mercoledì 10 giugno 2009

Diritto Penale - Il Codice Rocco

Il primo codice penale, dopo l’Unità d’Italia, è stato il codice Zanardelli 1889. Questo codice presentava una impostazione molto liberale. In quegli anni si dividevano il campo penale la scuola classica del diritto penale e la scuola positiva.
Scuola classica - Nata nell’800 da Francesco Carrara, fondata sulla responsabilità del soggetto, che si sostanzia nella convinzione che ciascuno sia libero di autoderminarsi. Si distingueva tra forza fisica e forza morale, il fatto e la colpevolezza e si riteneva che la pena fosse una reazione legittima dell’ordinamento ad una scelta del soggetto, colpevole del reato, che contrastasse i comandi che dallo Stato provenivano.
Scuola positiva - Sorta anch’essa nell’800 ad opera di Cesare Lombroso. Viene seguita fino ai primi del 900 da Enrico Ferri e Raffaele Garofalo. Una sorta di fondamento vero, la scuola positiva lo aveva, ma non era quello di Cesare Lombroso, secondo il quale il delitto era non controllabile dal reo. Ferri, con la sua concezione più moderna ha cercato di superare questa concezione. La verità della scuola positiva, sta nell’osservazione del collegamento tra alcune condizioni sociali misere, una cultura inesistente e la quasi inevitabile realizzazione di reati (devianza).
Il codice attuale, accoglie la tesi della scuola classica, quella dell’arbitrio, cioè ognuno di noi è libero di scegliere tra il bene e il male, però lascia spazio per i portati scientifici della scuola positiva, proprio introducendo il doppio binario, dove per un delitto commesso con libertà di scelta, la misura di sicurezza per il soggetto pericoloso sarà più gravosa. Arturo Rocco, fratello dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia e da cui il codice ha preso il nome, membro della Commissione, fu la guida di un nuovo modo di accostarsi al diritto penale. Il penalista non deve chiedersi del perché, ma deve limitarsi all’analisi della norma penale, deve cioè cogliere il contenuto, la portata, di ogni precetto del legislatore, con una ricerca esegetica, dogmatica e sistematica.
Il codice Rocco Vincenzo Manzini, autore dell’opera penalistica più ampia fino ad oggi, Il trattato di diritto penale, ancora pubblicato e anche qui secondo l’autore, il penalista non deve preoccuparsi con i rapporti con la morale, non deve preoccuparsi delle ragioni del legislatore nello scegliere se penalizzare un certo comportamento piuttosto che un altro. Il penalista deve limitarsi a indagare sulla norma, questa teoria è figlia del tempo poiché il codice Rocco anche se non possa qualificarsi come codice fascista, è certamente un complesso di norme che rispecchia l’anima di uno Stato autoritario che ha potuto reggere l’impatto con la Costituzione Repubblicana solo perché è un codice nella sua radice agganciato al principio liberale della legalità e della riserva di legge.
Il codice Rocco si distingue in una parte generale e una parte speciale (divisa in due libri), in tutto è composto da tre libri.
  • Parte generale: art. 1/art. 240
  • Parte speciale II libro: dei delitti (diviso in 13 titoli) art. 241/art. 649
  • Parte speciale III libro: delle contravvenzioni art. 650/ art. 734
Viene considerato un codice lungo perché è un codice piuttosto casistico che ha comportato l’inevitabile elevato numero di articoli.
La validità del codice Rocco Perché il codice Rocco ancora non è stato riformato? A questa domanda non c’è una precisa risposta. Si sa che dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana i tentativi di riforma sono stati numerosi, a partire dagli anni ‘60 che vide un progetto. La condizione per una riforma del codice, sta nella situazione politica che fino ad oggi è da ritenere la causa che non ha consentito di portare a termine un progetto di riforma, visto che non c’è stato quell’accordo, o comunque omogeneità di consenso.
In 15 anni abbiamo avuto ben 4 tentativi, del tutto decorosi di nota, conclusi con la pubblicazione di un progetto:
• Progetto Pagliaro (Antonio Pagliaro, Presidente della Commissione per la riforma del codice penale 1992)
• Progetto Ritz (Orlando Ritz, pubblicato nel 1994)
• Progetto Grosso (prof. Grosso tra il 1998 e 2000)
• Progetto della Commissione presieduta da Carlo Nordio.
Si è trattato di progetti di riforma della parte generale del codice penale, forse quella che meno ne aveva bisogno.
Il Codice Rocco contiene il fondamentale principio di garanzia dei cittadini: Nullum crimen sine lege Questo criterio comporta, soprattutto nei confronti dell’autorità pubblica, dei limiti, non potendo quest’ultima penalizzare o sottoporre a castigo dei cittadini se costoro non hanno commesso un fatto ritenuto riconducibile a una norma penale. Il codice rocco al suo art. 1 stabilisce in primis il principio di legalità (anche se i regimi totalitari che hanno adottato questo codice non si sono sentiti vincolati da questa affermazione).
Non sono mancati studiosi di notevole importanza, come il Maggiore, che aderivano in toto alle tesi del regime fascista e di questa adesione vi è traccia nei loro scritti. La Costituzione non ha travolto il Codice Penale, infatti a distanza di 76 anni dalla sua approvazione. Non è più comunque questo il codice dell’epoca, poiché c’è stato un certo lavoro di ammodernamento da parte sia della stessa Costituzione sia da parte della Corte Costituzionale. La Corte delle leggi tende a non invadere un campo che essa considera proprio del legislatore, escludendo a se il potere di intervenire direttamente nel costruire una fattispecie penale, anche se in alcuni casi, anche importanti si è verificato questo intervento (adulterio e concubinato, sentenze 126/1968 e 14).
Il confronto costante tra norma penale e norma costituzionale ha portato ad una modifica complessiva del sistema penale, più adatto ad un diverso regime politico e ad un clima sociale profondamente cambiato. Oltre al ricorso alla Corte Costituzionale, il sistema è cambiato con una serie di interventi, alcuni dei quali, investono direttamente il codice, a partire dal D.L. 99/1974, che ha modificato radicalmente il senso più benevolo per il colpevole alcuni istituti come la recidiva, il reato continuato e le circostanze. La riforma penitenziaria, anche se profondamente modificata nel corso degli anni, è stato un ulteriore intervento da parte del legislatore a rendere il sistema penale attuale ed efficace.
Gli interessi tutelati dal sistema penale
Per come è già noto un determinato comportamento umano viene considerato dal legislatore lesivo degli interessi primari della società e quindi sottoposto a sanzione criminale. È evidente che in questa valutazione il legislatore considera quelli che sono gli interessi in gioco. Da una parte vi sono i beni e gli interessi che fanno capo all’individuo: il suo patrimonio, la sua libertà personale la sua onorabilità. Dall’altra vi sono gli interessi della collettività. Per assurdo è stato ipotizzato il miglior diritto penale che è quello che non viene mai applicato, perché vi è un bilanciamento così sapiente che nessuno dei consociati penserebbe mai di commettere un reato.
La ragione per cui un determinato comportamento viene colpito dalla sanzione penale è data dalla rilevanza dell’interesse che viene protetto. "L’interesse viene definito nella scienza del diritto penale come bene giuridico o come oggetto della tutela penale" (Arturo Rocco). Nel periodo antecedente a quello di Arturo Rocco era già noto il concetto di bene giuridico come oggetto di tutela, ma veniva accostato al diritto soggettivo (bene di pertinenza di un privato). Anche i positivisti qualificano come bene giuridico qualunque bene o cosa alla cui conservazione il diritto penale ha interesse.
Il bene giuridico identifica lo scopo della tutela del legislatore, si tratta cioè della ratio di una penalizzazione. C’è da considerare come negli Stati autoritari la teorica del bene giuridico, assai importante, aveva una valenza assai minore, perché in quell’ambiente culturale ciò che importava non era l’offesa al bene o interesse, ma semplicemente della violazione di un dovere del cittadino nei confronti dell’Autorità e dello Stato. La qualificazione dei beni giuridici viene fatta dal legislatore con l’elenco fatto nel II Libro del codice penale. In particolare, questa parte del codice viene divisa in 13 Titoli e sono questo tredici che formano la categoria degli interessi tutelati.
Gli interessi tutelati dal sistema penale
Titoli del codice penale II libro:
• Reati contro la persona
• Reati contro il patrimonio
• Reati contro la P.A.
• Reati contro l’amministrazione della giustizia
• Reati contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti
• Altri
Questa è la classificazione data da Rocco che ci è utile anche per fini sistematori, ma è altrettanto vero che all’interno di ogni reato, possono emergere beni giuridici diversi o al limite anche più di un bene giuridico (reati plurioffensivi).
Alcuni beni giuridici non sembrano essere proprio quelli che il legislatore aveva indicato classificandoli e allora un aiuto può essere offerto proprio dalla Costituzione, la quale ci indica una gerarchia di beni o interessi ponendo per esempio in posizione gerarchica imminente i diritto degli individui (la libertà personale, l’inviolabilità della corrispondenza, l’inviolabilità del domicilio).
Dopo questa categoria di beni giuridici, la Costituzione elenca quei diritti del l’individuo funzionali che esprimono le possibilità del l’individuo nell’esplicazione delle attività umane (art. 21: manifestazione libera del pensiero e della propria opinione).
Il legislatore è libero, ma entro certi limiti incontra queste condizioni imposte dalla Costituzione, nello scegliere quali comportamenti punire ed è anche libero nel penalizzare lo stesso comportamento come delitto, come contravvenzione o come illecito amministrativo. Vi è da considerare il fatto che, se il legislatore possa essere obbligato a penalizzare determinati comportamenti, in ragione di esigenze concrete e reali che vengono dalla società, che però il legislatore non coglie o non vuole cogliere. Non vi è modo di rendere efficace tale obbligo, poiché la Corte Costituzionale ha escluso di poter porsi o sostituirsi al legislatore, qualora quest’ultimo ometta di disciplinare determinati comportamenti che pure la società vorrebbe fossero penalizzati
Qualche indicazione, esiste tuttavia per porre rimedio a tale esigenza. Art. 13, 4 comma Costituzione, il quale impone che venga punita qualsiasi violenza fisica o morale su persone soggette a restrizione di libertà. È una norma immediatamente precettiva, sancendo l’obbligo per il legislatore di penalizzare, qualifìcando esplicitamente come illeciti penali, le violenze anche morali nei confronti di detenuti.
Un ulteriore aspetto sugli obblighi di penalizzazione, la creazione cioè di beni giuridici effettivamente esistenti, potrebbe venire dai rapporti tra il diritto comunitario ed il diritto interno. Almeno nell’attuale fase di attuazione, gli organi europei, né il Parlamento, né la Commissione, né il Consiglio, hanno il potere di imporre allo Stato di penalizzare certi comportamenti commessi in uno degli Stati membri. Possono solamente indicare dei beni da proteggere, o sanzionare lo Stato inadempiente e certamente il discredito per le autorità di Governo che non si conformano ad una decisione della Corte di Giustizia europea, può senz’altro spingere queste forze Governo ad attuare quella che può essere una direttiva o regolamento o in generale la richiesta di un organo comunitario.
Gli interessi tutelati dal sistema penale Per concludere sul bene giuridico: Si tratta del bene o interesse che il legislatore considera nel penalizzare un comportamento lesivo di quell’interesse o di quel bene. Secondo questa concezione, ogni reato sottende un interesse. Non si giustifica la penalizzazione di una condotta umana ad una sottoposizione di questo comportamento alla sanzione se non vi sia al di sotto un bene da proteggere. L’esistenza del bene segna, quindi, il limite dell’intervento del sistema penale. Non si esclude che possano esistere dei reati per i quali il bene non c’è (reati di puro sospetto).

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