sabato 29 agosto 2009

Effetti del fallimento

La sentenza dichiarativa di fallimento genera per il fallito la perdita del possesso dei suoi beni (tranne quelli di natura strettamente personale, quali le cose impignorabili), pur rimanendone proprietario, in quanto la gestione degli stessi passa sotto la responsabilità del curatore. Di conseguenza tutti gli atti compiuti dal fallito saranno inefficaci.
Il fallito poi viene iscritto presso il Pubblico registro dei falliti presso la Cancelleria del tribunale, dove resterà iscritto fino a quando non arriverà la riabilitazione. Durante questo periodo, il fallito è colpito da incapacità sulla propria persona. Esempi sono l'interdizione dai pubblici uffici e l'incapacità ad essere nominato tutore o amministratore di società.
La condizione principale per la sua riabilitazione è il completo pagamento dei crediti ammessi al fallimento (la sentenza deve essere pronunciata dal Tribunale su istanza del fallito o dei suoi eredi, con giudizio che ordini la cancellazione dal registro dei falliti) e, inoltre, devono essere passati per lo meno 5 anni dalla chiusura del fallimento senza che vi siano stati altri demeriti del fallito e che questi non sia stato condannato per reati contro il patrimonio.
Il fallito inoltre con la sentenza dichiarativa di fallimento ha anche dei risvolti penali in caso di ricorso abusivo al credito (tale reato avviene quando l'imprenditore, nascondendo la propria insolvenza, continua a ricorrere al credito) o di bancarotta fraudolenta (è il reato di chi, pur a conoscenza della propria insolvenza, occulta i propri beni, al fine di sottrarli ai creditori o esegue pagamenti in favore di alcuni creditori a danno di altri.
Effetti del fallimento nei confronti del fallito
Gli effetti per il fallito sono disciplinati dagli artt. 42-49 della legge fallimentare, così come modificata dalla novella del 2006.
Sostanzialmente, il fallito viene privato, a far data dalla dichiarazione di fallimento, della disponibilità e dell’amministrazione dei suoi beni, anteriori al fallimento e quelli che dovessero provenirgli durante la procedura.
A norma dell’art. 46 non sono compresi nel fallimento:
i beni ed i diritti di natura strettamente personale;
gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;
i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall'articolo 170 del codice civile;
le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.
I limiti previsti nel primo comma, n. 2), sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia.
L’art. 44 dispone che tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.
Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Fermo quanto previsto dall'articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma.
A norma dell’art. 48 l'imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento.
L’art. 49 dispone che l'imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio.
Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al primo comma devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori.
In caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, il giudice può autorizzare l'imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a comparire per mezzo di mandatario.
È importante notare che nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge. L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo.(Art. 43 L.F.)
Il fallimento produce una serie di effetti, tanto di tipo personale sul fallito, quanto di tipo economico, in particolare, in relazione ai creditori, agli atti pregiudizievoli in danno ai creditori, nonché in riferimento ai rapporti giuridici preesistenti. A ognuno di questi aspetti, è dedicata una sezione del capo che tratta, appunto, degli effetti del fallimento (cfr. art. 42 e ss. l.fall.).
In merito agli effetti nei confronti del fallito, innanzitutto, la sentenza che dichiara il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento, fatta eccezione per i beni elencati dall’art. 46 l.fall.. Nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, di regola, diviene il curatore il soggetto legittimato dal punto di vista processuale. Oltre al sorgere in capo al fallito dei diritti e degli obblighi, prevalentemente di collaborazione con gli organi della procedura, di cui agli artt. 47, 48 e 49 l.fall., è da evidenziare la sanzione di inefficacia relativa prevista dall’art. 44 l.fall.: tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori, così come sono parimenti inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. L’articolo immediatamente successivo precisa, in proposito, che le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori.
Il fallimento produce una serie di effetti, tanto di tipo personale sul fallito, quanto di tipo economico, in particolare, in relazione ai creditori, agli atti pregiudizievoli in danno ai creditori, nonché in riferimento ai rapporti giuridici preesistenti. A ognuno di questi aspetti, è dedicata una sezione del capo che tratta, appunto, degli effetti del fallimento (cfr. art. 42 e ss. l.fall.).
In merito agli effetti nei confronti del fallito, innanzitutto, la sentenza che dichiara il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento, fatta eccezione per i beni elencati dall’art. 46 l.fall.. Nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, di regola, diviene il curatore il soggetto legittimato dal punto di vista processuale. Oltre al sorgere in capo al fallito dei diritti e degli obblighi, prevalentemente di collaborazione con gli organi della procedura, di cui agli artt. 47, 48 e 49 l.fall., è da evidenziare la sanzione di inefficacia relativa prevista dall’art. 44 l.fall.: tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori, così come sono parimenti inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Effetti del fallimento nei confronti dei creditori
- Il fallimento apre il concorso dei creditori
- I debiti pecuniari e non pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento
- Le somme spettanti ai creditori condizionati vengono accantonate
- La dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali per gli effetti del fallimento
- I crediti infruttiferi subiscono una decurtazione qualora il riparto avvenga prima della loro scadenza
- Sono precluse le azioni individuali dei creditori sui beni del fallito (art. 51 L.F.)
Per quanto concerne gli effetti del fallimento nei confronti dei creditori, la conseguenza forse più importante della dichiarazione di fallimento consiste nell’inibizione delle azioni individuali dei singoli creditori, all’evidente fine di realizzare al meglio la c.d. par condicio creditorum. L’art. 51 l.fall., infatti, prevede che “salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento” (in neretto sono state evidenziate le parole inserite dal D.Lgs. n. 5/2006).
Il fallimento, parallelamente, apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. A tal fine, la legge precisa le modalità di presentazione della domanda di ammissione al passivo e i suoi effetti (cfr. artt. 93 e ss. l.fall.), anche in caso di domanda tardiva (cfr. art. 101 l.fall.). La legge indica, altresì, i compiti degli organi della procedura in relazione all’accertamento dei diritti vantati dai creditori stessi e della loro natura (specie in presenza di pegno, ipoteca o privilegi) e gli adempimenti da espletare in seno all’udienza di discussione, che segue la predisposizione, da parte del curatore, del c.d. “progetto di stato passivo” e le eventuali impugnazioni, ex artt. 95 e ss. l.fall..
Il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 si occupa anche di precisare i vantaggi connessi al procedimento di ripartizione dell’attivo (ossia al momento della distribuzione del ricavato dalle vendite fallimentari) e i diritti di vario tipo che spettano ai creditori c.d. privilegiati (cfr. artt. 54 e ss. l.fall.).
Effetti del fallimento NEI CONFRONTI DEI TERZI
- Gli atti a titolo oneroso (nonché i pagamenti e le garanzie) compiuti dal fallito nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento e che presentino delle irregolarità (ad es. la vendita di un bene ad un prezzo sensibilmente inferiore al valore di mercato) sono dichiarati inefficaci e revocati
- Gli atti a titolo oneroso (nonché i pagamenti e le garanzie) compiuti dal fallito nell'anno antecedente alla dichiarazione di fallimento che non presentino delle irregolarità, quando il curatore provi che l'altra parte era a conoscenza dello stato di insolvenza, sono dichiarati inefficaci e revocati
- Gli atti che non rientrano nelle categorie precedenti possono essere revocati con l'azione ordinaria di cui all'art. 2901 c.c.
Effetti del fallimento in relazione agli atti pregiudizievoli per i creditori
Per quanto riguarda la categoria di effetti relativa agli atti pregiudizievoli per i creditori, la legge fallimentare riserva una disciplina dell’azione c.d. “revocatoria fallimentare” più o meno rigorosa a seconda della tipologia di atto compiuto dal fallito. Gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d'uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, a patto che la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante, sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. In merito ai pagamenti, l’art. 65 l.fall. prevede, invece, che sono “privi di effetto rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento”. Dopo aver chiarito che l’azione revocatoria fallimentare può concorrere con quella “ordinaria”, la legge regola i vari casi di atti a titolo oneroso agli artt. 67 e ss. l.fall.. E’ da evidenziare, in proposito, l’attuale elencazione degli atti esclusi dall’azione revocatoria, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 67, comma 3 l.fall…
Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti
L’ultima categoria di effetti che il legislatore ha preso in esame è quella relativa ai rapporti giuridici preesistenti. L’art. 72 l.fall., in particolare, prevede che “se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, di regola, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo”. L’articolo citato, tra l’altro, precisa che “il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto”.
Gli artt. 72bis e ss. l.fall., poi, si occupano di regolare l’esito delle numerose tipologie di rapporti preesistenti presi in considerazione. E’ da evidenziare che il D.Lgs. n. 5/2006 ha ritenuto opportuno introdurre una disciplina specifica per alcune fattispecie aggiuntive, in modo da risolvere questioni spinose rilevate nella prassi (come, ad esempio, i contratti relativi ad immobili da costruire).
Esercizio provvisorio dell’impresa e liquidazione dell’attivo
Il capo VI del titolo dedicato al fallimento tratta dei casi e delle procedure da seguire ai fini dell’esercizio provvisorio dell’impresa, nonché le modalità di liquidazione dell’attivo.
Sotto il primo profilo, l’art. 104 l.fall. attribuisce al tribunale, al momento dell’emissione della sentenza dichiarativa del fallimento, il potere di disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dalla interruzione possa derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori.
Sotto il secondo profilo, l’art. 104ter prevede che, entro sessanta giorni dalla redazione dell'inventario, il curatore è tenuto a predisporre un programma di liquidazione (di cui la stessa norma indica anche il contenuto minimo) da sottoporre, una volta acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori, all'approvazione del giudice delegato. Gli artt. 105 e ss. l.fall., infine, si occupano di dettare le regole da seguire a seconda del tipo di vendita da effettuare (ad esempio dell’intera azienda o di suoi rami oppure di beni immobili ovvero di beni mobili).
Distribuzione dell’attivo
Gli articoli 109 e ss. l.fall. trattano del procedimento per la distribuzione dell’attivo che compone la massa fallimentare. Il curatore presenta, secondo le scadenze prefissate, un prospetto delle somme disponibili e un progetto di ripartizione delle medesime, accantonate quelle occorrenti per la procedura. Il giudice, dopo aver sentito il comitato dei creditori, ordina il deposito in cancelleria del progetto medesimo e provvede affinché ne abbiano conoscenza tutti i creditori. Qualora quest’ultimi, entro il termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione, non abbiano proposto reclamo contro il progetto di riparto, il giudice delegato, su richiesta del curatore, dichiara esecutivo il progetto di ripartizione. Se sono stati tempestivamente proposti reclami, il progetto di ripartizione è dichiarato esecutivo con riserva delle somme corrispondenti ai crediti oggetto di contestazione. Il provvedimento che decide sul reclamo dispone anche sulla destinazione delle somme accantonate.
L’art. 111 l.fall., anch’esso nella sua nuova versione post-riforma, si occupa di indicare l’ordine di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo, chiarendo che queste saranno erogate, in primis, per il pagamento dei crediti prededucibili (ossia dei crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge ovvero sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare), successivamente, per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge e, infine, per il pagamento dei creditori chirografari (non assistiti da una delle cause legittime di prelazione), in proporzione dell'ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori ammessi con prelazione, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.
Pagamento, rendiconto e ripartizione finale
Concluse le fasi sopra esposte, il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori, secondo quanto indicato nel piano di ripartizione e attenendosi alla prescrizioni del giudice delegato. La fase successiva alla liquidazione dell’attivo consiste in un altro degli adempimenti fondamentali del curatore: la redazione del rendiconto. Questo è costituito da una “esposizione analitica delle operazioni contabili e della attività di gestione della procedura” (così testualmente l’art. 116 l.fall.), che va depositata in cancelleria, per permettere a ogni interessato di presentare eventuali osservazioni o contestazioni, fino alla data dell’udienza fissata dal giudice. Qualora all'udienza stabilita non sorgano contestazioni o su queste venga raggiunto un accordo, il giudice approva il conto con decreto, in caso contrario, fissa l'udienza innanzi al collegio, che si riunirà in camera di consiglio.
Una volta che il conto è stato approvato e il curatore ha ottenuto il suo compenso, il giudice delegato, sentite le proposte del curatore, ordina il riparto finale, attenendosi alle regole procedurali, anche in tema di distinzione fra creditori privilegiati (ossia in presenza di una delle cause di prelazione previste dalla legge) e creditori chirografari. In tale fase si provvede alla distribuzione anche degli accantonamenti precedentemente fatti, senza che essi siano in grado, comunque, di impedire la chiusura della procedura.
Per i creditori che non si presentano o risultino irreperibili, le somme dovute sono depositate presso l'ufficio postale o in banca (secondo le modalità indicate dall’art. 34 l.fall.), in modo che, decorsi cinque anni dal deposito, le somme non riscosse e non richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, saranno versate allo Stato (cfr. art. 117 l.fall.).
La chiusura del fallimento
Il capo VIII del titolo dedicato al fallimento concerne la chiusura della procedura de quo. Ai sensi dell’art. 118 l.fall. diverse possono essere le circostanze che danno luogo alla conclusione dell’iter; oltre a quanto si dirà in materia di concordato, esse sono, in primo luogo, la mancanza di domande di ammissione al passivo entro il termine fissato, in secondo luogo, il raggiungimento dell’intero ammontare dei crediti ammessi da parte delle ripartizioni ai creditori ovvero l’estinzione di tutti i crediti ammessi e il contestuale pagamento di tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione. Il fallimento si chiude, altresì, quando si verifica l’ipotesi diametralmente opposta a quella appena vista, ossia allorché nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura. Anche l’avvenuta ripartizione finale dell'attivo, infine, è uno dei casi di chiusura previsti dalla norma citata.
Al verificarsi di uno dei suddetti eventi, ove si tratti di fallimento di società, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese. L’ultimo comma dell’art. 117 l.fall., infine, precisa che la chiusura della procedura di fallimento della società determina anche la chiusura della procedura estesa ai soci ai sensi dell'articolo 147 l.fall. (che si esaminerà a breve), salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura di fallimento come imprenditore individuale. La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore o del debitore ovvero di ufficio, e pubblicato nelle forme prescritte nell'art. 17 l.fall.. Contro il decreto che dichiara la chiusura o ne respinge la richiesta è ammesso reclamo a norma dell'articolo 26 l.fall..
Gli effetti della chiusura sono molteplici e, tra quelli che meritano particolare attenzione, ricordiamo la cessazione degli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e il termine delle funzioni degli organi preposti al fallimento. Le azioni esperite dal curatore per l'esercizio di diritti derivanti dal fallimento, inoltre, non possono essere proseguite, mentre, parallelamente, i singoli creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti (salvo quanto previsto dagli articoli 142 e ss. l.fall.). Gli artt. 121 e ss. l.fall., infine, disciplinano i casi di riapertura della procedura de quo e gli effetti che ne derivano.
Fallimento delle societa’
Come si è visto nella trattazione dedicata alle società, a seconda della species cui appartiene la società stessa, società “di persone” ovvero società “di capitali”, e del tipo specifico di società, la legge prevede diverse regole circa l’estensione del fallimento ai soci e l’esercizio di azioni di responsabilità nei confronti di uno o più organi della società medesima.
La nuova formulazione dell’art. 146 l.fall., in proposito, attribuisce al curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, il compito di esercitare non solo le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori, ma anche l'azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall'articolo 2476, comma 7, del codice civile. Norma fondamentale in materia è l’art. 147 l.fall., che tratta del fallimento delle società con soci a responsabilità illimitata. Tale disposizione si applica prevalentemente alle società di persone, come si desume dal suo tenore letterale: “la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili”.
La dottrina non ha mancato di sottolineare come il D.Lgs. n. 5/2006 abbia inserito l’inciso “pur se non persone fisiche”, al fine di estendere il fallimento anche a società di capitali che abbiano acquistato partecipazioni in una società con soci illimitatamente responsabili, divenendone soci. La novella in questione è da ritenersi strettamente correlata al nuovo testo dell’art. 2361 del codice civile, il quale prevede che le società per azioni possano acquistare la qualità di socio di società con soci a responsabilità illimitata assumendo, quindi, siffatta posizione, pur nel rispetto di specifiche cautele, quali la deliberazione assembleare di autorizzazione agli amministratori e l’evidenza espressa della specificità di siffatta partecipazione nei bilanci. Da ciò deriva, oggi in modo indiscutibile, che la società di capitali può essere dichiarata fallita “in estensione” ex art. 147, comma 1, l.fall..
Il fallimento dei soci non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata. Sotto il profilo procedurale, nei casi previsti dall'articolo 147, il tribunale nomina, sia per il fallimento della società, sia per quello dei soci, un solo giudice delegato e un solo curatore, pur rimanendo distinte le diverse procedure. Possono essere nominati, invece, più comitati dei creditori, ferma restando la distinzione tra il patrimonio della società e quello dei singoli soci. L’art. 148 l.fall, poi, si occupa di regolare i rispettivi diritti dei creditori sociali e dei creditori particolari dei singoli soci, mentre l’art. 149 l.fall. precisa che il fallimento di uno o più soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società.
Estensione del fallimento a “soci occulti” e a “societa’ occulte”
Un cenno particolare meritano i commi quarto e, soprattutto, quinto dell’art. 147 l.fall.. Il primo di essi non presenta sostanziali novità in quanto estende il fallimento anche ai soci illimitatamente responsabili, la cui esistenza dovesse essere scoperta dopo la dichiarazione di fallimento della società (c.d. “soci occulti”).
Del tutto innovativo, almeno in termini di disciplina espressa, invece, è il disposto del quinto comma dell’art. 147 l.fall., il quale prevede che la suddetta estensione del fallimento operi anche qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l'impresa è riferibile a una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile. Si tratta del fallimento della c.d. “società occulta”, in realtà da tempo applicato in giurisprudenza, anche se da più parti contestato in dottrina.

1 commento:

  1. vorrei sapere "degli effetti del fallimento sugli atti pregiudievoli ai creditori", ovvero art.64-70 l.f. con tutti i dettagli....un bacio
    rossana
    la mia e-mail è rossana_marano@libero.it

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