domenica 14 giugno 2009

Diritto Penale - Il principio di legalità

In virtù del principio di legalità penale sia il fatto che costituisce reato sia la sanzione che si ricollega alla sua commissione devono essere espressamente previsti dalla legge. Esso viene solitamente espresso con il brocardo latino di origine illuministica Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali.
Il principio di legalità è il principio che vieta di punire qualunque fatto che, al momento della commissione, non sia espressamente previsto come reato e di sanzionarlo con pene che non siano espressamente previste dalla legge.
Il diritto penale, lungo l'arco della sua storia, è stato contrassegnato dalla contrapposizione dialettica di due diversi modi di intendere il principio di legalità, che riflettono due diversi modi di concepire il rapporto tra individuo e Stato. Così, fra le esigenze della certezza del diritto da una parte e di giustizia sostanziale dall'altra, si è pervenuti all'elaborazione di due diversi principi: Legalità Formale e Legalità Sostanziale
La definizione del principio di legalità
Principio di legalità: nessun reato, nessuna pena senza una previa legge penale Un richiamo storico può essere fatto alla Magna Carta Libertatum (risalente al 1215). Uno dei primi atti con i quali il Principe, che lo Stato impersonava, si sottoponeva alla autorità della legge.
I concetti con il passar del tempo sono divenuti più chiari, non bastando una semplice sottoposizione, ma occorreva che venissero elencati i diritti dei cittadini, occorreva inoltre, l’elenco le condotte che la legge considerava criminose, sottoposte cioè, le condotte, a sanzione penale.
L’elenco delle condotte sanzionabili penalmente dovevano essere previste prima della realizzazione di queste condotte.
Il principio NuIIum crimen, nullum poena sine lege, è stato forse quello che ha consentito al codice Rocco di reggere l’impatto con i nuovi tempi e con il regime democratico. Si tratta di un principio di marca liberale (Cesare Beccaria lo ha ben descritto) ed un principio che è stato accolto in apertura del codice vigente, anche se nel periodo fascista l’art. i del c.p. ha formato sempre un baluardo insuperabile contro gli abusi del potere politico (tribunali speciali).
- La riserva di legge
Il principio di legalità comporta una serie di sottocriteri o sottoprincipi:
- La riserva di legge assoluta: nessuna norma penale può essere posta ex novo se non che con una legge, quindi le leggi ordinarie (approvate dal parlamento), i decreti legge (art. 67 2° e 3° comma Cost.), decreti legislativi (artt. 76 e 77 comma 1° Cost.). Non è possibile introdurre nuove fattispecie penali con leggi regionali (art. 117 Cost.), una eccezione è per la Regione Sicilia Altre fonti possono essere richiamate ad integrare una norma penale o le c.d. leggi penali in bianco, in questo caso il precetto deve essere definito in maniera sufficientemente precisa dalla norma penale sulla quale grava il criterio della riserva di legge.
Le norme penali in bianco
Questa forma di eterointegrazione della norma penale riguarda i comportamenti che il precetto vieta, della inosservanza dei provvedimenti della autorità dati per ragioni di giustizia, ordine pubblico, o di igiene (divieto contenuto nell’art. 650 c.p., modello tipico di norma penale in bianco). Il precetto dell’art. 650 c.p. e cioè l’inosservanza del divieto è sufficientemente (così lo ha dichiarato la Corte Costituzionale sentenza n. 168/71) definito dalla norma penale.
Un ulteriore esempio di eterointegrazione, ma dal punto di vista degli aspetti tecnici del comportamento considerato vietato. L’art. 659 c.p. vieta i mestieri rumorosi facendo riferimento a indicazioni dell’autorità locale che stabiliscano i limiti e i criteri dell’esercizio di mestieri in zone abitate.
Altra forma di eterointegrazione della norma penale riguarda il modo di legiferare con il richiamo a tabelle. Il testo Unico del 1990 (modificato nel 2005) con il richiamo posto a delle tabelle che stabiliscono il contenuto di sostanze ad effetto stupefacente in ciascuna delle sostanza considerate.
Di conseguenza al discorso appena fatto, non possono essere introdotte nuove norme penali dalla consuetudine, sia essa incriminatrice (che pone exnovo un precetto penale), sia essa aggravatrice (che aggrava la previsione normativa), sia la desuetudine. Su questa ultima fattispecie, la desuetudine, bisogna sgombrare il campo da un’equivoco, cioè, il fatto che certe condotte che obiettivamente potrebbero o possono costituire reato, non vengano sottoposte a pena, non deriva dalla desuetudine, ma dal fatto che in determinati casi (come gli schiamazzi notturni nei centri urbani) vi è un problema di impossibilità a contenere tutte le fattispecie, ma non si esclude che in qualche caso possa essere sanzionata una condotta del genere.
La consuetudine ha invece valore nel campo della cause di giustificazione, potendo esterne l’efficacia.
Ma qui non siamo nel campo penale, a dire il vero le cause di giustificazione incidono escludendo la pena, incidendo quindi sull’antigiuridicità penale, ma non hanno carattere strettamente penale, non comportano, infatti, precetti o sanzioni. Secondo la tesi dell’Antolisei esistono alcuni casi di scriminanti non codificate che tuttavia sono da considerare tali, quindi con efficacia scriminante, per effetto della consuetudine.
Il problema dell’efficacia, nei termini del principio della riserva di legge, della norma comunitaria. Da oltre cinquant’anni si è seguito un lungo cammino di integrazione, anche se prevalentemente economico.
Gli organi europei , gli atti degli stessi, non hanno la capacità di introdurre nel sistema interno una norma penale, anche gli organi della giustizia comunitaria (Corte di giustizia, Commissione) emettono decisioni che dovranno essere attuate all’interno dei singoli Stati.
Non esiste ancora un organo sovranazionale, in grado di produrre una norma che sia efficace in ciascuno degli Stati aderenti. La norma comunitaria ha certamente valore per lo Stato interno, nel senso che questo è tenuto a darvi attuazione, il giudice nazionale deve considerare la norma comunitaria e se vi è contrasto tra questa e la norma intera, si ritiene che il giudice posa disapplicare la norma interna.
La norma comunitaria può essere un limite e può essere disapplicata. Ad esempio una direttiva consente a determinate categorie di professionisti della comunità europea, di esercitare la professione, salvi certi limiti, in ciascuno degli Stati aderenti. In questo caso il giudice, una volta valutata l’esistenza dei presupposti, può prosciogliere il professionista che si sia stabilito in uno Stato comunitario, nel caso in cui a questo professionista venga proposta denuncia per abusivo esercizio della professione.
La pena Altro aspetto, strettamente connesso con la riserva di legge, è il problema della pena (nullum poena sine lege). Anche su questo tema è intervenuta la Costituzione, nell’ultima parte dell’art. 27 dove introduce il principio del finalismo rieducativo, cioè le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Le pene eccessivamente feroci o sproporzionate sono da ritenere incostituzionali ai sensi dell’art. i c.p. e art. 25 e 27 Cost. e allo stesso modo, non conforme a Costituzione una pena coniata in modo da contenere una forbice eccessiva, cioè un minimo ed un massimo della pena troppo distanti (una pena per la reclusione con un minimo di 15 gg. Ed un massimo di 20 anni, sarebbe senza dubbio incostituzionale per violazione del criterio del fine rieducativo, ma anche per violazione dell’esercizio del potere discrezionale del giudice).
Il principio di tassatività di sufficiente determinatezza
Si tratta di una vera e propria proiezione del principio di legalità, infatti questo principio comporta il ricorso ad accettabili tecniche di formazione e redazione della fattispecie ed è connesso con il criterio della frammentarietà della norma penale. Non ogni aggressione allo stesso bene necessariamente costituisce illecito penale che la previsione di una norma sufficientemente determinata è allo stesso modo strumento di guida per i cittadini e per il titolare dell’azione penale.
In caso contrario, cioè di una norma non sufficientemente determinata, il P.M. non saprebbe quando esercitare o meno l’azione penale.
La Corte Costituzionale, per quanto riguarda il principio di tassatività o sufficiente determinatezza, ha svolto e continua a svolgere una opera di conservazione delle fattispecie e adotta una interpretazione che consenta al giudice di interpretare quella determinata fattispecie in modo accettabile in rapporto ai parametri costituzionali. Esistono anche indicazioni nel codice che in apparenza sarebbero prive del carattere di determinatezza. Per esempio il concetto di osceno che fa riferimento al comune sentimento del pudore. Si tratta di un parametro troppo generico lasciando al giudice un grado di discrezionalità eccessivo.
La Corte Costituzionale nel 1970 con la sentenza n. 191 ha ritenuto conforme a costituzione il concetto di osceno, facendo riferimento alla nozione di diritto vivente, esistono cioè alcune categorie concettuali destinate, per loro natura, ad essere riempite di contenuti da una interpretazione giudiziale di per sé evolutiva.
Il riferimento al diritto vivente è avvenuto anche nel 1972 con la sentenza n. 42 con riguardo alla nozione di assistenza familiare, così descritta nell’art. 570 c.p. (la violazione degli obblighi familiari).
La Corte anche qui ha fatto riferimento al diritto vivente, sostenendo che non tutti i momenti di crisi e di tensione che si registrano all’interno del nucleo familiare possono dar luogo a situazioni nelle quali l’obbligo di assistenza familiare viene omesso. In questo caso l’interpretazione giudiziale si è evoluta anche in rapporto all’evolversi dell’istituto della famiglia. Un altro esempio riguarda l’esercizio abusivo della professione (sentenza del 1983 n. 169).
Il caso più eclatante di denuncia e successiva declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma, per mancanza di sufficiente determinatezza, riguarda l’art. 603 c.p. che rappresentava il delitto di plagio.
Una condotta non facilmente definibile (fattispecie tipica: il comportamento di chi riducesse altra persona, con mezzi psicologici, in stato di completa soggezione). Un importante precedente giurisprudenziale della Corte di Assise di Appello di Roma 28/11/1969 sul caso Braibanti con la condanna del reo.
La Corte Costituzionale ha dichiarato non conforme a costituzione il plagio, con sentenza 86 del 1981.
Con il termine plagio, nel diritto penale italiano ci si riferiva all’omonimo reato previsto dal Codice Rocco, poi dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 96 dell'8 giugno 1981. L'origine del termine deriva dal latino plagium (sotterfugio), che nel diritto romano indicava la vendita di un uomo che si sapeva essere libero come schiavo, ovvero la sottrazione tramite persuasione di uno schiavo altrui.[1] Si legge nella citata sentenza, che "Nel diritto antico e sino all’inizio dell’età moderna il reato di plagio era inerente all’istituto giuridico della schiavitù inteso come stato della creatura umana non avente personalità giuridica [...] A partire dalla fine del secolo XVIII con la progressiva accettazione del principio dell’uguaglianza dello stato giuridico delle persone e con la conseguente progressiva abolizione dell’istituto della schiavitù [...] è esclusivamente concepito come un delitto contro la libertà individuale".
Altro caso più recente di declaratoria di illegittimità costituzionale per insufficiente tassatività della fattispecie riguarda l’ipotesi di frode fiscale (art. 4 n. 7 ultima parte della L. 516/1982: norma di chiusura priva di specificita visto che affermava che ogni altra condotta fraudolenta del contribuente poteva essere idonea ad integrare la frode ficale).
Anche allora, tale delitto veniva punito con una certa severità, oggi è stato riqualifìcato insieme a tutti i reati tributari con d.Igs. 74/2000. La Corte Costituzionale ha ritenuto questa norma come non costituzionale per difetto del requisito della determinatezza.
Le tecniche di redazione della fattispecie fanno usi di elementi descrittivi che richiamano conoscenza naturalistiche come la nozione di uomo necessaria per stabilire l’oggetto materiale di: • Omicidio (comprende anche il neonato, il feto al momento del distacco dal lato materno, purché sia vivo e vitale);
• Lesione personale (la riduzione dell’integrità fisica); Ma, per la redazione delle fattispecie, vengono utilizzati anche elementi normativi, cioè elementi tratti dal mondo del diritto che possono essere giuridici (come la nozione di altruità della cosa, nel furto, art. 624 c.p.).
L’irretroattività
Ultimo e ulteriore portato del principio di stretta legalità è il criterio di irretroattività della norma penale. Nullum crimen sine pre via lege yenale La legge penale deve essere in grado di fungere da guida e orientamento per i cittadini consociati ai quali essa si rivolge. Il criterio della irretroattività è un portato immediato del principio della legalità dando una sostanziale garanzia al cittadino, confermato non solo dall’art. 25 Cost. ma anche dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (le preleggi) che stabiliscono che la legge non stabilisce che per il futuro.
Con il disposto dell’art. 2 c.p. il principio ha valenza bilaterale. L’irretroattività della legge penale incriminatrice ma la retroattività della legge penale successiva più favorevole. Il legislatore intervenendo su una determinata fattispecie considera quella condotta, in precedenza considerata e punita in una certa maniera, non più lesiva o lesiva in maniera minore e quindi sottoposta ad una pena diversa e più lieve. la modifica della norma penale, comporta una serie di questioni, perché può accadere che la legge penale successiva non porti all’abrogazione di quella precedente ma alla modifica. Avremo quindi una nuova norma penale con la quale l’interprete deve cogliere i nessi con quella precedente.
Se si tratta di abrogazione, allora, il giudice non potrà emettere alcuna condanna dichiarando il non luogo a procedere, perché il fatto non è più previsto come reato. Se lo stesso fatto, considerato dalla legge precedente modificata, è ancora da ritenere fatto criminoso, anche se diversamente configurato, il giudice dovrà stabilire quale delle due norme sia applicabile. Secondo il criterio in esame, applicherà la legge precedente, ove la pena sia meno grave (irretroattività della legge penale sfavorevole) o applicherà la nuova legge se le conseguenze penali sono meno gravi (retroattività della legge più favorevole).
È da considerare il complesso della nuova legge. Infatti, se questa comporta una procedibilità a querela, mentre prima il reato era perseguibile d’ufficio, il giudice deve considerare più favorevole la nuova, perché viene stabilito un ostacolo alla procedibilità a vantaggio dell’imputato. Per stabilire se vi è abrogazione o successione tra le norme penali, esistono due criteri:
1. La continuità del tipo di illecito;
2. Della continenza.

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