mercoledì 12 agosto 2009

La famiglia, il matrimonio e l'adozione

La famiglia:
L’art. 29 della Cost. stabilisce che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Nel nostro ordinamento, dunque, è famiglia in senso tecnico-giuridico solo quella fondata sul matrimonio.
Diverso è quindi il caso della c.d. famiglia di fatto, ovvero nel caso in cui un uomo e una donna vivono come coniugi senza essere tra di loro sposati; vi sono varie problematiche inerenti tale rapporto tra le quali non ultima quella della filiazione (che vedremo più avanti, per adesso basta anticipare che la filiazione naturale è ormai equiparata a quella legittima).
La giurisprudenza è giunta d affermare che durante la convivenza sussista l’obbligo di mantenimento, soprattutto alla luce della rilevanza sociale che riveste oggi la convivenza.
Dopo la rottura della convivenza, nessun rapporto è configurabile. Il convivente può essere scacciato dalla casa paraconiugale in quanto viene assimilato ad un ospite.
Vediamo ora il matrimonio:
Nel nostro ordinamento esistono due diversi tipi di matrimonio: quello civile e quello c.d. concordatario. Nel secondo caso abbiamo un atto che è rilevante sia nell’ordinamento canonico della Chiesa sia nell’ordinamento dello Stato italiano.
Il matrimonio civile è regolato dal punto di vista formale dal nostro codice, mentre nulla o quasi viene detto circa il suo contenuto.
Ciò che conta nel nostro ordinamento è la forma dell’atto matrimoniale. Caratteristica peculiare è la partecipazione necessaria all’atto dei nubendi e dell’ufficiale dello stato civile.
E’ ’ un atto puro e personalissimo non può essere sottoposta né a condizione, né a termine e se il matrimonio si celebra ugualmente si hanno per non apposte.
Conseguentemente, la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo. Saranno solo restituibili i doni fatti a causa della promessa indipendentemente dal motivo che ha portato alla rottura. Se la promessa è vicendevole e fatta per atto pubblico o per scrittura privata darà diritto al ris arcimento del danno per le spese fatte e per le obbligazioni assunte, a causa della promessa stessa.
I requisiti per contrarre matrimonio sono:
maggiore età o almeno i sedici anni;
la piena sanità mentale;
la libertà di Stato.
Conseguentemente il difetto di tali requisiti comporta la invalidità del matrimonio
Le invalidità matrimoniali:
Nell’ambito del matrimonio civile dobbiamo distinguere, nel più generale concetto di invalidità, tra irregolarità, inesistenza, nullità e annullabilità del matrimonio.
Le semplici irregolarità non determina l’invalidità dell’atto, ma sono punite dalla legge con delle ammende.
Si ha, invece, inesistenza quando manca anche la stessa parvenza di un atto matrimoniale ovvero quando si attesta essere avvenuto un consenso degli sposi che in realtà non è mai stato dato.
Per quanto riguarda la distinzione tra nullità e annullabilità, questa rileva ai fini della prescrizione dell’azione.
La legittimazione a proporre l’azione (anche in caso d’annullabilità) spetta a chiunque vi abbia interesse, diversamente da quanto previsto in materia contrattuale.
In alcuni casi la legittimazione spetta anche al pubblico ministero che non potrà agire dopo la morte di uno dei coniugi. Quando il matrimonio è impugnato, il tribunale ex art. 126 c.c. può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio.
In base all’art. 117 c.c. si hanno cause di nullità e cause di annullabilità:
NULLITA’
- matrimonio contratto dal coniuge del presunto morto, qualora si accerti che quest’ultimo è vivo;
- matrimonio contratto senza osservare i divieti non dispensabili di cui all’art. 87 c.c.;
- matrimonio contratto in violazione dell’impedimento da omicidio tentato o consumato;
- matrimonio contratto non volontariamente; in particolare vi rientrano le ipotesi di violenza fisica, stato ipnotico, ubriachezza e intossicazione da droga e l’intenzione lucida, ovvero il matrimonio contratto ioci causa.
ANNULLABILITA’
- matrimonio contratto senza osservare i divieti dispensabili ex art. 87, quarto comma c.c.;
- matrimonio contratto da minore infra -sedicenne o da quello ultrasedicenne, ma senza autorizzazione del Tribunale;
- matrimonio contratto dall’interdetto per infermità di mente se al momento della celebrazione esisteva sentenza passata in giudicato ovvero se l’interdizione è stata pronunciata successivamente, ma l’infermità esisteva all’epoca della celebrazione;
- matrimonio contratto da incapace di intendere e di volere.
Essendo atto puro e personalissimo il matrimonio è anche atto incoercibile; vediamo quindi i vizi del consenso
Secondo l’art. 122 c.c. costituiscono motivo d'annullamento del matrimonio:
La violenza morale - Deve essere “di tale natura da far impressione su una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole, tenuto conto dell’età, del sesso e delle condizioni delle persone” modulata secondo le caratteristiche degli artt. 1434 c.c. e ss.).
Il timore - Deve essere d'eccezionale gravità e derivare da cause esterne alo sposo. Può anche non essere esternato e atteggiarsi come riserva mentale rilevante.
Del tutto irrilevante è, dunque, il c.d. timore reverenziale.
L’errore irrilevanti sono sia l’errore di diritto sia l’errore sulla natura dell’atto.
Errore sull’identità della persona - Si tratta dello scambio di persona
Errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge.
Si tratta di condizioni tali per cui l’altro coniuge non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse conosciute, e sono:
a) esistenza di una malattia fisica o psichica o di un'anomalia o deviazione sessuale, tale da impedire lo svolgimento della vita sessuale. In questo ambito rileva non solo l’impotentia coeundi, ma anche quella generandi.
b) pronuncia prima del matrimonio di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso d'intervenuta riabilitazione prima del matrimonio stesso.
c) dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
d) condanna dell’altro coniuge a pena non inferiore a due anni per delitti concernenti la prostituzione;
e) stato di gravidanza, causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell’art. 233 c.c., nel caso in cui la gravidanza è stata portata a termine.
La legittimazione ad esperire l’azione d'annullamento, nelle ipotesi summenzionate, spetta al soggetto la cui volontà risulta viziata, ma può essere iniziata solo quando sia cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l’errore.
L’azione è improponibile se vi è stata coabitazione per un anno dal giorno in cui l’azione poteva essere iniziata.
Il matrimonio simulato e il matrimonio putativo
Il matrimonio simulato: In base all’art. 123, primo comma, c.c. “il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti da esso nascenti”:
La norma è stata introdotta per consentire l’annullamento in tutti quei casi in cui i coniugi intendevano in realtà beneficiare di qualche conseguenza ricollegata allo stato di coniuge.
L’impugnativa, però, non può più essere proposta dopo che sia decorso un anno (termine di decadenza) dalla celebrazione del matrimonio ovvero dopo che i coniugi abbiano convissuto come tali (more uxorio) sia pure per breve periodo dopo le nozze.
Il matrimonio putativo:
Si tratta di un matrimonio invalido, ma contratto in buona fede da almeno uno dei coniugi. Affinché tale matrimonio possa produrre i suoi effetti è necessario che vi sia un atto di matrimonio e la buona fede. La buona fede deve equivalere ad ignoranza della causa d'invalidità e deve sussistere al momento della celebrazione (mala fides superveniens non nocet)
Per quanto riguarda gli effetti distinguiamo tra:
Per i coniugi
- Se essi sono in buona fede il matrimonio si considera valido fino alla pronunzia della sentenza d'annullamento, la quale dunque opera ex nunc. Dopo la sentenza, se le condizioni per il matrimonio putativo si verif icano rispetto ad entrambi, il giudice può disporre a carico di uno in favore dell’altro un assegno di mantenimento per non più di tre anni.
Se uno solo dei coniugi è in buona fede, il coniuge a cui è imputabile la nullità è tenuto a corrispondere all’altro una congrua indennità che non dovrà comunque essere inferiore alla somma corrispondente al mantenimento per tre anni.
Per i figli - Gli effetti del matrimonio putativo si verificano in capo ai figli anche se la buona fede sussisteva per uno solo dei genitori.
Se entrambi i genitori erano in mala fede, gli effetti si producono ugualmente in capo ai figli nati o concepiti dopo il matrimonio, salvo che l’invalidità dipenda da bigamia o da incesto.
In queste ipotesi, ai figli spetta lo status di figli riconosciuti.
Il matrimonio concordatario: Il matrimonio concordatario è il matrimonio religioso (canonico) che in base agli accordi tra Stato e Chiesa produce effetti non soltanto religiosi, ma anche civili.
Affinché il matrimonio canonico produca effetti civili devono essere rispettate le seguenti formalità:
- Preventive pubblicazioni; effettuate nella casa comunale a seguito delle quali l’ufficiale dello Stato civile rilascia un certificato con cui dichiara che non esistono cause ostative alla celebrazione di un valido matrimonio ai fini civili.
- Lettura da parte del celebrante (terminato il rito religioso) degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e doveri dei coniugi.
- Redazione in doppio originale dell’atto di matrimonio da parte del celebrante.
- Richiesta scritta all’ufficiale dello stato civile da parte del celebrante entro cinque giorni dal matrimonio per la trascrizione dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile.
- Trascrizione entro 24 ore da parte dell’ufficiale dello stato civile che ne dà poi notizia al parroco. Vi potrà essere trascrizione ritardata in presenza di un vizio che impedisca la trascrizione stessa. Una volta rimosso il vizio, la trascrizione avrà effetto dal giorno della celebrazione.
Diverso è il caso della trascrizione tardiva che si verifica quando il parroco non ha provveduto ad inoltrare la richiesta. In questo caso, la richiesta può essere effettuata a posteriori dai coniugi purché entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dalla celebrazione alla richiesta di trascrizione.
Vediamo ora gli impedimenti alla trascrizione:
Impedimenti assoluti:
- Sul piano formale la mancata lettura da parte del celebrante degli articoli del codice civile.
- Sul piano sostanziale l’essere anche una sola delle persone unite in matrimonio canonico già legata da altro matrimonio valido agli effetti civili, in qualunque forma celebrato. La sussistenza fra gli sposi d'altro matrimonio valido agli effetti civili. La condanna per omicidio tentato o consumato nei confronti del coniuge dell’altro contraente. Il rapporto di parentela, affinità, adozione e affiliazione, quando non è superabile con autorizzazione del Tribunale. L’età inferiore ai 16 anni.
Impedimenti relativi
- Sul piano formale - La mancata menzione nell’atto di matrimonio dell’avvenuta lettura degli articoli del codice civile. Le omesse pubblicazioni.
- Sul piano sostanziale L’interdizione per infermità di mente. Il difetto d’età. Il rapporto di parentela, affinità e affiliazione. L’esistenza o il ritorno del morto presunto, coniuge del contraente.
Il rapporto coniugale: Con il matrimonio, il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri (art. 143 c.c.)
I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famigliastessa. Il potere di attuare l'indirizzo concordato spetta a ciascuno dei coniugi, ma esclusivamente nei rapporti interni, con rilevanza cioè, di fronte all'altro coniuge e non già di fronte ai terzi.
Quando non è possibile pervenire ad un accordo, ciascuno dei coniugi può chiedere, senza nessuna formalità, l'intervento del giudice che con provvedimento non impugnabile, adotta la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia (art. 145 c.c.)
Dal matrimonio deriva sul piano personale l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia ed alla coabitazione.
Ogni coniuge ha l'obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo.
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire e educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (art. 147 c.c.).
Quando l’inadempienza di tali doveri è grave e reiterata il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà (art. 330 c.c.).
I rapporti patrimoniali: L'art. 160 dichiara inderogabili i diritti e doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, con ciò in particolare, riferendosi a quelli aventi contenuto patrimoniale.
Ogni coniuge è tenuto a contribuire nei limiti del bisogno di volta in volta mutevole della famiglia ed è nulla qualunque preventiva ripartizione degli oneri economici.
Alla base dell'accordo tra i coniugi si pongono le convenzioni matrimoniali, che possono essere stipulate in ogni tempo (art. 162 c.c.)
quindi anche dopo il matrimonio
Esse, ai fini dell'opponibilità ai terzi, devono essere in ogni caso annotate a margine dell'atto di matrimonio e dovranno inoltre essere trascritte quando hanno ad oggetto degli immobili (art. 2647 c.c.).
Il fondo patrimoniale: Il fondo patrimoniale assolve la funzione di permettere ai coniugi, separatamente o congiuntamente, o ad un terzo, di costituire (anche durante il matrimonio) un patrim onio vincolato e destinato, mediante l’utilizzazione dei frutti dei beni, a far fronte ai bisogni della famiglia (art. 167c.c.)
Titolari dei beni sono entrambi i coniugi, ma l'atto costitutivo può disporre diversamente e quindi attribuirne la proprietà ad uno solo di essi, oppure riservarla al terzo costituente (In tal caso i coniugi avranno un diritto di godimento a carattere sostanzialmente reale assimilato dalla dottrina all'usufrutto).
L'amministrazione dei beni costituenti il fondo è regolata dalla norma sulla comunione legale (art. 168 c.c.) e la sua destinazione termina a seguito di annullamento del matrimonio o divorzio, ovvero in assenza di figli minori, e nei casi previsti dall'art. 191 con riguardo allo scioglimento della comunione (art. 171 c.c.).
Se vi sono invece figli minori il fondo dura comunque fino al raggiungimento della maggiore età dell'ultimo figlio.
La comunione dei beni
Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione matrimoniale è quello della comunione dei beni (art 159 c.c.).
Il regime di separazione sarà opponibile solo in quanto la relativa convenzione risulti annotata a margine dell'atto di matrimonio (art. 162 c.c.).
Vediamo ora quali sono le caratteristiche della comunione legale:
- è derogabile e non già obbligatoria (artt. 210 e 215 c.c.);
- è dinamica, perché modifica il proprio oggetto ad ogni acquisto di bene non personale;
- ha ambito oggettivo ristretto e non già universale (ne sono esclusi i beni personali);
- è vincolata perché il singolo coniuge può chiedere la divisione solo dopo il suo scioglimento (artt. 194 e 191 c.c.) e non può disporre da solo dei beni nemmeno pro-quota.
È necessario distinguere i beni della comunione (artt. 177 e 178 c.c.) da quelli personali dei coniugi (art. 179 c.c.).
Formano immediatamente parte della comunione:
- gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, salvo quelli relativi ai beni personali. Non vi rientrano quei beni per cui l'acquisto è poi seguito da ritrasferimento. Non vi rientrano nemmeno i diritti di credito o potestativi, perché sono personali e relativi;
- le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, nonché gli utili e gli incrementi di quelle appartenenti ad uno dei coniugi prima del matrimonio, ma gestite da entrambi.
Formano inoltre parte della comunione al momento dello scioglimento (c.d. comunione de residuo):
- i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione;
- i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione;
- i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita da matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente, se sussistono al momento dello scioglimento della comunione.
L'amministrazione ordinaria della comunione e la rappresentanza in giudizio tra gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniuge.
Per gli atti di straordinaria amministrazione e per quelli concernenti la concessione o l'acquisto di diritti personali di godimento e la relativa rappresentanza processuale, i coniugi devono agire congiuntamente (art. 180 c.c.)
Sono beni personali, esclusi quindi dalla comunione (art. 179 c.c.):
- i beni di cui, prima del matrimonio il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
- i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o di successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
- i beni d’uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
- i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della comunione;
- i beni ottenuti al titolo di risarcimento dei danni, nonché la pensione attinente alla perdita della capacità lavorativa;
- i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopra elencati o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto. Al prezzo equivale, per analogia, il denaro acquisito a titolo gratuito.
La comunione si scioglie nei casi previsti dall'art. 191 c.c.:
- dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi;
- annullamento o scioglimento del matrimonio;
- separazione giudiziale dei beni;
- mutamento convenzionale del regime patrimoniale da comunione in separazione
- fallimento di uno dei coniugi.
La comunione convenzionale (art. 210 c.c.) è una comunione legale modificata dai coniugi mediante convenzione matrimoniale, ferma però l'inderogabilità degli artt. 161,180 e 194 c.c..
Così essi possono accordarsi per tenere fuori dalla comunione determinanti beni o viceversa, per farvi rientrare taluni beni personali, ad eccezione di quelli previsti dall'art. 179 c.c. lettere c), d), e).
La separazione personale: La separazione legale può essere giudiziale o consensuale (art. 150 c.c.) Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta ai soli coniugi.
presuppone l'intervento del giudice:
- in caso di disaccordo, con una sentenza che s’impone alla volontà delle parti;
- in caso di accordo, con decreto che omologa e quindi rende esecutivi i patti raggiunti
Il nostro ordinamento non disciplina la c.d. separazione di fatto.
Il giudizio consta di prima una fase che si svolge innanzi il presidente del tribunale il quale convoca le parti per il tentativo di conciliazione con la determinazione, in caso di esito negativo, dei provvedimenti urgenti e provvisori, e una seconda fase in cui il presidente rimette le parti innanzi il giudice per l'istruzione della causa.
In caso di separazione consensuale, invece, se la conciliazione non riesce si dà atto a verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni pattuite in ordine alla prole ed ai rapporti patrimoniali.
Successivamente, in camera di consiglio, il tribunale decide sull’omologazione. L’accordo non ha effetto senza l'omologazione del giudice (art. 158 c.c.). Si tratta di un negozio bilaterale di diritto familiare e quindi personalissimo. Con l'accordo è parti possono regolare i rapporti coniugali, ma è nulla la clausola di rinunzia agli alimenti, mentre è valida quella di rinunzia al mantenimento e quella di attribuzione di un cespite o di un capitale una tantum, anziché di un assegno periodico.
a separazione personale rileva sul piano della cessazione della comunione legale dei beni (art. 191 c.c.) e della successione mortis causa (art. 548 c.c.).
Il giudice, con la sentenza, dichiara a quale dei coniugi i figli (tenuto conto della loro volontà) sono affidati e adotta ogni altro provvedimento, con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale (art. 155 c.c.).
Il coniuge affidatario, se il giudice non dispone altrimenti, ha l'esercizio esclusivo della potestà; egli deve peraltro attenersi alle condizioni determinate dal giudice stesso. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggior interesse per i figli sono adottate da entrambi i coniugi.
Sul piano patrimoniale il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento dei figli.
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della separazione (sia giudiziale sia consensuale) senza che sia necessario l'intervento del giudice, con un'espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con tale stato (art. 157 c.c.): si parla in tal caso di riconciliazione.
Lo scioglimento del matrimonio: Il matrimonio civile si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge (art. 149 c.c.) - Attualmente il solo caso è quello del c.d. divorzio previsto dalla L. 1 dicembre 1970 n. 898, così come modificata dalla L. 1 agosto 1978 n. 436 e dalla L: 6 marzo 1987 n. 74.
Il divorzio non deve essere confuso con la nullità: infatti, la sentenza di nullità opera sull'atto eliminandolo ex tunc, mentre quella di divorzio opera sul rapporto, sciogliendolo o facendone venir meno gli effetti ex nunc.
Il diritto di chiedere il divorzio è personalissimo e quindi inderogabile, intrasmissibile, imprescrittibile.
I coniugi devono comparire personalmente per il tentativo di conciliazione. Il presidente emette con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti e il tribunale decide in camera di consiglio con rito assai più celere di quello ordinario, quando i coniugi presentano ricorso congiunto, che indichi compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, anche quando siano da assumere prove costituende.
La sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti anche nel caso di divorzio su ricorso congiunto.
Il divorzio ha efficacia erga omnes a tutti gli effetti civili, dal giorno dell'annotazione della sentenza, inter partes gli effetti si producono invece dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza stessa e non dal giorno della domanda, come nel caso della separazione, avendo la sentenza carattere costitutivo.
La pronuncia di divorzio determina la fine ex nunc dello status coniugale con tutti i conseguenti effetti, sia personali sia patrimoniali.
Sul piano personale il divorzio comporta che la moglie non può più usare il cognome del marito, salvo in particolari casi in cui essa è autorizzata dal tribunale.
Sul piano patrimoniale, con la sentenza che pronuncia il divorzio il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o, comunque, non può procurarseli per ragioni oggettive.
Sono nulli per contrarietà all'ordine pubblico, incidendo sullo status personale, i patti tra i coniugi conclusi durante il matrimonio, volti a determinare la misura dell'assegno in caso di divorzio
L'assegno divorzile può essere modificato qualora sopravvengano dopo la sentenza giustificati motivi, quale ad esempio, il tipico caso che l'obbligato si risposi
Il tribunale stabilisce poi a misura e il mondo con cui il coniuge non affidatario deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con i figli stessi.
La domanda giudiziale di divorzio può essere presentata solo se sono trascorsi almeno tre anni dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.
La filiazione:
La filiazione legittima - L'ordinamento giuridico vede con favore lo status di figlio legittimo ed appronta una disciplina volta a garantirne l'acquisto e a renderne difficile la perdita.
Il figlio legittimo è membro della famiglia ed ha quindi rapporti in termini giuridici con tutti i parenti e con gli affini.
Il figlio naturale (quello cioè nato da genitori non sposati) ha invece rapporti sempre in termini giuridici esclusivamente con il genitore o con i genitori che lo hanno riconosciuto.
L’art. 231 c.c. stabilisce presuntivamente che il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio, ma la madre potrebbe anche denunciarlo all'ufficiale dello stato civile come figlio naturale.
In base all'art. 232 c.c. il concepimento in costanza di matrimonio è fissato in 180 giorni successivi alla celebrazione, fino ai 300 successivi alla morte presunta, ovvero successivi al passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia l'invalidità del matrimonio o quella del divorzio.
La presunzione di concepimento non opera trascorsi 300 giorni dalla data del provvedimento con cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero in difetto dalla sentenza di separazione giudiziale o dal decreto di omologazione di quella consensuale.
La nascita precedente i 180 giorni non osta però sulla legittimità del figlio nato, salvo disconoscimento della paternità (art. 233 c.c.).
L'azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo in casi specifici:
- se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza anche solo di generare; se la moglie ha commesso adulterio;
- se i coniugi non erano conviventi nel periodo del concepimento.
L'azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre.
Se il figlio è un minorenne, ma ultrasedicenne l'azione può essere iniziata da un curatore speciale nominato dal giudice ad istanza dello stesso minore (art. 244 c.c.)
La filiazione legittima si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile (art. 236 c.c.).
In mancanza di atto di nascita lo status può essere provato con il possesso continuo di stato ovvero:
- che la persona abbia sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere (nomen);
- che il padre l'abbia trattata come figlio e abbia provveduto in questa qualità al mantenimento di mantenimento, all'educazione ed al collocamento di essa (tractatus);
- che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali e familiari (fama).
L'azione di reclamo spetta al figlio nei confronti dei pretesi genitori o, se morti, dei loro eredi. Se il figlio muore in età minorile, ovvero nei cinque anni dal raggiungimento della maggiore età, l'azione si trasmette ai suoi discendenti, i quali debbono però agire contro l'ordinario termine prescrizionale, laddove per il figlio l'azione è imprescrittibile
La filiazione naturale - Secondo l'art. 250 c.c. il figlio naturale può essere riconosciuto (congiuntamente o separatamente) dal padre e dalla madre che abbiano compiuto il sedicesimo anno, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento.
Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce l'effetto senza il suo assenso.
Se il figlio è minore di sedici anni è necessario il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
Se il consenso è rifiutato decide il Tribunale, su opposizione del genitore interessato e tenendo esclusivamente conto dell’interesse del figlio.
Il riconoscimento è fatto nell'atto di nascita, oppure con apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o davanti a giudice tutelare, in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo (art. 254 c.c.).

Il riconoscimento è irrevocabile
Quando è contenuto in un testamento ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato (art. 256 c.c.).
E ' inoltre nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento (art. 257 c.c.).
La maternità è dimostrata provando l'identità tra colui che si pretende di essere figlio e colui che fu partorito dalla donna, la quale si presume essere la madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti sessuali tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale (art. 269 c.c.).
In caso di interdizione la legittimazione spetta al tutore. Per agire il tutore deve essere in ogni caso autorizzato dal giudice (art. 273 c.c.) e la sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento.
Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrim oniali di costui (art. 277 c.c.).
Gli effetti del riconoscimento e della sentenza operano ex tunc, perché si tratta solo di accertare una condizione già preesistente, costituita dal fatto della procreazione.
Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui è operato, salvo i casi previsti dalla legge e comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi (art. 261 c.c.) Il figlio naturale ha gli stessi diritti successori di quello legittimo.
l'art. 252 c.c. ammette la riconoscibilità del figlio adulterino, l'art. 251 c.c. vieta il riconoscimento dei soli figli incestuosi, i cui genitori sono legati cioè da un vincolo di parentela anche solo naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero da un vincolo di affinità in linea retta.
Il riconoscimento è peraltro ammesso se i genitori, al momento del concepimento, ignoravano il vincolo parentale, o se è stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriv a l'affinità.
Quando uno solo dei genitori era in buona fede il riconoscimento può essere fatto da costui.
Quando non è possibile procedere allo riconoscimento e quindi non si può nemmeno agire con l'azione giudiziale per la dichiarazione di paternità o di maternità, il figlio naturale può agire per ottenere il mantenimento, l' istruzione e l'educazione.
Infatti sul piano successorio i figli non riconoscibili hanno diritto in caso di successione legittima ad un assegno vitalizio pari all'ammontare della rendita della quota di eredità a cui avrebbero avuto diritto se fossero stati riconoscibili.
L’ordinamento giuridico tende quindi a ad equiparare il fenomeno della filiazione naturale a quella della filiazione legittima.
La legittimazione - Con la legittimazione (riconoscimento del figlio naturale) il figlio acquista uno status che, secondo taluni, è lo stesso di quello del figlio naturale, secondo altri è sui generis, ma che in ogni caso sul piano degli effetti assicura un trattamento identico a quello che riceve il figlio legittimo, instaurandosi così rapporti di vera e propria parentela anche tra fratelli e con gli ascendenti.
Rispetto al figlio legittimo la diversità attiene dunque al titolo costitutivo dello status e soprattutto alla decorrenza degli effetti che, nel caso di legittimazione, operano ex nunc.
La legittimazione può venire:
- ad opera dei genitori congiuntamente;
- disgiuntamente;
- per susseguente matrimonio;
- giudizialmente;
- al di fuori del processo.
Nel caso in cui si parli di legittimazione giudiziale il giudice può concedere la legittimazione solo se essa corrisponde agli interessi del figlio e sempre che si dimostri l'impossibilità o il gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio
L’adozione: L'adozione è un istituto giuridico atto a garantire, ad un minore in grave stato di abbandono o di maltrattamento, il diritto a vivere serenamente all'interno di una famiglia diversa da quella biologica.
La Legge 4 maggio 1983 n. 184, art. 27 dispone che «l'adozione fa assumere, al minore adottato, lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali porta anche il cognome».
La stessa legge prevede la possibilità di adottare un minore sul territorio nazionale (adozione nazionale) o in uno stato estero (adozione internazionale) aderente alla Convenzione dell'Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale oppure con un paese col quale l'Italia abbia stabilito un patto bilaterale in materia di adozione. Gli aspiranti possono dare disponibilità sia per l'adozione nazionale che per quella internazionale per un paese straniero specifico. Generalmente, al verificarsi di un abbinamento coppia-minore in una delle due distinte procedure (nazionale ed internazionale) viene sospesa l'altra, ma in alcuni casi il Tribunale per i minorenni di competenza potrebbe anche permettere alla coppia di concludere l'adozione con entrambe le procedure, qualora vengano proposti ed accettati dalla coppia due distinti abbinamenti.
Requisiti degli adottandi
La Legge 4 maggio 1983, n.184 regolamenta i requisiti sia per l'adozione nazionale che per quella internazionale. Nel caso di adozione internazionale lo stato estero potrebbe porre criteri restrittivi rispetto alla legge italiana.
I requisiti fondamentali stabiliti dalla legge italiana, in sintesi, sono i seguenti:
Gli adottandi devono essere uniti in matrimonio da almeno 3 anni, non deve sussistere separazione personale neppure di fatto e devono essere idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendano adottare. Il periodo dei 3 anni può essere raggiunto computando anche eventuale periodo di convivenza pre-matrimoniale more uxorio.
La differenza di età tra gli adottandi e l'adottato deve essere compresa dai 18 ai 45 anni. Uno dei due coniugi può avere una differenza superiore ai 45 anni a patto che sia comunque inferiore ai 55. Inoltre potrebbe essere derogato tale limite a patto che i coniugi adottano due o più fratelli assieme o se hanno un altro figlio minorenne.
Gli adottandi devono essere idonei ad educare ed istruire, e in grado di mantenere i minori che intendono adottare. Questo punto viene verificato dal Tribunale per i minorenni di competenza tramite i servizi socio-assistenziali degli Enti Locali.

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