ricevimento);
2) copia dell’atto impugnato;
3) altri eventuali documenti.
Luogo e data _____________________

Firma del contribuente
________________
NB. Si ricorda che sulla copia del ricorso da depositare presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale va inclusa l’attestazione di conformità all’originale.
Trattazione del ricorso e notifica della sentenza
La controversia è trattata di norma in "Camera di consiglio" (senza la presenza delle parti); se una delle parti vuole che il ricorso sia discusso in udienza pubblica deve farne richiesta alla Commissione con istanza da depositare in segreteria e da notificare alle altre parti costituite. L’istanza di pubblica udienza può anche essere proposta contestualmente al ricorso o ad altri atti processuali.
Alla segreteria della Commissione spetta il compito di comunicare alle parti costituite il dispositivo della sentenza. Alla notifica della sentenza possono invece provvedere le parti (sarà la parte che vi ha interesse a notificare la sentenza alle altre).
La parte che ha provveduto alla notifica dovrà depositare nella segreteria della Commissione l’originale (o copia autentica) della sentenza notificata.
Pagamenti e rimborsi
Le norme processuali prevedono meccanismi di pagamento dei tributi e di rimborso delle somme non dovute più favorevoli al contribuente. Pertanto, anche in deroga a quanto previsto dalle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata i tributi devono essere pagati:
• per due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;
• per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;
• per il residuo ammontare determinato dalla commissione tributaria regionale.
Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto.
Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto stabilito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza.
Le imposte suppletive devono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione.
Nel caso di proposizione di un ricorso contro il rifiuto o il silenzio-rifiuto a provvedere ad un rimborso, se la Commissione condanna l’ufficio al pagamento di somme, e solo se la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria della Commissione che l’ha emessa, a richiesta dell’interessato, rilascia copia spedita in forma esecutiva a norma dell’art. 475 del C.p.c. La sentenza delle Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale spedita in forma esecutiva è titolo per le azioni esecutive previste dallo stesso C.p.c..

Commissione Tributaria


Nel nostro ordinamento le commissioni tributarie sono organi giurisdizionali in materia tributaria e, quindi, giudici speciali (giudici tributari).
L'istituzione delle commissioni tributarie risale alla legge 14 luglio 1864, n. 1836. Non nascono come organi giurisdizionali ma come organi amministrativi appartenenti all'amministrazione finanziaria. La loro competenza era inizialmente limitata alle imposte dirette, mentre per le imposte indirette era possibile il ricorso amministrativo (facoltativo) o l'azione dinanzi al giudice ordinario
A seguito del riordino attuato con D.Lgs. 31/12/1992, n. 545, si articolano in commissioni tributarie provinciali, aventi sede in ciascun capoluogo di ogni provincia, che giudicano in primo grado, e commissioni tributarie regionali, aventi sede in ciascun capoluogo di regione, che giudicano definitivamente in appello, salvo il ricorso alla Corte Suprema di Cassazione per questioni di legittimità.
Per controversie riguardanti tributi in contestazione fino ad € 2.582,28, il ricorso può essere presentato direttamente dal contribuente, senza che sia obbligatoria la difesa tecnica. Per le controversie aventi ad oggetto una somma superiore a quella predetta, il ricorrente deve essere assistito da un difensore abilitato (avvocato, dottore commercialista, ragioniere, perito commerciale).
Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste (art 12 D. Lgs. n. 546 del 1992).
L'art.12, comma 2 della legge n.448/2001 (Legge finanziaria 2002) ha ampliato la competenza delle commissioni tributarie.
Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2002, appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative comunque irrogate dagli uffici finanziari , gli interessi ed ogni altro onere accessorio.
Alle commissioni è attribuita, infine, la competenza a giudicare su varie controversie di natura catastale come quelle concernenti, ad esempio, l'intestazione, la delimitazione l'estensione, il calassamento dei terreni e l'attribuzione della rendita.
Restano escluse dalla giurisdizione delle commissioni soltanto le controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell'avviso di intimazione ad adempiere all'obbligo risultante dal ruolo.
Bollo, concessioni governative, canone Rai
Per alcuni tributi “minori” (come l’imposta di bollo e la tassa di concessione governativa) non è previsto il ricorso alle Commissioni ma occorre instaurare un contenzioso amministrativo presso la direzione regionale delle entrate (o l’ufficio delle entrate, se istituito), oppure rivolgersi al giudice civile.
Gli atti contro i quali è possibile ricorrere sono:
• l’avviso di accertamento
• l’avviso di liquidazione
• il provvedimento che irroga le sanzioni
• il ruolo e la cartella di pagamento

• l’avviso di mora
• gli atti relativi ad alcune operazioni catastali
• il rifiuto, espresso o tacito, alla restituzione di tributi, sanzioni, interessi o altri accessori non dovuti
• i provvedimenti che negano la spettanza di agevolazioni nonché i provvedimenti di rigetto delle domande di definizione agevolata dei rapporti tributari
• ogni altro atto espressamente indicato dalla legge come autonomamente impugnabile.
Il termine per ricorrere è di 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se è stato notificato un avviso di accertamento e il contribuente presenta la domanda di concordato, i termini per ricorrere sono sospesi per 90 giorni a decorrere dalla data di presentazione della domanda.
Per agevolare il contribuente, la legge prevede che tutti gli atti impugnabili debbano contenere le seguenti indicazioni:
• termine entro il quale il ricorso va proposto
• Commissione tributaria competente
• procedure da seguire.
Assistenza tecnica
Per le controversie aventi ad oggetto tributi di valore superiore a 5 milioni è indispensabile l’assistenza di un difensore abilitato. Per valore si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni (se si tratta solo di sanzioni, il valore è dato dalla somma di queste).
Attenzione:
Qualunque sia il loro valore, l'assistenza tecnica non è richiesta per le controversie aventi ad oggetto le iscrizioni a ruolo effettuate a seguito della liquidazione della dichiarazione dei redditi da parte dei Centri di Servizio.
Il presidente della commissione (o della sezione) o il collegio possono ordinare alla parte di munirsi dell'assistenza tecnica, anche nei casi in cui questa non è obbligatoria.
Per le cause già pendenti davanti alle vecchie Commissioni tributarie l'assistenza tecnica non è obbligatoria ma può essere disposta dalla Commissione.
Anche quando non è obbligatoria l'assistenza tecnica, il contribuente deve comunque fare attenzione alla complessità degli adempimenti previsti dalla nuova procedura (con la quale il contenzioso tributario viene di fatto ad essere assimilato al giudizio civile), e al rischio che la vertenza subisca un esito negativo a causa di una loro non esatta applicazione.
Sono abilitati a prestare assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali:
• gli avvocati,
• i dottori commercialisti,
• i ragionieri e periti commerciali.
Sono inoltre abilitati, se iscritti nei rispettivi albi professionali:
• i consulenti del lavoro, per le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta ad esse relativi;
• gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli agrotecnici e i periti agrari, per le materie concernenti estensione, classamento dei terreni e ripartizione dell’estimo fra i possessori di una stessa particella, consistenza, classamento delle singole unità immobiliari urbane e attribuzione della rendita catastale;
• a certe condizioni, anche altre categorie tra cui i funzionari dell’amministrazione finanziaria e gli ufficiali della guardia di finanza a riposo dopo venti anni di servizio, i funzionari abilitati delle associazioni di categoria, i dipendenti delle imprese per le controversie che le riguardano.
Assistenza gratuita
Ai non abbienti è assicurata l’assistenza gratuita; alla Commissione per il gratuito patrocinio, istituita presso ogni Commissione tributaria, è affidata la verifica del possesso delle condizioni richieste (che potranno anche essere autocertificate).

martedì 10 novembre 2009

Intercettazioni

Intercettazioni telefoniche - consiste in un'acquisizione di conoscenza di telecomunicazioni attraverso il telefono, all'insaputa di almeno uno degli interessati. Costituisce atto a sorpresa che incide sulla libertà delle comunicazioni costituzionalmente protetta e limitabile solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria (art. 15 Cost.). L'(—) è un atto proprio del P.M., consentita solo per alcune categorie di reati e subordinato all'esistenza di gravi indizi di reato. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'art. 203 c.p.p (art. 267, comma Ibis, introdotto dalla 1. 63/2001): ne consegue che non si può tener conto, a tali fini, delle notizie che la p.g. abbia assunto dai confidenti, se non quando questi siano assunti a sommarie informazioni. Essa deve essere assolutamente indispensabile per il prosieguo delle indagini.
Viene autorizzata dal giudice delle indagini preliminari [vedi —»] con decreto motivato, dopo aver vagliato i presupposti di ammissibilità.
L'intervento del G.I.P. ha funzione di controllo e di garanzia della legalità dell'intercettazione che di solito è effettuata nella fase delle indagini preliminari [vedi -»]. Le intercettazioni non possono durare più di 15 giorni e possono essere prorogate, con provvedimento del GIP, per ulteriori periodi di 15 gg. Quando si procede per reati di criminalità organizzata, in deroga alle disposizioni del codice, l'(—) può essere disposta anche in presenza di sufficienti indizi ed ha durata di 40 gg., prorogabili per ulteriori periodi di giorni 20 (v. art. 13 L. 203/1991).
Per ragioni di garanzia l'art. 268, comma 3, c.p.p. prevede che le operazioni di intercettazione possano essere compiute esclusivamente con impianti installati presso la Procura della Repubblica e non quindi presso gli uffici della P.G. operante. Quando gli impianti della Procura risultino insufficienti ovvero sussistono «.eccezionali ragioni di urgenza», il P.M. può, con decreto motivato autorizzare che le operazioni si svolgano mediante impianti del pubblico servizio o istallati presso gli uffici di P.G. In caso di violazione di tali disposizioni, le intercettazioni captate sono inutilizzabili ai sensi dell'art. 271, comma 1, c.p.p. Con il D.L. 374/2001, conv. in L. 438/2001, recante disposizioni di contrasto al terrorismo internazionale, tale speciale disciplina è stata estesa ai procedimenti per i delitti previsti dall'articolo 270ter del codice penale (fattispecie introdotta dal medesimo provvedimento di modifica) e dall'art. 407, comma 2, lettera a), n. 4 del codice di procedura penale (il riferimento è a taluni delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell'ordinamento costituzionale).
In caso di urgenza, il P.M. può emettere lui stesso decreto motivato che però ha natura provvisoria essendo soggetto a caducazione ab initio se il G.I.P. non lo convalida nelle 48 ore successive. La caducazione comporta l'immediata cessazione delle operazioni e la inutilizzabilità [vedi —>] delle acquisizioni già conseguite.
Infine, le (—), non solo quelle telefoniche, ma anche quelle ambientali [vedi —>], nonché quelle di comunicazioni informatiche o telematiche [vedi —»], possono essere disposte dall'autorità giudiziaria al fine di agevolare la ricerca dei latitanti [vedi -» Latitanza] (art. 295, commi 3 e 3bis, c.p.p.). Nella medesima prospettiva, la L. 14-2-2006, n. 56, aggiungendo un nuovo comma 3ter all'art. 295 c.p.p., ha previsto che, ove si tratti di agevolare la ricerca dei latitanti, nei giudizi davanti alla Corte di Assise, a disporre l'intercettazione di comunicazioni o di conversazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazioni sia lo stesso Presidente della Corte.
Intercettazioni ambientali - Si tratta di intercettazioni di comunicazioni tra presenti; tuttavia, qualora quest'ultime avvengano in un luogo di privata dimora, si richiede espressamente che vi sia fondato timore di ritenere che ivi si stia svolgendo un'attività criminosa, ma questa condizione non è necessaria se si procede per delitti di criminalità organizzata. Ad esse si applica la stessa disciplina prevista per le (—) telefoniche.
Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche artt. 266bis ss. c.p.p.; L. 23-12-1993, n. 547) - Con L. 547/93 è stato introdotto nel codice di procedura penale l'art. 266bis che, confermando l'attenzione rivolta negli ultimi anni dal legislatore all'utilizzo di strumenti informatici, prevede la possibilità di impiegare tali strumenti allo scopo di prevenzione e repressione dei reati.
Più in particolare, per gli stessi delitti per i quali l'art. 266 c.p.p. consente l'(—) telefonica, il legislatore autorizza, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, gli organi di polizia giudiziaria all'(—) del flusso di comunicazioni informatiche e telematiche. L'(—) si svolge secondo modalità idonee a garantire il diritto alla difesa, costituzionalmente inviolabile; è infatti consentito ai difensori dell'indagato o imputato ed in generale ai difensori delle parti «di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche», ovvero richiedere copia di essi su idoneo supporto.
Per i delitti di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono l'art. 13 del D.L. 13-5-1991, n. 152 conv. in L. 203/91 consente le intercettazioni in presenza di sufficienti indizi, anzicché gravi, e per un tempo iniziale massimo di 40 gg. con successive proroghe di gg. 20.

Il Giudice di pace

Figura di magistrato onorario tipica del sistema processuale americano e recepita dal legislatore italiano, che ha previsto in via definitiva la sua istituzione con L. 374/91 e la sua piena operatività a fare data dal 1° maggio 1995.1 (•—), che fanno parte dell'ordine giudiziario e che hanno sede nei capoluoghi dei mandamenti, esercitano la giurisdizione in materia civile e penale e, riguardo alla prima, hanno anche funzione conciliativa in sede non contenziosa. Il (—) sostituisce integralmente la figura del conciliatore; esso deve essere nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, tra i cittadini laureati di età compresa tra i 30 e i 73 anni, dotati anche degli altri requisiti indicati specificamente dall'art. 5 della legge istitutiva; durano in carica quattro anni (prorogabili una sola volta) e ricevono per la loro attività un'indennità per ogni udienza e per ogni sentenza o verbale di conciliazione. Tale indennità è cumulabile con i trattamenti pensionistici e di quiescenze comunque denominati.
In sede civile, al (—) sono state riconosciute dal legislatore ampie competenze, sia con riguardo al criterio del valore che a quello della materia.
Con la L. 24-11-1999, n. 468 il Governo è stato delegato ad emanare le norme riguardanti la competenza del (—) in materia penale e il procedimento relativo. In attuazione della delega legislativa, il governo, con il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 ha introdotto nel nostro sistema processuale la competenza penale del Giudice di Pace per reati «minori», elencati nell'art. 4.
L'entrata in vigore della riforma era stata prevista per il 5-4-2001, ma è stata differita prima all'I-10-2001 dal D.L. 2-4-2001, n. 91, e successivamente al 2-1-2002 dalla L. 3-5-2001, n. 163, di conversione del citato decreto.
La nuova normativa, pur se autonoma e non modificatrice del codice di rito, si inserisce nel sistema processuale preesistente dal quale mutua i principi generali, le fasi e gli istituti più importanti (art. 2).
Il legislatore si è innanzitutto preoccupato di semplificare il procedimento, e per quanto riguarda la fase delle indagini preliminari, si è mosso simmetricamente su due fronti: riducendo il periodo di durata delle indagini preliminari (art. 16), dall'altra, ha eliminato la figura del giudice delle indagini preliminari, affidando i provvedimenti relativi a questa fase a un giudice di pace del capoluogo del circondario (art. 19).
In alternativa alla citazione a giudizio disposta dal P.M., ma limitatamente ai reati procedibili a querela, il legislatore ha previsto il ricorso immediato dell'offeso che può chiedere al giudice la citazione a giudizio della persona alla quale attribuisce il reato (art. 21).
Infine, per favorire la conciliazione, il giudice di pace è stato fornito di specifici strumenti di mediazione fra la persona offesa e l'imputato, che dovrebbero indirizzare verso soluzioni processuali diverse dalla sentenza di condanna (artt. 29 c. 4 e 5). Sul piano sostanziale il legislatore ha ridisegnato il quadro sanzionatorio, privilegiando la funzione rieducativa e la reintegrazione dell'offesa, piuttosto che la mera afflittività, ma garantendo una reale effettività della pena, che non può essere condizionalmente sospesa (art. 60).

Pubblico Ministero

Il P.M. Mentre la pretesa civile può essere oggetto di esecuzione spontanea, senza il ricorso alla giurisdizione (pagamento spontaneo di un debito), quella penale richiede obbligatoriamente una attenta considerazione giurisprudenziale, infatti, alle parti non è consentito accordarsi sulla sussistenza dell’illecito penale e sulla pena applicabile. Lo strumento attraverso il quale si mette in atto la GIURISDIZIONE è il processo. Una delle parti necessarie del processo è il P.M.. Il P.M. veglia sull'osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci, richiedendo nei casi d'urgenza i provvedimenti che ritiene necessari; promuove la repressione dei reati e l'applicazione delle misure di sicurezza: fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge. Gli uffici del P.M., che sono distinti ed autonomi dall'organo giurisdizionale presso il quale svolgono le loro funzioni, sono coperti da magistrati che esercitano le loro funzioni sotto la vigilanza del Ministro di grazia e giustizia , ed i magistrati addetti ai rispettivi uffici (cd. sostituti) esercitano le loro funzioni a seguito di designazione dei capi dell'ufficio. Essi formano, nel loro complesso, la magistratura cd. requirente, che si contrappone alla magistratura giudicante, in quanto il loro compito è quello di proporre ai giudici delle domande dirette a promuovere e stimolare la loro attività (ufficio di iniziativa), contrapposto a quello del giudice (che è ufficio di decisione e di accertamento).
Il PM come organo statuale - La funzione del P.M. è pubblica ed obiettiva. La Costituzione assegna allo stesso l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale e l’obiettività della sua azione deriva dal fatto che egli è soggetto terzo per evitare un processo ingiusto o ingiustizie nel processo. Assegna la funzione a magistrati per la loro connotazione pubblica rendendo per essi obbligatorio l’esercizio dell’azione penale mentre l’azione civile è facoltativa.
Atti del PM - Richieste: di incidente probatorio, di rinvio a giudizio, di archiviazione, di revoca della sentenza
Conclusioni: requisitorie.
Modifica dell’imputazione
Contestazione nel corso dell’udienza preliminare
Contestazione nel giudizio di mprimo grado o arresto in udienza
Consenso: al si agli artt. 444 e 446 (patteggiamento) in tema di applicazione di pena
Dissenso: art 446 co. 6
Fascicolo del pubblico ministero È il fascicolo in cui sono raccolti gli atti espletati nell'udienza preliminare [vedi —>], con esclusione di quelli che vanno a formare il fascicolo per il dibattimento [vedi —»], e gli atti assunti nella fase delle indagini preliminari [vedi —»] trasmessi al Pubblico Ministero [vedi —>].
Il (—) non costituisce oggetto di visione e studio da parte del giudice dibattimentale. Invece i difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia degli atti raccolti in tale (—), depositato nella segreteria del P.M. In esso possono essere inseriti gli atti di indagine (integrativi) compiuti dal P.M. successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio da parte del giudice dell'udienza preliminare. Eccezionalmente il (—) viene consegnato al giudice dibattimentale:
1) per decidere il rito ed. del patteggiamento [vedi —»];
2) per stabilire, all'esito del dibattimento, la decidibilità allo stato degli atti, e valutare, conseguentemente, la legittimità del rigetto del rito abbreviato [vedi —» Giudizio abbreviato].
Come sopra accennato, refluisce nel (—), all'esito delle indagini preliminari, il fascicolo del difensore. Formato e conservato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari, tale «terzo fascicolo», introdotto dalla L.397/2000, costituisce uno strumento di raccolta delle risultanze investigative difensive. Il P.M. ha diritto di accedere agli atti ivi contenuti e ad estrarne copia, prima che venga adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento

Le fonti del diritto processuale penale

A seconda della provenienza degli atti o dei fatti di produzione normativa, si suole distinguere le fonti del diritto processuale penale in:
DIRETTE o IMMEDIATE, oppure INDIRETTE o MEDIATE.
Tra le fonti dirette vi è il codice di procedura pe-nale del 1989 ( detto codice Vassalli dal nome del Guardasigilli dell’epoca) esso ha sostituito il cd. Codice Rocco, rappresentando il punto di arrivo di un lungo cammino verso la riforma del DPP i-niziata dopo il crollo del regime Fascista.
Vi sono poi le norme della costituzione della re-pubblica che tutelano diritti e libertà fondamenta-li.
Altre fonti di diritto sono le leggi in senso forma-le,i decreti legislativi e i decreti legge.
Tra le fonti mediate vi è invece la produzione normativa disciplinata da un ordinamento esterno a quello dello stato e da questo richiamate esse sono:
il diritto straniero, le consuetudini internazionali, ed il diritto Internazionale generalmente ricono-sciuto( art. 10 della Costituzione).

Il giudice nel processo penale

La sovranità dello Stato viene esplicata attraverso tre principali funzioni, la funzione legislativa, la funzione giurisdizionale e quella esecutivo-amministrativa.
In particolare la funzione giurisdizionale consiste nel dare concreta attuazione alla volontà della legge quando questa non sia stata pacificamente e spontaneamente osservata.
Gli organi della giurisdizione penale sono:
IL GIUDICE DI PACE; IL TRIBUNALE OR-DINARIO; LA CORTE D’ASSISE; LA CORTE D’APPELLO; CORTE D’ASSISE D’APPELLO; IL TRIBUNALE PER I MINORENNI; IL MA-GISTRATO DI SORVEGLIANZA; LA CORTE DI CASSAZIONE.
Il giudice può essere definito come il rappresen-tante monocratico o collegiale dell’organo giuri-sdizionale dello stato, chiamato ad esercitare, con carattere di indipendenza e terzietà, la giurisdizio-ne in un determinato processo penale.
La sfera di potestà del Giudice Penale è definita: dalla competenza funzionale (Giudici Comuni e Giudici Speciali di I e II grado, precisando che il Giudice che ha partecipato ad un certo grado e stato del giudizio non può intervenire nei gradi o negli stadi successivi a fine di non turbare la serenità e l’obiettività del giudizio), dalla competenza per materia ( a seconda della pena prevista per il reato, del tipo di reato o del soggetto che lo ha commesso), dalla competenza per territorio ( definita dal rapporto che intercorre tra il luogo ove è stato commesso il reato e la sede giudiziale cui appartiene quel luogo), dalla competenza per connessione ( scaturente dalla relazione tra più situazioni astrattamente idonee a dar vita ad autonomi processi penali) ed infine dai principi che reggono le ipotesi di riunione o separazione dei processi. Tutto ciò delinea la giurisdizione del giudice penale e quindi la relativa sfera di potestà.
Gli atti del giudice Art. 125. La legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell'ordinanza o del decreto. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità. I decreti sono motivati, a pena di nullità, nei casi in cui la moti-vazione è espressamente prescritta dalla legge. Il giudice delibera in camera di consiglio senza la presenza dell'ausiliario designato ad assisterlo e delle parti. La deliberazione è segreta. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un com-ponente del collegio che non ha espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si rife-risce il dissenso e dei motivi dello stesso, succin-tamente esposti. Il verbale, redatto dal meno an-ziano dei componenti togati del collegio e sotto-scritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelle-ria dell'ufficio. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati senza l'osservanza di particolari formalità e, quando non è stabilito altrimenti, anche oral-mente.

IL POSITIVISMO STATALISTICO E IL POSITIVISMO CRITICO

Punti cardine di tale dottrina sono la centralità dello stato come unica fonte sovrana di diritto e la coercibilità come elemento caratterizzante il fenomeno giuridico.
Esemplare John Austin per il quale il diritto positivo consiste in quelle norme che un superiore politico pone e impone a tutti coloro che sono a lui subordinati. L'imperatività deontologica è essenziale al diritto. In questa concezione trova poca ospitalità il diritto consuetudinario che vede indiretto riconoscimento solo in quanto riportabile alla volontà di uno stato sovrano. Perciò per Austin le norme internazionali non sono vere norme giuridiche, mancando quel superiore politico che le possa imporre. Altri positivisti ammisero invece la giuridicità solo delle norme derivanti da trattati.
Diversamente Heinrich Triepel e Dionisio Anzilotti individuarono quel superiore politico nella collettività di stati, cui ogni stato nella sia singolarità è subordinato. Il centro dell'attenzione dottrinale è dunque il trattato, vera fonte del diritto internazionale, in cui al limite anche la consuetudine si risolve come fattispecie tacita. Ma il pensiero del Triepel fu sempre negatore della unicità del diritto internazionale che invece si risolverebbe in una pluralità di sistemi, tanti quanti i trattati.
Sempre nell'ambito del positivismo (e del neo Kantismo dal punto di vista filosofico) si colloca una linea di pensiero assai diversa: quella di Hans Kelsen.
Egli riconosce le due principali fonti del diritto internazionale come la consuetudine e il trattato, qust'ultimo poggiato sulla suprema norma consuetudinaria pacta sunt servanda. Ne consegue il carattere particolare del diritto pattizio internazionale vigendo le sue norme non per tutti gli stati ma solo per gruppi. Si parla allora di diritto internazionale convenzionale particolare e di diritto internazionale consuetudinario generale come di due diversi livelli di una Stufenbau che viene ad integrarsi poi alle norme giuridiche dei c.d. tribunali internazionali. Stufenbau che ha al vertice chiaramente la consuetudine in quella norma che la autoimpone alle comunità.
Certo si tratta di un diritto primitivo: le conseguenze della violazione del diritto internazionale sono la rappresaglia e la guerra. Ma si tratta per Kelsen dell'inizio di uno sviluppo.
A questo punto Kelsen pone la unicità del diritto internazionale come postulato gnoseologico, necessità epistemologica della scienza del diritto, contro le dottrine dualistico pluraliste. Si deve prendere atto del diritto internazionale come si presenta componendo le antitesi normative...
Per operare tale unificazione Kelsen analizza il rapporto reciproco di due o più sistemi normativi. Due complessi di norme possono costituire un sistema unitario in 2 sensi: un ordinamento è subordinato all'altro in quanto uno trova nell'altro il fondamento della sua validità e quindi la sua norma fondamentale; oppure nel senso che entrambi gli ordinamenti sono equiparati fra loro, ossia reciprocamente delimitati nella loro sfera di validità. Ma in questo secondo caso per costituirsi in unità è necessario un terzo ordinamento che determini la produzione degli altri due, li delimiti reciprocamente nelle loro sfere di validità e quindi li coordini. Se il diritto internazionale e il diritto degli stati particolari formano un sistema unitario, il loro rapporto reciproco deve allora consistere in una delle due forme qui descritte. Precisamente il II senso è quello proprio che supera tutte le concezioni dualistiche. Il fatto che coesistano più ordinamenti giuridici delimitati nei loro ambiti di validità, interagenti e coordinanetesi fra loro presuppone la esistenza di un insieme di regole che svolgono tale funzione delimitante e coordinante. In tale concezione il sorgere e il tramontare degli stati, considerati da questo punto di vista, si presentano come fenomeni giuridici come la costituzione e lo scioglimento di una persona giuridica nel quadro del diritto statale interno. La concezione classica, ad avviso del Kelsen, non può che essere negatrice del diritto internazionale in quanto affermante il primato dell'ordinamento giuridico del singolo stato che diviene il fondamento di ogni atto esterno perchè ogni norma del diritto internazionale è valida in quanto riconosciuta dallo stato medesimo. Antitesi fra il dogma della sovranità dello stato e il suo radicale soggettivismo e la concezione oggettiva del diritto. In tale concezione oggettiva la regola del diritto internazionale, operante come schema qualificativo, collega ad un determinato evento la sanzione corrispondente (rappresaglia o guerra). Tale evento è una atto normativo dello stato particolare che è in violazione di un obbligo stabilito dal diritto internazionale. In definitiva la validità di più ordinamenti giuridici particolari deve trovare fondamento in unico ordinamento superiore efffettivo, sia questo un ordinamento assoluto rispetto agli stati, sia che si tratti di un ordimamento di uno stato che per la sua effetività ha il primato sugli altri.

domenica 8 novembre 2009

BLOCCO ASSUNZIONI FORMAZIONE PROFESSIONALE 2010

Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Regione siciliana del 6 novembre, il Bando relativo al Piano per i nuovi Corsi di formazione professionale da realizzare nel 2010. Le iniziative didattiche saranno finanziate dal Bilancio regionale con 242 milioni di euro, anche attraverso il ricorso anche ai fondi non spesi di Agenda 2000 e d al FSE. Il termine di presentazione delle domande scade entro 20 giorni, e nei principali ambiti, limita la partecipazione ai soli Enti che hanno già avuto i corsi finanziati nel 2008 e nel 2009.
In attuazione di quanto sancito dalle “Linee guida” è stata prevista la salvaguardia degli Enti cosiddetti storici e del personale ivi operante – dichiara Giuseppe Messina, Coordinatore regionale Enti Formativi di Ugl Sicilia – si tratta dei 200 Enti già accreditati dalla Regione che avvieranno corsi per la formazione di primo e secondo livello, per la parte più consistente della formazione speciale (destinata a categorie disagiate ) e per la formazione permanente e continua (per l'aggiornamento degli occupati).
Il bando individua le materie su cui gli Enti dovranno progettare i corsi per il 2010 – prosegue Messina - come Turismo e Beni culturali, Manifatture, Agricoltura, Ambiente, Trasporti, Edilizia, Tecniche di rest auro, e Sistemi informativi ambientali; oltre che lezioni di inglese, informatica, cultura di impresa, diritto del lavoro e sindacale. Particolar attenzione è dedicata dal Bando ai temi della sicurezza sul lavoro, attraverso la previsione di moduli di 16 ore di lezione ed al settore cinematografico siciliano, tra riprese, registrazione del suono, produzione e montaggio, la Regione sollecita gli Enti a progettare corsi per figure specialistiche collegate alla cinematografia. Il 20 per cento della durata dei corsi - conclude Messina - sarà riservato alle attività pratiche da svolgersi tramite gli stage. Esprime soddisfazione Giovanni Condorelli , Segretario Generale Ugl Sicilia, sulla pubblicazione del Bando per il Prof 2010, i contenuti sono il frutto di quanto sottoscritto nelle Linee Guida del settembre scorso. Le nuove regole contenute restituiscono quella trasparenza e certezza al settore della formazione professionale smarrita negli anni scorsi – commen ta Condorelli - ogni progetto, infatti, sarà redatto in formulari contenenti i dati sul personale impegnato e tutti i costi finanziabili. Le violazioni saranno sanzionate, dalla revoca del finanziamento fino alla cancellazione dall'Albo degli Enti accreditati. Accolta la richiesta di Ugl Sicilia dello stop a nuove assunzioni, il blocco del turn over, e l'impossibilità a trasformare in rapporti a tempo indeterminato i contratti dei precari per almeno un biennio.
Fonte: UGL SICILIA