domenica 5 luglio 2009

Diritto Internazionale - I Trattati

Diritto convenzionale (I Trattati)
Il Diritto Internazionale non si limita al Diritto consuetudinario. Gli Stati possono accordarsi fra di loro, autoregolamentandosi ed integrando in tal modo le regole generali. Per indicare l’accordo la terminologia usata è assai varia, parlandosi indifferentemente, oltre che di accordo, di trattato, di convenzione, di patto, ecc. Ad ogni modo, pur cambiando il nome, la natura dell’atto non muta ed è quella propria degli atti contrattuali; l’accordo internazionale può essere definito come l’unione o meglio l’incontro delle volontà di due o più Stati dirette a regolare una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Dai trattati internazionali sorgono diritti e doveri per i soggetti che vi hanno preso parte e produce solo quegli effetti che i contraenti, mediante l’accordo, intendono perseguire.
A questo principio, affermato anche in sede giurisdizionale dalla Corte Permanente di Giustizia internazionale nella sentenza del 25 marzo 1926, si è adeguata anche la Convenzione di Vienna che all’art.34 non esclude che una norma, posta mediante accordo, possa obbligare tutti i Paesi solo se si trasforma in una norma consuetudinaria internazionale e che sia riconosciuta come tale. In questo caso la norma perderebbe il carattere di norma pattizia o particolare, diretta cioè soltanto verso i soggetti che l’hanno posta in essere, per acquistare il valore di norma generale ossia rivolta verso tutti i consociati.
In ogni caso le norme del diritto consuetudinario non hanno un valore gerarchico superiore rispetto alle norme convenzionali. Le norme di diritto consuetudinario hanno infatti un contenuto flessibile e mutevole e gli stati possono derogarvi attraverso norme pattizie.
Trattati e stati terzi
Dai trattati internazionali sorgono diritti e doveri per i soggetti che vi hanno preso parte.
Le parti contraenti possono anche stabilire la nascita di obblighi e diritti soggettivi in capo ad uno Stato terzo:
1) nel caso di disposizioni di obblighi occorre che lo Stato terzo coinvolto, debba accettarli per iscritto; l’obbligo così assunto potrà essere revocato o modificato con il consenso delle parti contraenti e dello stesso Stato terzo;
2) mentre nel caso di acquisto di un diritto, il consenso si ritiene esistente finché non si riscontri una indicazione contraria ed esso non potrà essere revocato senza il consenso dello Stato terzo a meno che non sia stato stabilito che non occorre il consenso del terzo.
Procedura di stipula dei trattati. Modo di formazione dell’accordo: Negoziazione e ratifica.
Un trattato è il frutto di lunghe e laboriose trattative che gli enti internazionali pongono in essere per ottenere il soddisfacimento delle rispettive aspettative, e questo complesso procedimento consta generalmente di due fasi : la negoziazione e la ratifica.
La Negoziazione e la fase preparatoria ed è svolta dai plenipotenziari che provvedono alla preparazione dell’accordo, non prima di aver indicato gli atti che attestano i loro pieni poteri.
La fase della negoziazione si conclude con la firma dei plenipotenziari e l’apposizione della data. Il trattato così concluso sarà valido solo dopo essere stato ratificato: la Ratifica, infatti, costituisce la manifestazione di volontà dello Stato di accettare integralmente il contenuto del trattato e deve essere fatta dall’organo competente. E’ spesso accaduto che alla fase della negoziazione non sia conseguita la ratifica da parte di tutti gli organi che partecipano alle trattative. La ratifica è contenuta in un apposito strumento, detto “strumento di ratifica”, ed è considerata, dal punto di vista giuridico, un elemento costitutivo del trattato. Essa, al pari dell’accordo, deve essere scambiata con quella degli altri Stati contraenti e non è una conseguenza automatica della fase di negoziazione ben potendo uno Stato rifiutarsi di ratificare un trattato (con la conseguenza che il trattato non è obbligatorio per lo Stato che non lo ha ratificato).
Le riserve.
In alcuni casi, per allargare al massimo il numero di partecipanti al trattato, è consentito a taluni Stati di accettare il testo del trattato apponendovi alcune riserve che rendono o non rendono efficaci nei confronti degli Stati che lo fanno, alcune parti del trattato stesso.
L’art.19 della Convenzione di Vienna elenca i casi in cui le riserve non possono essere apposte:
· se nel trattato vi è un preciso divieto in proposito ad apporre riserve;
· se sono individuate delle riserve tra le quali non è contemplata quella questione;
· se la riserva sia incompatibile con l’oggetto o lo scopo del trattato.
Le riserve sono formulate dai plenipotenziari al momento della sottoscrizione con la conseguenza che la ratifica comprenderà anche la riserva. La riserva ha effetto solo fra lo Stato che la formula e quello che l’accetta. Inoltre, singole parti contraenti possono opporre obiezioni alla riserva senza che ciò impedisca all’intero trattato di entrare in vigore.
Registrazione e pubblicazione dei trattati.
La registrazione e la pubblicazione dei trattati è stata introdotta dall’art.33 del Patto della Società delle Nazioni che prevedeva la necessità della registrazione presso il Segretariato, di qualsiasi trattato o accordo concluso da un membro della Società, non essendo obbligatori in mancanza di registrazione.
L’introduzione di questa norma ha dato luogo a molte perplessità nel senso che una interpretazione letterale avrebbe esteso la sua applicazione non solo ai patti conclusi tra stati membri della Società delle Nazioni ma anche agli accordi conclusi dai membri con paesi estranei.
L’introduzione di questa norma si scontrava con uno dei princìpi cardini del diritto internazionale secondo cui un patto è valido solo nei confronti degli Stati contraenti e non nei confronti di Stati terzi: detto principio applicato al Patto avrebbe comportato l’obbligo della registrazione solo per i Paesi membri della Società delle Nazioni e non per i Paesi terzi estranei alla Società delle Nazioni.
Per evitare problemi di adattabilità al diritto internazionale , si ritenne di dover considerare la registrazione un elemento non costitutivo dell’accordo, il quale avrebbe mantenuto la sua efficacia obbligatoria anche in mancanza di registrazione. L’obbligo della registrazione restava vincolante solo nell’ambito della Società delle nazioni.
L’art.102 della Carta delle Nazioni Unite e l’art.77 della Convenzione di Vienna, dispongono l’obbligo di registrazione e di pubblicazione dei trattati stipulati da un membro delle Nazioni Unite a cura dello stesso membro, in assenza di tale registrazione, nessuno Stato contraente può invocare l’accordo o il trattato davanti ad un organo delle Nazioni Unite.
Interpretazione dei trattati.
Il problema dell’interpretazione dei trattati è dovuto essenzialmente all’assenza, sul piano del diritto internazionale, di principi costituzionali in materia e di un ente sovraordinato agli Stati dotato del potere di interpretare i trattati in forma autoritaria (come la Corte Costituzionale è chiamata a fare in Italia).
La Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, superando le discordanze della dottrina, introdusse alcuni principi fondamentali. Il principio più importante è contenuto all’art.31 ed afferma che il trattato deve essere interpretato secondo buona fede, tenendo conto dell’interpretazione letterale e di quella logica per il rilievo conferito all’oggetto ed allo scopo dello stesso.
Fondamentale è l’analisi di tutte le parti del trattato, quali il preambolo, gli allegati, ogni accordo intervenuto tra le parti relativo al trattato e ogni strumento disposto da una o più parti in occasione della sua conclusione. I mezzi che l’interprete deve utilizzare sono gli accordi conclusi successivamente tra le parti ai fini interpretativi ed ogni norma di diritto internazionale applicabile tra le parti.
L’art.32 della Convenzione stabilisce che il ricorso ai mezzi complementari di interpretazione e all’analisi dei lavori preparatori (per lavori preparatori si intendono le manifestazioni di volontà espresse nella fase della negoziazione e quelle che risultano dai processi verbali e dalle discussioni precedenti la formazione del testo del trattato) è ammesso solo ove, sulla base dell’interpretazione testuale o logica, il significato del trattato resti oscuro.
L’art. 33 riguarda i trattati redatti in più lingue e precisa che, nel caso di discordanza tra i testi redatti, nelle varie lingue sarà adottato il significato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concili nel migliore dei modi i testi in questione.
Estinzione dei trattati.
L’estinzione del trattato comporta la definitiva cessazione della efficacia delle norme poste attraverso esso. L’estinzione può essere totale o parziale:
· è totale se le parti contraenti esprimono contemporaneamente la volontà di voler far cessare l’efficacia del trattato;
· è parziale se in un trattato plurilaterale solo uno dei contraenti compie un atto idoneo a determinare l’estinzione del trattato, restando efficace e valido per gli altri contraenti.
Oltre che dal punto di vista soggettivo, l’estinzione può essere totale o parziale dal punto di vista oggettivo, a seconda che cessino di aver efficacia tutte le norme poste dal contratto o solo alcune.
Le cause di estinzione possono essere fondate sul diritto internazionale generale, come la desuetudine e consuetudine contraria, l’accordo abrogativo, l’impossibilità della prestazione, ecc., e quelle che solitamente sono indicate nello stesso accordo e cioè il termine finale, la condizione risolutiva, la denuncia, il recesso.
Cause di estinzione previste dall’accordo.
1) Il termine finale è contenuto in una clausola del trattato e da esso dipende la cessazione del trattato e risulta dal riferimento di una data fissa o un avvenimento futuro ed incerto.
2) la condizione risolutiva è un avvenimento futuro ed incerto da cui dipende la cessazione dell’efficacia del trattato e può essere impropria (l’estinzione si sviluppa dal momento in cui si verifica l’avvenimento indicato dalla condizione – ex nunc) o propria (come se il trattato non fosse mai stato posto in essere – ex tunc);
3) la denuncia o il recesso sono quasi sinonimi e spesso sono utilizzati indistintamente; indicano una manifestazione unilaterale di volontà di un ente diretta ad estinguere il trattato nei riguardi dello stesso ente che la compie. La denuncia è spesso riferita ai trattati bilaterali, mentre il recesso a quelli plurilaterali.
Per quanto riguarda l’estinzione del trattato la Convenzione di Vienna dispone, in termini generali, che essa può aver luogo solo in applicazione delle disposizioni del trattato o con il consenso di tutte le parti e comunque l’art. 54 disciplina la materia dell’estinzione del trattato.
La dichiarazione di volontà diretta a denunciare un trattato o a recedere da esso dovrà essere notificata alla controparte o alle altre parti con un anticipo di almeno dodici mesi.
Secondo l’art. 45 uno Stato non può recedere da un trattato ove abbia esplicitamente accettato di considerare il trattato ancora in vigore o abbia tenuto in tal senso un comportamento concludente.
Cause di estinzione non previste dall’accordo.
Tra le cause di estinzione non previste dall’accordo e che traggono il loro fondamento dalla consuetudine ricordiamo:
· L’abrogazione: se tutti i contraenti stipulano un nuovo accordo avente lo stesso oggetto di un accordo precedente, implicitamente si ritiene che il nuovo abroghi il vecchio trattato; l’abrogazione può verificarsi anche a seguito di una norma consuetudinaria in contrasto con il contenuto del trattato. La consuetudine può essere sia generale, cioè riguardante tutti i soggetti della comunità internazionale, sia particolare, ossia riguardare solo quelli che hanno stipulato il trattato.
· L’estinzione dei soggetti: si realizza se un ente cessa di essere destinatario delle norme dell’ordinamento internazionale. Se il trattato stipulato dall’ente è bilaterale, esso si estingue; se il trattato è plurilaterale si verifica solo una riduzione della sfera dei destinatari delle norme poste mediante tali accordi.
· L’impossibilità di esecuzione: si verifica se l’impossibilità sopravvenuta dipende o dalla sparizione o dalla distruzione dell’oggetto (bene) indispensabile per l’esecuzione del trattato. È necessario che la distruzione non sia stata causata da una delle parti del trattato.
· L’inadempimento: la violazione di una delle due parti degli obblighi previsti dal trattato, autorizza la controparte ad invocare detta violazione come causa di estinzione del trattato. Nel caso di trattati multilaterali, la violazione da parte di uno dei contraenti autorizza gli altri a porre termine al rapporto con la parte che ha dato causa alla violazione.
· Mutamento delle circostanze; Il tema del mutamento delle circostanze è uno dei più discussi nel diritto internazionale. Naturalmente ci si riferisce a mutamenti non previsti nel momento della conclusione del trattato perché, se fossero previsti, si tratterebbe di condizione risolutiva, con efficacia “ex nunc”. Mentre il mutamento non previsto delle condizioni che hanno portato alla stipula del trattato, la cosiddetta clausola “rebus sic stantibus”, può essere invocato come motivo per porre termine al trattato o per recedere dallo stesso ove l’esistenza di quella situazione sia stata fondamentale per il consenso delle parti ad essere vincolate dal trattato e il cambiamento delle stesse abbia trasformato il peso degli obblighi che ancora restano da eseguire in base al trattato.( Convenzione di Vienna art:62).
· La rinuncia: Se lo scopo di un trattato è l’attribuzione di un diritto soggettivo ad un soggetto, nel caso in cui detto soggetto abbia intenzione di rinunciarvi si verifica la cessazione degli effetti del trattato. La rinuncia può essere espressa o tacita e deve risultare da un comportamento inequivocabile del soggetto che ne è l’autore. Se il comportamento di un ente è erroneamente interpretato come rinunciatario di un dato diritto, per evitare la cessazione degli effetti del trattato, sarà necessario che detto ente invii una formale protesta per tutelare e conservare i diritti.
Conseguenze dell’estinzione.
Il diritto internazionale non indica una particolare procedura da seguire per porre termine ad un trattato o per recedere da esso mentre la Convenzione di V. all’ art. 65 prevede che la parte che intende recedere da un trattato deve notificare la sua volontà alle altre parti seguendo una procedura identica a quella prevista per i casi di nullità del trattato.
Per quanto riguarda invece le conseguenze dell’estinzione di un trattato, in base all’art.43 della Convenzione di Vienna, l’estinzione di un trattato non pregiudica il dovere di uno Stato di adempiere ad ogni obbligo menzionato nel trattato, al quale sia tenuto sulla base del diritto internazionale generale indipendentemente dal trattato stesso mentre la previsione contenuta all’art.70, l’estinzione del trattato libera le parti da ogni obbligo di esecuzione.
Nel caso di trattato bilaterale, la denuncia produce l’estinzione del trattato; in quello di trattato plurilaterale, se l’estinzione è conseguenza di una dichiarazione di recesso, l’effetto liberatorio si produce nei rapporti tra l’ente che ha compiuto la dichiarazione e le altre parti dal momento in cui il recesso entra in vigore. L’estinzione del trattato non pregiudica alcun diritto o obbligo o situazione giuridica venutasi a creare durante la vita del trattato e prima della sua cessazione.
Inesistenza e invalidità dei trattati.
Già prima dell’entrata in vigore della Convenzione di Vienna la dottrina internazionalistica individuava alcuni requisiti necessari per dichiarare l’esistenza e la validità dei trattati e tra questi requisiti vanno citati :
- la presenza di due o più manifestazioni di volontà vertenti sullo stesso oggetto ( consenso);
- l’imputazione delle suddette volontà a degli Enti internazionali;
- la necessità che tali manifestazioni di volontà fossero esenti da vizi e compiute da soggetti dotati di capacità di agire e cioè destinatari della norma internazionale.
Quindi, circa i requisiti che la dottrina tradizionale considera come attinenti all’esistenza del trattato, deve rilevarsi che non sussiste alcun dubbio sulla possibilità che sia il difetto di manifestazione di volontà, sia il dissenso ( mancato incontro delle volontà) sia ancora l’assenza di qualità di organo dell’individuo che compie tale manifestazione comportino l’inesistenza del trattato per il diritto internazionale in quanto in simili circostanze esso non avrebbe la parvenza di atto internazionale.
In caso di incompetenza dell’organo che compie la manifestazione di volontà, non si parlerà di atto inesistente ma di trattato invalido, la cui nullità possa essere invocata solo dalla parte interessata, nel caso in cui, nonostante la mancanza di qualità organica dell’individuo che ha concluso il trattato, altri organi delle stesso ente si comportino in maniera conforme al contenuto del trattato. Inoltre la Convenzione afferma che la nullità del trattato non pregiudica il dovere di uno Stato di adempiere ad ogni obbligo che sia stato enunciato nello stesso, al quale sia soggetto in base al diritto internazionale a prescindere dal trattato stesso.
Inoltre, se il potere dell’organo di esprimere il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un dato trattato è oggetto di particolari restrizioni, detta circostanza non può essere invocata per togliere validità al consenso espresso, a meno che la restrizione non sia stata prevalentemente notificata agli altri Stati che hanno partecipato al negoziato.
Invalidità dei Trattati
Con riferimento alle cause di invalidità ed in particolare ai vizi della volontà, la dottrina internazionalistica era solita riferirsi alla teoria generale del diritto interno, individuando come tali l’errore, il dolo e la violenza.
Per quanto riguarda l’errore, la Convenzione di Vienna contempla, all’art.48, come causa di invalidità del trattato, l’errore motivo, il quale, ai fini della rilevanza, deve possedere i requisiti della essenzialità e della scusabilità.
Il c.d. errore ostativo è preso in considerazione dall’art.79, e riguarda la correzione degli errori contenuti nei testi o nelle copie ed è considerato dalla convenzione come suscettibile di correzione seguendo una appropriata procedura.
Considerazione a parte merita l’errore bilaterale, detto comunemente dissenso, il quale, escludendo uno dei requisiti fondamentali del trattatati, cioè il consenso, implica conseguenze più gravi quali l’inesistenza o la nullità assoluta del trattato.
Quanto al dolo, la dottrina internazionalistica ritiene si configuri come un errore in cui un ente incorre in seguito al raggiro della controparte e produce le stesse conseguenze dell’errore.
Più complesso il problema della violenza come causa d’invalidità dei trattati. Uno degli orientamenti più seguiti distingue la violenza esercitata contro l’organo dalla violenza esercitata contro lo Stato.
La violenza contro l’organo può essere morale o fisica:
- la violenza morale può riguardare la sfera personale dell’organo, l’individuo che lo rappresenta o i suoi familiare, o lo Stato, nel senso di minaccia rivolta contro un bene dello Stato;
- la violenza contro lo Stato non era considerata come causa di invalidità dei trattati dalla dottrina tradizionale e dalla consuetudine.
La Convenzione di Vienna ha accolto, all’art.51, come causa d’invalidità dei trattati, la violenza esercitata contro l’organo e all’art.52, derogando dai principi tradizionali affermando l’invalidità dei trattati conclusi sotto l’influsso di minacce o con l’uso della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite attribuendo rilevanza giuridica alla violenza contro lo Stato.
La violenza economica costituisce oggetto di solenne condanna, insieme con qualsiasi forma di violenza o minacce, nella Dichiarazione allegata all’atto finale della Convenzione.
Corruzione dell’organo e contrarietà a norme di “jus cogens”.
La Convenzione ha introdotto altre due cause di invalidità pressoché sconosciute alla dottrina, quali la corruzione dell’organo (art.50) e la violazione di una norma imperativa di diritto internazionale generale (art.53).
La corruzione produce conseguenze identiche a quelle connesse col verificarsi dell’errore o del dolo, ma mentre nell’ipotesi di violenza lo Stato o l’ente è sottoposto a coercizione, non avendo altra possibilità se non quella di concludere il trattato, nel caso di corruzione l’organo resta libero di esprimere il suo consenso cedendo deliberatamente alle “proposte” del corruttore.
Sembra più opportuno ricondurre la corruzione all’eccesso di potere o allo sviamento di potere, intendendosi per eccesso lo straripamento del potere e per sviamento del potere la deviazione del potere discrezionale dell’organo dal fine che di volta in volta lo Stato intende perseguire.
Per quanto riguarda la nullità del trattato per contrasto con le norme imperative di diritto internazionale generale, l’art.53 della Convenzione contempla la nullità di un trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale, intendendosi per tale una norma accettata e riconosciuta dalla Comunità Internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma inderogabile.
Conseguenze dell’invalidità dei trattati. Nullità assoluta e nullità relativa.
La Commissione di diritto internazionale ha introdotto nella Convenzione di Vienna una netta distinzione tra le cause di invalidità dei trattati:
- la violenza o la violazione dello “jus cogens” sono considerate causa di nullità assoluta dei trattati che opera automaticamente;
- l’errore, il dolo e la corruzione, invece, possono essere invocate dallo Stato che vi è incorso, come “suscettibili di viziare il proprio consenso ad essere legato al trattato” e generano nullità relativa e non annullabilità.
Per quanto riguarda la possibilità di scindere le disposizioni di un trattato in modo da invalidarlo soltanto parzialmente, se il trattato è affetto da una causa di nullità assoluta, nessuna sua parte può essere recuperata; negli altri casi, è previsto che il trattato possa essere in parte salvato se detta possibilità è presente nel testo del trattato o se le parti si accordino in tal senso e sempre che le clausole inficiate d’invalidità siano scindibili dal resto del trattato.
Se uno Stato abbia dichiarato di accettare un trattato viziato o si sia comportato in maniera conforme a ciò che è imposto dal trattato sottoscritto, non potrà successivamente invocare una causa di nullità dello stesso.
L’art.69 della Convenzione, che enuncia il principio generale secondo cui le disposizioni di un trattato nullo sono prive di valore giuridico, stabilisce che le parti possono rispettivamente chiedersi quale sarebbe stato il quadro delle loro relazioni se non fosse intervenuto il trattato nullo; gli atti compiuti in buona fede prima che sia invocata la nullità del trattato, non possono considerarsi illeciti – questo principio non si applica se il trattato è stato compiuto sotto l’azione del dolo o della violenza o sotto l’azione della corruzione, non potendosi attribuire un vantaggio allo Stato che, volontariamente abbia usato la violenza o abbia corrotto la controparte.
Nel caso di trattato concluso in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale, le parti sono tenute ad eliminare le conseguenze di ogni atto compiuto in contrasto con dette norme.

1 commento:

  1. Complimenti per questo blog, stavo giustappunto studiando diritto internazionale...
    Per quanto riguarda l'opposizione alla riserva potresti aggiungere che in quel caso la disposizione non produce effetti

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