martedì 27 ottobre 2009

Distacco - Comando negli Enti Locali

Come noto, l’art. 30 D.lgs. n. 276/2003 ha introdotto una definizione legale di distacco (istituto di esclusiva creazione giurisprudenziale) e ha previsto che "l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa". Dunque, la temporaneità del distacco e l’interesse del distaccante sono i "requisiti di legittimità del distacco".
I requisiti di legittimità.
In aggiunta alla definizione legale, tuttavia, la circolare 3/2004 specifica ulteriormente entrambi i requisiti.
Quanto al primo (la temporaneità), si chiarisce che il concetto di temporaneità "coincide con quello di non definitività, indipendentemente dall’entità del periodo di distacco, fermo restando che tale durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante".
Quanto al secondo (l’interesse), si prevede che "il distacco può essere legittimato da qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui. La sussistenza di tale interesse deve inoltre protrarsi per tutto il periodo di durata del distacco".
Si tratta di precisazioni importanti, solo in parte già fornite dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito. Da un lato, infatti, l’orientamento della giurisprudenza era piuttosto consolidato (e da un passato non così prossimo) nel ritenere che la temporaneità del distacco significhi non definitività, e che la durata del distacco debba coincidere con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore di un terzo. (Cass. civ. 15.6.1992, n. 7328; di recente, Corte d’Appello Milano, 4.5.2001). Per contro, sugli specifici requisiti della durata del distacco e del tipo di interesse del datore distaccante, si registravano soluzioni contrastanti. La giurisprudenza aveva infatti ritenuto, in alcune occasioni, che l’istituto del distacco richiedesse anche l’"occasionalità della dislocazione del lavoratore presso altro datore di lavoro" (Cass. 24.10.2000, n. 13979) o che non "qualsivoglia interesse fattuale al cd. distacco possa giustificare il medesimo" (Trib. Venezia, 20.11.1995).
La circolare n. 3/2003, al contrario, afferma che la non definitività è indipendente dall’entità del periodo di distacco, purché sia "funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante".
Detto altrimenti, il datore di lavoro può avere interesse ad una lunga o lunghissima permanenza del proprio dipendente presso terzi, per motivi o con modalità tutt’altro che occasionali.
Allo stesso modo, come si desume dalla nuova circolare, qualunque interesse può essere alla base del provvedimento di distacco, e non solo un interesse qualificato o particolarmente meritevole di tutela. "In tale ottica", afferma la circolare in commento, la legge Biagi "legittima le prassi di distacco all’interno dei gruppi di impresa, le quali corrispondono a una reale esigenza di imprenditorialità, volta a razionalizzare, equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende che fanno parte del gruppo". Anche in questo caso "interesse del distaccante e temporaneità sono requisiti essenziali per la legittimità del distacco". Più precisamente, "mentre il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione ai fini di lucro, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata".
Distacco e differenza con la somministrazione
Il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione ai fini di lucro. Il distaccante soddisfa un interesse produttivo al buon andamento della società controllata o partecipata.
Trattamento economico
Ma non è tutto, in quanto la circolare n. 3/2004 si occupa infatti anche del trattamento economico, normativo, e contributivo del distacco infragruppo.
Sul punto, oltre a ribadire la previsione della legge Biagi, secondo la quale gli oneri del trattamento economico e normativo restano a carico del distaccante che ne è esclusivo responsabile nei confronti del lavoratore, la circolare riferisce della prassi, ormai consolidata, del rimborso di tali oneri da parte del distaccatario, rammentando che la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha ritenuto che il rimborso al distaccante del trattamento economico non ha alcuna rilevanza ai fini della qualificazione del distacco genuino (Cass. civ., S.U., 13.4.1989, 1751). Piuttosto, afferma la circolare, poiché il lavoratore distaccato esegue la sua prestazione anche nell’interesse del distaccatario, la scelta del rimborso rende più lineare e trasparente l’imputazione reale dei costi sostenuti da ogni singola società. In tal senso, "l’importo del rimborso non può superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante".
Il regime contributivo
Sul fronte contributivo e assicurativo, inoltre, la circolare ribadisce in parte principi già enunciati in precedenti circolari: il distaccante è titolare del trattamento contributivo, da adempiere con riferimento all’inquadramento della sede di provenienza; il premio per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali è a carico del distaccante ma è calcolato sulla base dei premi e della tariffa applicati al distaccatario (cfr. circolari Min. lav nn. 4 e 58 del 1994).
Il datore di lavoro distaccante rimane responsabile, in caso di rivalsa dell’Istituto, in occasione di un infortunio sul lavoro che integri un’ipotesi di reato e che sia avvenuto presso il distaccatario incaricato della direzione e della sorveglianza del lavoro in base all’art. 10 Dpr 1124/1965. È possibile, tuttavia, un diverso accordo tra le parti.
Il consenso del lavoratore distaccato
Così chiariti i profili economici, normativi e contributivi, la circolare affronta l’ipotesi racchiusa nell’art. 30, comma 3, del Dlgs n. 276/2003, precisando innanzitutto che il consenso del lavoratore al distacco che comporti un mutamento di mansioni "vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni nell’ipotesi in cui, pur in assenza di demansionamento, vi sia una specializzazione e/o una riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio professionale del lavoratore".
Distacco a più di 50 Km
La circolare in esame sottolinea altresì che il riferimento alle "comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive" per il distacco che avvenga in un’unita produttiva a più di 50 Km di distanza dalla sede di provenienza, "non comporta l’applicazione della disciplina del trasferimento". Si tratta di una precisazione che, se pur parziale, è quanto mai opportuna, dal momento che il tenore letterale della riforma Biagi poteva autorizzare ad un’interpretazione che ravvisasse, in tale specifica ipotesi, una trasformazione del distacco in trasferimento ("Quando comporti un trasferimento a un’unita produttiva sita a più di 50 km ... il distacco può avvenire solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive o sostitutive", cfr. art. 30, comma 3, Dlgs n. 276 del 2003; la giurisprudenza, come noto, ha invece sempre ritenuto illegittimo il trasferimento del lavoratore disposto a seguito di distacco presso altra società del gruppo (cfr., per tutte: Trib. Milano, 23.12.2000). Nonostante tale precisazione, tuttavia, la circolare non afferma alcunché in merito ai motivi della diversa disciplina del distacco che avvenga ad una distanza maggiore di 50 km (l’unico che è lecito intuire è quello dei maggiori disagi per il distaccato), né alcuna esemplificazione delle citate ragioni tecniche, organizzative e produttive o sostitutive.
Distacco parziale
Da ultimo, la circolare apre la possibilità di un distacco parziale (possibilità per il lavoratore distaccato di svolgere la propria attività lavorativa anche parzialmenate presoso il distaccatario e continuando a svolgere presso il distaccante la restante parte di prestazione lavorativa).
Sostituzione di lavoratore distaccato
La circolare in oggetto autorizza il distaccante ad assumere con contratto a termine un altro lavoratore ove sussistano le esigenze che legittimano l’apposizione del termine in base alle previsioni del Dlgs 368/2001.
Osservazioni conclusive
In definitiva, si può concludere che la circolare n. 3/2004 offre ulteriori margini di flessibilità al datore di lavoro assistiti dalla contemporanea previsione di precisi limiti. La definizione di temporaneità come "indipendente dalla durata del periodo di distacco", l’estensione del concetto di "interesse" del datore di lavoro, la qualificazione del consenso del distaccato quale "ratifica dell’equivalenza di mansioni" e la possibilità di sostituire con contratto a termine il distaccato, si presentano, infatti, come validi strumenti nelle mani del datore. Per contro, la precisazione che la durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante; che l’interesse del distaccante si protragga per tutto il periodo di distacco, nonché il richiamo all’assenza di demansionamento o ai requisiti di legge per la stipulazione di contatti a termine sembrano arginare correttamente il nuovo potere datoriale.
Requisiti del distacco
a) La temporaneità
b) l’interesse del distaccante
a) La temporaneità - È intesa come non definitività indipendentemente dall’entità del periodo di distacco, purché la durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante.
b) L’interesse - È inteso come qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui. La sussistenza di tale interesse deve inoltre protrarsi per tutto il periodo di durata del distacco.
Oneri economici, contributivi e assicurativi
Retribuzione e contributi: Sono a carico del distaccante e vanno adempiuti in relazione all’inquadramento del datore di lavoro distaccante
Oneri assicurativi:Sono a carico del distaccante ma calcolati sulla base dei premi e della tariffa applicati al distaccatario.
Il distaccante è responsabile, in caso di rivalsa dell’Istituto, per infortuni sul lavoro che integrino ipotesi di reato avvenuti presso il distaccatario. È possibile un diverso accordo tra le parti.

L’istituto del comando
L’art. 56 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 («Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato»), prevedeva l’istituto del comando, ovvero che «l’impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra Amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell’Amministrazione cui l’impiegato stesso appartiene» (primo comma), comando che poteva essere «disposto, per tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza» (secondo comma); nel mentre, l’art. 57 disciplinava il trattamento economico del personale comandato, prevedendo che doveva provvedere alla spesa «direttamente ed a proprio carico l’Ente presso cui detto personale va a prestare servizio» (terzo comma).
L’attuale disciplina contrattuale del comparto regioni-autonomie locali non prevede nessuna norma specifica al riguardo. Il CCNL siglato il 22 gennaio 2004 (quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003) ha preso in considerazione la particolare situazione del personale comandato in relazione però a due distinti profili della disciplina del rapporto di lavoro: le progressioni economiche orizzontali e verticali (vedi art. 19: “Partecipazione del personale comandato o distaccato alle progressioni orizzontali e verticali”).
Come deve interpretarsi tutto ciò? Qual è l’attuale disciplina da applicarsi al personale comandato?
È stata la giurisprudenza di merito che ha costruito l’istituto del comando per il personale del sistema pubblico sulla base di due articoli del codice civile: l’art. 2103, contenente la disciplina sulla «prestazione del lavoro» e l’art. 2104, che regola la «diligenza del prestatore di lavoro».
Invero, ogni lavoratore alle dipendenze di una pubblica Amministrazione può essere comandato dal proprio datore di lavoro a prestare servizio temporaneamente presso un altro datore di lavoro, nell’ambito dell’esercizio unilaterale del potere direttivo ai sensi del citato art. 2104 c.c. Anche se il comando può soddisfare le esigenze organizzative di entrambi i datori di lavoro, la giurisprudenza ha chiarito che debba essere presente e determinante l’interesse del titolare del rapporto ad utilizzare il lavoratore presso un altro soggetto beneficiario della prestazione. Non è, inoltre, necessario il consenso da parte del lavoratore, ma è sempre deciso d’autorità dal titolare del rapporto, anche se è evidente che il consenso dato dallo stesso lavoratore rende meno conflittuale tale procedura.
Il comando di un dipendente destinato a prestare la propria attività presso un datore di lavoro diverso da quello d’appartenenza non comporta la nascita di un nuovo rapporto di impiego con l’Ente destinatario della prestazione, ma si verifica solamente una modificazione temporanea ed oggettiva del rapporto di lavoro originario. In altre parole, l’Ente originario rinuncia alle prestazioni del suo dipendente che sono invece rese per conto del soggetto di destinazione, al quale viene delegata una porzione del potere direttivo nonché gestionale (ferie, permessi, ecc.) nei confronti del personale in posizione di comando. Non può essere diversamente, in quanto questi ultimi poteri attengono alla sfera operativa per lo svolgimento della prestazione.
L’art. 19 del CCNL del 22 gennaio 2004 soprarichiamato ribadisce il diritto del dipendente a partecipare, sempre e in ogni caso, alle selezioni sia orizzontali che verticali previste per la generalità del personale. Si tratta, in realtà, di una disposizione ovvia e inutile, in quanto non poteva essere diversamente, dato che il lavoratore continua ad essere dipendente a tutti gli effetti dell’Ente d’appartenenza. Per consentire l’effettiva realizzazione di tale diritto del dipendente comandato è previsto che l’Ente d’appartenenza debba concordare con l’Ente utilizzatore le modalità per acquisire da questo le informazioni e le eventuali valutazioni concernenti il lavoratore comandato che, alla luce delle regole adottate dallo stesso Ente di appartenenza in materia di progressioni orizzontali e verticali, siano necessarie per consentire la sua effettiva partecipazione alle stesse.
L’Ente che utilizza funzionalmente il personale comandato è tenuto a rimborsare all’Ente di appartenenza il trattamento fondamentale, secondo le modalità e la tempistica opportunamente e preventivamente concordate tra i due enti. Per quanto concerne il trattamento economico accessorio (produttività collettiva, pagamento ore di straordinario, indennità di maneggio valori, reperibilità, ecc.) l’ARAN, nella relazione illustrativa al CCNL 22 gennaio 2004, ha sostenuto che debba essere erogato direttamente dal datore di lavoro che ne utilizza le prestazioni, secondo le regole e modalità fissate dalla propria contrattazione decentrata integrativa, sopportandone quindi i relativi oneri. Trattasi di una disposizione di difficile (per non dire impossibile) applicazione, in quanto ci troveremmo di fronte a due uffici del personale appartenenti a due enti diversi (come si attuerebbe la classificazione previdenziale del lavoratore? E come avverrebbe la suddivisione del pagamento degli oneri contribuitivi?) tenuti a liquidare, l’uno il trattamento fondamentale, l’altro il trattamento accessorio spettanti allo stesso dipendente. Più facile (come avviene nella realtà quotidiana) è concordare tra i due enti che la corresponsione dell’intera busta paga sia di spettanza dell’Ente d’appartenenza dietro comunicazione mensile dell’importo dovuto da parte dell’Ente utilizzatore del dipendente, e il relativo rimborso.
Ma nei casi in cui venga meno il requisito della temporaneità e vi sia rispondenza al triplice interesse del dipendente, dell’Amministrazione di appartenenza e di quella di destinazione, l’utilizzazione del dipendente deve mutarsi necessariamente in prestazione di attività lavorativa a titolo definitivo, con inserimento in ruolo per effetto della mobilità esterna volontaria presso quella di destinazione. In altri termini, il trasferimento, o passaggio diretto, attualmente regolato dall’art. 30 del D.L.vo n. 165/2001, può essere attuato solamente tramite un accordo trilaterale, cioè con il consenso dell’Amministrazione ricevente (che deve disporre di un posto vacante di pari categoria), dell’Amministrazione cedente e del dipendente interessato. Giuridicamente si configura come una cessione di contratto (art. 1406 c.c. cioè la cessione ad altri della complessa posizione che un contraente ha rispetto a obblighi e diritti nell’ambito di un contratto sinallagmatico) in quanto ad un datore di lavoro ne subentra un altro. Con questo istituto si viene incontro alle esigenze di razionalizzazione dell’organizzazione e di efficienza della pubblica Amministrazione: se l’attività del dipendente è utile per soddisfare un fabbisogno professionale (che si è dimostrato duraturo) dell’Amministrazione di destinazione è opportuno che la sua professionalità sia dalla stessa acquisita, con la copertura del relativo posto in organico.
Altro problema è stabilire se sia possibile disporre il comando da o presso un’azienda privata. Orbene, se la fonte per la disciplina del comando deve essere individuata nel codice civile, dobbiamo ritenere che non sussistono vincoli o prescrizioni che possano circoscrivere il comando stesso alle sole pubbliche amministrazioni dovendosi, invece, ritenere praticabile anche una mobilità temporanea da e verso aziende private. Saranno i soggetti interessati al comando a definire consensualmente le condizioni e i tempi della utilizzazione del lavoratore e l’accollo dei relativi oneri finanziari; il tutto con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001

18 commenti:

  1. Ciao!
    Hai qualche riferimento normativo/giuridico a sostegno della possibilità di comando o distacco da o presso un'azienda privata?

    Io sono dipendente di una azienda pubblica (municipalizzata 100% comunale) che si configura come Ente Pubblico Economico.... un dirigente di Ente Pubblico (non economico) mi vorrebbe nel suo staff ma non troviamo un riferimento normativo specifico....

    Mi puoi aiutare?

    GRAZIE!

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  2. esposizione chiarissima e preziosa

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  3. Salve, sono comandato da un ente locale (appartenenza) ad altro ente pubblico (statale) e il prossimo agosto scadono i due anni del comando, è possibile prorogare un ulteriore anno considerato il fatto che l'ente dove presto servizio mi ha inserito nel processo di mobilità che avverrà entro il 2011?
    Alberto

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  4. Salve sono un'archeologa, laureata in lettere indirizzo archeologia e mi sto dottorando e specializzando. Attualmente come vincitrice di concorso insegno a tempo indeterminato nella scuola primaria (maestra elementare), ma vorrei fare un trasfermento o un distaccamento al ministero dei beni archeologici o all'università o in qualche altra struttura come musei ecc...
    Può darmi informazioni al riguardo?
    Grazie
    P.S. può rispondere anche alla mia mail: danielamancini79@yahoo.it

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  5. L’istituto del comando è discrezionale, quindi l’ente che dovrebbe prenderla in carico deve essere consenziente … il consiglio che Le posso dare è quello di contattare gli enti dove vorrebbe trasferirsi e oltre a presentare istanza con allegato curriculum vedere di avere un colloquio con i vertici degli enti medesimi … cmq se posso essere utile conti sulla mia disponibilità ed in bocca al lupo.

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  6. Gentilisimo Beppe, complimenti per l'esposiione chiara e preziosa. Vorrei da lei se possibile, alcune altre delucidazioni:
    sono un insegnante elementare comandata presso altra amministrazione pubblica. Sono stato inquadrato come B3, cioè amministrativo diplomato. Vorrei sapere se secondo lei l'inquadramento è corretto. Io sono laureato, e speravo in un inquadramento da C1. Grazie e un cordiale saluto
    Carlo

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  7. Io Caro Carlo, affinché io possa darti un risposta corretta avrei bisogno di sapere quale contratto di lavoro ti hanno applicato … negli enti locali ad esempio l’insegnate è considerato appartenente alla categoria C e nell’esemplificazione dei profili, potrebbe essere inquadrato “Istruttore Educativo” (poi dipende da quello che decide la contrattazione integrativa aziendale) non so però se negli altri contratti di lavoro possa essere considerato appartenente ad altre categorie.

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  8. Gentilissimo Peppe, vista la chiara e completa formulazione fatta relativamente al distacco-comando negli enti locali, sono a porti la seguente domanda: può un Ente locale che ha già in corso una procedura di pubblico concorso per n. 2 Dirigenti(seppur momentaneamente sospesa), prendere in comando da altri enti territoriali i due dirigenti, sulla base di una richiesta formulata dagli interessati?? In precedenza tali incarichi dirigenziali sono stati ricoperti temporaneamente da personale interno di categoria D, in possesso dei requisiti richiesti,e successivamente revocati per dar luogo alle procedure concorsuali.
    Grazie

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  9. sono un dipendente di una Amministrazione Provinciale, comandato presso la Regione . per sopravvenute esigenze ho chiesto di rientrare pert-time presso la Provincia e rimanere part-time presso la Regione in comando. con il consenso di entrambi gli enti, ciò è possibile?. se mi venissero richiesti esistono riferimenti normativi o giurisprudenziali a tal riguardo. grazie anticipate

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  10. gentile Peppe, ho bisogno di alcune informazioni relative all'argomento "distacco" e spero che con la tua grande competenza in materia vorrai essere così gentile da aiutarmi. Io lavoro presso un Ente Locale (Comune) in abruzzo e per motivi di famiglia (il mio compagno vive a Torino) vorrei chiedere il distacco presso un Ente Pubblico di Torino; abbiamo già avuto un colloquio molto positivo con un dirigente di tale Ente , Come dovrei comportarmi ora? devo fare prima una richiesta scritta al mio datore di lavoro e in secondo tempo una richiesta all'ente presso il quale dovrei prestare servizio? Si tratta di una procedura che non ho mai fatto e non so quale sia la prassi in materia ma conosco diversi colleghi che l'hanno attuata. Ad esempio una nostra Funzionaria, per sue esigenze personali ha chiesto e ottenuto il distacco presso il Tribunale a Roma ed un altro collega, sempre per sue esigenze personali, è stato distaccato presso un altro Comune. Spero in una tua risposta e ti saluto cordialmente

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  11. Sono un impiegato regionale della regione sicilia inquadrato in cat. A posso prestare la mia attivita presso un altra struttura pubblica, come un tribunale in categoria B

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  12. come deve formalizzare il comando l'ente di appartenenza?

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  13. SONO UNA CONTRATTISTA VORREI SAPERE MA SI PUò AVERE IL TRASFERIMENTO PER COMANDO ?SPERO CHE QUALCUNO POSSA RISP GRAZIE

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  14. Caro Peppe,
    le informazioni sono molto chiare e utili. Ho solo una domanda: sono un dipendente di una pubblica amministrazione ed ho individuato, parlandone con i vertici, una agenzia regionale che sarebbe interessata alla mia professionalità. Mi sai dire in pratica quali siano i passaggi che dovrei fare io nei confronti della mia amministrazione? O forse è l'Ente ricevente che deve fare il primo passo nei confronti della mia amministrazione di appartenenza? Grazie mille per la risposta!

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  15. Ciao avrei da sottoporti un quesito, nel caso di comando da un comune ad una spa a totale capitale pubblico, sono previsti rimborsi spese per coprire i costi relativi ai viaggi dal luogo dell'ente distaccante al luogo ove è distaccato?? e se si in che misura?

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  16. Salve Peppe, il mio problema è con il Dipartimento regionale di Protezione Civile. Un gruppo di circa 18 Comandati degli enti locali dopo circa 8 anni siamo stati buttati fuori dal dipartimento regionale tranne 1, ma la cosa buffa è che abbiamo una legge fatta per la mobilità dopo un atto d'interpello in tutta la regione, abbiamo fatto tutto ciò che diceva la norma, ma il direttore del personale pro tempore non ha accettato fregandosene della legge. Siamo tornati nei nostri enti locali ma abbiamo intrapreso una causa con la regione, che ne pensi?

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  17. A mio avviso il comando è temporaneo, tu scrivi “dopo circa 8 anni siamo stati buttati fuori dal dipartimento”.
    Sicuramente se il comando è durato tutto questo tempo … doveva essere motivato, così come la revoca del comando doveva essere motivata …… ce da vedere con quale motivazione (es. che è diminuito il carico di lavoro) è stato revocato il comando….. Una cosa è certa a mio avviso, prima che il Dipartimento regionale di Protezione Civile assuma nuovo personale deve dare la precedenza a voi ex comandati, se nn altro per la professionalità acquisita ed in particolar modo se avete ricevuto una formazione adeguata ….. nel caso in cui, il dipartimento assume altro personale (anche per mobilità) sicuramente arrecherà un danno all’erario.

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  18. salve, lavoro presso un comune e ho presentato domanda per un comando presso il ministero di giustizia minorile.Vi è una nuova legge/circolare ecc. che menziona la non sostituibilità dei comandi?Il mio servizio dichiara che i comandi non possono essere sostituiti ma a me non risulta.Inoltre è aperta una graduatoria a tempo determinato dove eventualmente si potrebbe attingere per la mia sostituzione,essendo poi il mio stipendio pagato dall'ente presso cui andrò in comando?Ringrazio fin da subito epr eventuali chiarimenti

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