mercoledì 28 ottobre 2009

CONTROLLI UE - PICCOLA PESCA

Chiesto l’avvio di un confronto con le OO.SS. e le associazioni datoriali sugli effetti dell’introduzione del regolamento UE sui controlli al settore della pesca. E’ quanto è emerso dall’incontro tra l’Assessore regionale alla pesca, Titti Bufardeci, ed il Segretario regionale di Ugl Agroalimentare Sicilia, Giuseppe Messina. Nel corso dell’incontro, alla quale ha partecipato il componente di Ugl Agroalimentare Sicilia al Consiglio Regionale della Pesca, Franco Fasola, Capo struttura di Ugl Sicilia, nel portare i saluti del Segretario Generale, Giovanni Condorelli, ha ringraziato l’Assessore Bufardeci per l’approccio al dialogo improntato sulla cordialità e disponibilità ed ha rappresentato le ragioni politico-sindacali confederali non solo sul settore della pesca ma anche sui settori dell’artigianato e del commercio, ritenuti strategici per Ugl Sicilia; sottolineando la necessità che si sblocchino gli avvisi per gli investimenti produttivi (Pip, Distretti, etc.) per dare respiro al sistema delle PMI. L’introduzione delle norme in materia di controlli al settore della pesca, seppur condivisibili in via di principio, ci preoccupano per alcune ragioni – dichiara Giuseppe Messina, Segretario regionale Ugl Agroalimentare Sicilia – perché investono l’intera filiera ittica e tutte le imbarcazioni superiori a 15 metri di lunghezza. Forti perplessità nutriamo per l’impatto negativo che potrebbe avere sulla piccola pesca artigianale – prosegue Messina – se non si pone rimedio nell’aggiustare alcuni meccanismi, entro la data di approvazione del testo definitivo prevista per i giorni 19 e 20 novembre p.v. Il Segretario regionale ha consegnato all’Assessore Bufardeci una relazione sulla questione contenente le proposte di Ugl Agroalimentare Sicilia per mitigare l’impatto sulle imprese di pesca e sui pescatori delle cooperative di piccola pesca e per attivare un sistema di aiuti nella fase di applicabilità. Dal canto suo l’assessore Bufardeci ha mostrato ampia disponibilità ad affrontare i temi sottoposti dalla delegazione sindacale facendosi carico di fornire risposte concrete entro i termini fissati dall’UE e confermando l’impegno del Governo regionale di mediare la questione a Bruxelles. Bufardeci ha inoltre confermato che sono in dirittura di arrivo almeno 7 misure che sbloccheranno ingenti risorse finanziarie per gli insediamenti produttivi in Sicilia, accelerando il processo di ripresa dei settori dell’artigianato e del commercio, come auspicato da Ugl Sicilia.
Palermo, 28 ottobre 2009

Regione Sicilia - RIORDINO DEL PERSONALE

Chiesto l’intervento del Presidente Lombardo (nella foto a destra) per garantire la corretta applicazione dei dettami del contratto di lavoro del personale regionale. E’ quanto emerge da una nota trasmessa dalla Segreteria regionale Regione Sicilia della Federazione Nazionale Enti e Regioni a Statuto Speciale di UGL al Presidente della Regione Siciliana. Il ripristino di una corretta dialettica sindacale è quanto chiede Ernesto lo Verso, Segretario regionale della Federazione Enti e Regioni a Statuto Speciale.
Il Governo regionale - prosegue Lo Verso - sordo ai richiami, ai suggerimenti e agli accorati appelli delle OO.SS., ha sottoposto la bozza di regolamento di riforma dell’Amministrazione regionale alla sola “analisi consultiva” delle parti sociali, così escludendo a priori la possibilità di modificazione dell’intero schema proposto. E’ un atto sconsiderato che raffredda le relazioni sindacali sulle materie legate ai contratti di lavoro del personale regionale, il cui processo di riordino incide, in maniera determinante, sui compiti e sulle funzioni più complesse, sugli istituti del distacco, degli esuberi, fino alla ricollocazione del personale. E’ necessario un gesto responsabile da parte del Governo regionale che comporti la riapertura del dialogo – conclude Lo Verso.
Per Giovanni Condorelli (nella foto a sinistra), Segretario Generale di UGL SICILIA, è necessario che l’impianto del provvedimento venga sottoposto al preventivo esame delle parti sociali, Ugl Sicilia chiede al Pre sidente Lombardo, un autorevole intervento per riaprire il tavolo di confronto su una materia strategica per il futuro della Sicilia come quella del riordino della Pubblica Amministrazione regionale.
Fonte: UGL SICILIA NOTIZIE

Consigli per Le RSU

LE RSU: COME E QUANDO NASCONO
La legge delega 421/92 e il successivo decreto legislativo 29/93 hanno riformato radicalmente il rapporto di lavoro nel pubblico impiego, assimilandolo a quello privato e contrattualizzandolo. La conseguenza della riforma è che le fonti giuridiche che regolano il rapporto di lavoro sono:
1. il codice civile e le leggi sul lavoro subordinato d’impresa;
2. il D.lgs.vo 29/93 e successive modifiche ed integrazioni;
3. il D.Lgs.vo 165/01 e successive modifiche ed integrazioni;
4. i contratti.
CHE COS’E’ UN CONTRATTO
Il Contratto è definito dai seguenti articoli del Codice Civile:
Art. 1321 – il Contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
Art. 1325 – i requisiti del Contratto sono: 1. L’accordo delle parti; 2. La causa; 3. L’oggetto; 4. La forma.
Art. 1326 – il Contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte ... L’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.
Art. 1337 – sulle trattative e la responsabilità precontrattuale – le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
Art. 1341 – le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro contraente solo se, al momento della conclusione del contratto, questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono a favore di colui che le ha predisposte limitazioni di responsabilità (art. 1229), facoltà di recedere dal contratto (Art. 1373) o di sospenderne l’esecuzione (art. 1461), ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze (art.2965), limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni (art. 1462), tacita proroga o rinnovazione del contratto (art. 1597, 1899), clausole compromissorie (c.p.c. 808) o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria (art. 1370; c.p.c. 6,28,29,30,413).
Va infine tenuto ben presente l’art. 2077, che vieta la deroga “in peius” dei contratti di lavoro ad ogni livello rispetto alle norme di legge.
Ne consegue che il rapporto di lavoro, nel pubblico impiego, è contrattualizzato e non privatizzato: ovvero è regolato da contratti collettivi e individuali.
Il passaggio dal vecchio al nuovo sistema è stato graduale si è concluso con le prime elezioni RSU, svoltesi a novembre del 1998.
Le RSU sono state introdotte per la prima volta con il contratto 1998-2001.
Nei contratti precedenti al 1995 l’attività sindacale negli uffici si espletava con la nomina da parte dei sindacati di un proprio delegato (R.S.A., come previsto dalla legge 300/70 meglio nota come Statuto dei Lavoratori), il quale si limitava all’esercizio dei soli diritti sindacali: usare la bacheca sindacale, indire assemblee e partecipare a limitate sessioni di contrattazione. Con il contratto 1994-97 si è cominciato a definire un vero e proprio sistema di relazioni sindacali, fino ad arrivare al Contratto 1998/2001 che ha stabilito le procedure sindacali tuttora vigenti.
In questo nuovo scenario delle relazioni sindacali diventano protagonisti il singolo RSU e la RSU nel suo complesso, eletti dall’insieme del personale. Si tratta di soggetti che si confrontano con il Dirigente della Sede in maniera paritaria.
COMPETENZE DELLE RSU
Il sistema delle relazioni sindacali all’interno di ciascun luogo di lavoro, individuato come sede di RSU, è regolato dal contratto 1998-2001 e si articola in:
Contrattazione e Partecipazione.
L’art. 4 del CCNL 1998-2001 definisce contenuti, materie e modalità della CONTRATTAZIONE COLLETTIVA INTEGRATIVA e in particolare i commi:
1. Le parti di cui all’art. 10 (che individua la composizione delle delegazioni) sottoscrivono il contratto collettivo integrativo con le risorse del fondo previste dall’art.31, al fine di incrementare la produttività e la qualità del
servizio e di sostenere i processi di riorganizzazione e di innovazione tecnologica e organizzativa.
2. Il contratto collettivo integrativo regola i sistemi di incentivazione del personale sulla base di obiettivi e programmi di incremento della produttività e di miglioramento della qualità del servizio, definisce i criteri generali delle metodologie di valutazione basate su indici e standard di valutazione ed indica i criteri di ripartizione delle risorse del fondo unico di amministrazione determinando le varie finalità di utilizzo indicate nell’art.32.
Presso ogni Sede, individuata come sede di contrattazione a seguito della elezione delle RSU, possono essere regolate le seguenti materie:
􀂾applicazione e gestione in sede locale della disciplina definita dal comma 2 (i sistemi di incentivazione);
􀂾 i criteri di applicazione, con riferimento ai tempi ed alle modalità, delle normative relative all'igiene, all'ambiente, sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, nonchè alle misure necessarie per facilitare il lavoro dei dipendenti disabili;
􀂾 l’articolazione delle tipologie dell’orario di lavoro di cui all’art. 19 del CCNL 16 maggio 1995.
Dunque queste sono le materie di competenza della RSU, oggetto di contrattazione decentrata di secondo livello. Ma le relazioni sindacali si articolano anche nella partecipazione che si esplica mediante l’informazione preventiva e successiva, la concertazione e la consultazione.
La RSU ha diritto a:
1) Informazione
Costituiscono materia d’informazione preventiva:
a. effetti generali delle innovazioni tecnologiche sull'organizzazione del lavoro della Sede;
b. definizione dei criteri per la determinazione e la distribuzione dei carichi di lavoro e delle dotazioni organiche del personale;
c. verifica periodica della produttività della Sede;
d. criteri generali per l’organizzazione del lavoro della Sede;
e. criteri di massima riguardanti l'organizzazione del lavoro della Sede;
f. introduzione di nuove tecnologie e processi di riorganizzazione della Sede;
g. misure programmate in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro,
h. iniziative rivolte al miglioramento dei servizi sociali in favore del personale;
i. programmi di formazione del personale.
Costituiscono materia d’informazione successiva:
a. parametri e risultati concernenti la qualità e produttività del servizio prestato nella Sede;
b. distribuzione complessiva dei carichi di lavoro nella Sede;
c. attuazione dei programmi di formazione del personale della Sede;
d. misure in materia di igiene e sicurezza nel luogo di lavoro;
e. distribuzione delle ore di lavoro straordinario e relative prestazioni nella Sede.
2) Concertazione
Costituiscono materia di concertazione:
a) la definizione dei criteri sui carichi di lavoro e delle dotazioni organiche della Sede;
b) la verifica periodica della produttività della Sede.
La concertazione è attivata, mediante richiesta scritta, entro tre giorni dal ricevimento dell’informazione.
La concertazione si svolge in appositi incontri che iniziano entro quarantotto ore dalla data di ricezione della richiesta; durante la concertazione le parti si adeguano, nei loro comportamenti, ai principi di responsabilità, correttezza e trasparenza. Nella concertazione le parti verificano la possibilità di un accordo mediante un confronto che deve, comunque, concludersi entro il termine massimo di trenta giorni dalla sua attivazione; dell'esito della concertazione è redatto verbale dal quale risultino le posizioni delle parti nelle materie oggetto della stessa. In caso di mancato accordo, l’Amministrazione può comunque procedere nella sua azione.
3) Consultazione
1. La consultazione è attivata preventivamente, prima dell'adozione degli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro ed è facoltativa. Essa si svolge, invece, obbligatoriamente sulle seguenti materie e con i soggetti di seguito indicati:
a) organizzazione e disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche.
2. E', inoltre, prevista la consultazione del rappresentante per la sicurezza nei casi di cui all'art. 19 del D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626.
I DIRITTI SINDACALI DELLA RSU
I componenti delle RSU usufruiscono dei diritti, dei permessi (retribuiti e non), delle libertà e delle tutele sindacali.
La fonte normativa è il CCNQ 07/08/1998 – “Modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali”:
Art.2 – Diritto di assemblea
Le assemblee possono essere indette, con specifico ordine del giorno, su materie di interesse sindacale e del lavoro, dalla RSU nel suo complesso (esistono svariate sentenze della Magistratura del Lavoro, la quale riconosce tale diritto anche al singolo R.S.U.).
Art.3 – Diritto di affissione
La RSU ha diritto di affiggere, in appositi spazi che l’amministrazione ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutto il personale interno, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie d’interesse sindacale e del lavoro, utilizzando, ove disponibili, anche sistemi di informatica.
Art.4 – Locali
Ciascuna amministrazione con almeno 200 dipendenti mette a disposizione degli eletti RSU, permanentemente e gratuitamente, l’uso continuativo di un locale idoneo, organizzato con modalità concordate.
In ciascuna amministrazione (con meno di 200 dipendenti) la RSU ha diritto di usufruire, su richiesta, di un locale idoneo per le sue riunioni.
Art.8 - Contingente dei permessi sindacali
Il contingente dei permessi sindacali per le RSU, fruibili in ogni amministrazione, sono calcolati moltiplicando 30 minuti per ogni dipendente a tempo indeterminato in servizio, compresi quelli in posizione di comando o fuori ruolo. Il contingente dei permessi di spettanza delle RSU è da queste gestito autonomamente nel rispetto del tetto massimo attribuito.
I contratti collettivi potranno integrare i permessi di pertinenza delle RSU.
Art.9 – Modalità di ripartizione
La ripartizione del contingente dei permessi, tra associazioni sindacali ed RSU, sarà effettuata dal Ministero competente.
PARTE III – Art.18 – Tutela del dirigente sindacale
• comma 4) Il trasferimento dei componenti delle RSU in unità produttiva diversa da quella in cui si è stati eletti può essere predisposto solo previo nulla osta delle rispettive organizzazioni sindacali e della RSU, ove il dirigente ne sia componente.
• comma 5) Le disposizioni del comma 4 si applicano anche per l’anno successivo alla data di cessazione del mandato sindacale.
• comma 6) I dirigenti sindacali, nell’esercizio delle loro funzioni, non sono soggetti alla subordinazione gerarchica.
CODICE DI COMPORTAMENTO
Si ritiene utile ricordare che “i dirigenti sindacali, nell’esercizio delle loro funzioni, non sono soggetti alla subordinazione gerarchica” (CCNQ 7/8/98, parte III, art.18, comma 6).
Suggerimenti operativi:
• chiarire, ove ce ne fosse bisogno, che la trattativa si svolge sempre tra i rappresentanti sindacali eletti nella RSU, i rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali Territoriali ed il Direttore di Sede o Dirigente da questi delegato.
• Il Direttore di sede non può essere sostituito da altro personale privo della qualifica dirigenziale.
• Pretendere che le convocazioni:
• siano fatte per iscritto, individuino con chiarezza le tematiche da trattare e siano corredate di tutto il materiale che consenta un’ampia informazione preliminare;
• siano notificate con almeno 5 giorni di anticipo (solo in situazioni di comprovata urgenza le convocazioni possono essere fatte in tempi brevi secondo accordi preventivamente assunti);
• avvengano, di norma, secondo un calendario preventivamente concordato, fermo restando il diritto delle RSU di riunirsi in orario di servizio.
• Affrontare con grande attenzione tutti i problemi di lavoro e tutto ciò che è connesso direttamente o indirettamente alle prestazioni lavorative, questioni economiche comprese;
• stabilire che le decisioni contrattuali prese siano pubblicate in tempi e modi ben definiti;
• non accettare incontri fissati unilateralmente dal dirigente la mattina per il pomeriggio: normalmente gli incontri vanno concordati almeno cinque giorni prima;
• a taluni dirigenti bisogna subito far capire che l'informazione deve essere puntualmente fornita in appositi incontri da concordare tra le parti;
• l’iniziativa delle trattative, proprio per la mancanza di rapporto gerarchico, può partire dalla stessa RSU;
• nessuno può porre termini di scadenza entro i quali firmare un accordo sindacale;
• è un diritto di ciascun membro delle RSU chiedere i riferimenti normativi delle questioni da trattare, annotarli e rivolgersi alla struttura associativa al fine di ottenere le delucidazioni e le documentazioni opportune.
CONSIGLI sulla FRUIZIONE dei PERMESSI SINDACALI
Bisogna tener presente che, nell’utilizzo dei permessi, deve comunque essere garantita la funzionalità dell’attività lavorativa della struttura o unità operativa - comunque denominata - di appartenenza del dipendente.
A tal proposito è opportuno che il dirigente responsabile della struttura sia preventivamente avvertito della fruizione del permesso sindacale. E’ consigliabile fare la richiesta almeno tre giorni prima dell’utilizzo, privilegiando – negli enti attrezzati – la comunicazione telematica. Questo per quanto concerne i permessi sindacali di pertinenza della RSU.
Per quanto riguarda i permessi sindacali di livello confederale e/o di federazione, si aggiunge che questi possono essere autorizzati - solo ed esclusivamente per iscritto - dal Segretario Nazionale UGL FEDEP.
Si precisa che il ministero della funzione pubblica, con cadenza annuale, verifica la congruità di merito circa l’utilizzo dei permessi sindacali e, in assenza di un’autorizzazione scritta – di data certa e risultante agli atti - della Federazione Nazionale di appartenenza, gli importi relativi alle ore impropriamente utilizzate saranno trattenute dalla busta paga del dipendente.
Fonte: www.uglfedep.org

CONSORZI DI BONIFICA - A RISCHIO 1371 CONTRATTISTI

CONSORZI DI BONIFICA: MESSINA, A RISCHIO 1371 CONTRATTISTI
Riforma dei Consorzi di Bonifica e garanzia dei livelli occupazionali per il 2010 è quanto chiesto da Ugl Agroalimentare Sicilia nel corso di un incontro presso l’Assessorato regionale all’agricoltura e foreste. La direttiva del 22 ottobre scorso prot.93944 a firma del Dirigente Generale del Dipartimento Interventi infrastrutturali, Cosimo Gioia, ci convince poco e crea confusione tra i lavoratori siciliani – dichiara Giuseppe Messina, Segretario regionale Ugl Agroalimentare Sicilia – il Commissari Straordinario dei Consorzi di bonifica ha inteso probabilmente interrompere il meccanismo di assunzione del personale a tempo determinato, impiegatizio e operario, effettuato senza regole fisse e spesso in assenza di copertura normativa e finanziaria. Il contenimento della spesa regionale – prosegue Messina – è condivisibile ma occorre fare chiarezza sul futuro de lavoratori dei Consorzi di bonifica disciplinati dalla L.r.45/95, come sui lavoratori contrattisti di cui all’art.110 della L.r. 17/04, o di quelli di cui all’art.3 della L.r. 76/95, nonché dei lavoratori disciplinati dall’art.1, comma 2° della L.r. 4/06. Fino al completamento del processo di riordino della rete dei Consorzi di bonifica, che Ugl Agroalimentare Sicilia auspica, - continua il segretario regionale – vanno prorogati i contratti dei lavoratori contrattisti, impiegatizi ed operai, la cui platea è costituita da 270 lavoratori ex art.110, 49 lavoratori ex art.3 e 770 lavoratori, su un totale di 825 iscritti nelle liste dei Consorzi, ex art.1, comma 2° L.r. 4/06 il cui impegno finanziario ammonta a circa 21 milioni di Euro. La manovra finanziaria dovrà comprendere, in aggiunta, 40 milioni di Euro per garantire i circa 1.000 lavoratori a tempo indeterminato di cui alla L.r. 45/95, ai quali, per Ugl Agroalimentare – precisa Messina – occorre aggiungere circa 5 milioni di Euro sul capitolo manutenzioni, per garantire il livello occupazionale dei circa 282 operai, di cui 21 impiegatizi su Catania, assunti direttamente dai Consorzi di Trapani, Palermo, Agrigento, Catania e Ragusa negli anni 2007 e 2008 e retribuiti con fondi di perizie di manutenzione. Chiederemo al Presidente Lombardo di impegnare 26 milioni di Euro per prorogare di un anno i contratti al personale impiegatizio e operaio e mettere mano al processo di riforma organica del comparto che riduca gli sprechi del sistema e metta a regime la rete dei Consorzi e delle strutture connesse a garanzia delle attività istituzionali sul territorio e dei livelli occupazionali del personale ad oggi impegnato.
Fonte: www.uglsicilia.com

martedì 27 ottobre 2009

Distacco - Comando negli Enti Locali

Come noto, l’art. 30 D.lgs. n. 276/2003 ha introdotto una definizione legale di distacco (istituto di esclusiva creazione giurisprudenziale) e ha previsto che "l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa". Dunque, la temporaneità del distacco e l’interesse del distaccante sono i "requisiti di legittimità del distacco".
I requisiti di legittimità.
In aggiunta alla definizione legale, tuttavia, la circolare 3/2004 specifica ulteriormente entrambi i requisiti.
Quanto al primo (la temporaneità), si chiarisce che il concetto di temporaneità "coincide con quello di non definitività, indipendentemente dall’entità del periodo di distacco, fermo restando che tale durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante".
Quanto al secondo (l’interesse), si prevede che "il distacco può essere legittimato da qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui. La sussistenza di tale interesse deve inoltre protrarsi per tutto il periodo di durata del distacco".
Si tratta di precisazioni importanti, solo in parte già fornite dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito. Da un lato, infatti, l’orientamento della giurisprudenza era piuttosto consolidato (e da un passato non così prossimo) nel ritenere che la temporaneità del distacco significhi non definitività, e che la durata del distacco debba coincidere con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore di un terzo. (Cass. civ. 15.6.1992, n. 7328; di recente, Corte d’Appello Milano, 4.5.2001). Per contro, sugli specifici requisiti della durata del distacco e del tipo di interesse del datore distaccante, si registravano soluzioni contrastanti. La giurisprudenza aveva infatti ritenuto, in alcune occasioni, che l’istituto del distacco richiedesse anche l’"occasionalità della dislocazione del lavoratore presso altro datore di lavoro" (Cass. 24.10.2000, n. 13979) o che non "qualsivoglia interesse fattuale al cd. distacco possa giustificare il medesimo" (Trib. Venezia, 20.11.1995).
La circolare n. 3/2003, al contrario, afferma che la non definitività è indipendente dall’entità del periodo di distacco, purché sia "funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante".
Detto altrimenti, il datore di lavoro può avere interesse ad una lunga o lunghissima permanenza del proprio dipendente presso terzi, per motivi o con modalità tutt’altro che occasionali.
Allo stesso modo, come si desume dalla nuova circolare, qualunque interesse può essere alla base del provvedimento di distacco, e non solo un interesse qualificato o particolarmente meritevole di tutela. "In tale ottica", afferma la circolare in commento, la legge Biagi "legittima le prassi di distacco all’interno dei gruppi di impresa, le quali corrispondono a una reale esigenza di imprenditorialità, volta a razionalizzare, equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende che fanno parte del gruppo". Anche in questo caso "interesse del distaccante e temporaneità sono requisiti essenziali per la legittimità del distacco". Più precisamente, "mentre il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione ai fini di lucro, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata".
Distacco e differenza con la somministrazione
Il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione ai fini di lucro. Il distaccante soddisfa un interesse produttivo al buon andamento della società controllata o partecipata.
Trattamento economico
Ma non è tutto, in quanto la circolare n. 3/2004 si occupa infatti anche del trattamento economico, normativo, e contributivo del distacco infragruppo.
Sul punto, oltre a ribadire la previsione della legge Biagi, secondo la quale gli oneri del trattamento economico e normativo restano a carico del distaccante che ne è esclusivo responsabile nei confronti del lavoratore, la circolare riferisce della prassi, ormai consolidata, del rimborso di tali oneri da parte del distaccatario, rammentando che la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha ritenuto che il rimborso al distaccante del trattamento economico non ha alcuna rilevanza ai fini della qualificazione del distacco genuino (Cass. civ., S.U., 13.4.1989, 1751). Piuttosto, afferma la circolare, poiché il lavoratore distaccato esegue la sua prestazione anche nell’interesse del distaccatario, la scelta del rimborso rende più lineare e trasparente l’imputazione reale dei costi sostenuti da ogni singola società. In tal senso, "l’importo del rimborso non può superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante".
Il regime contributivo
Sul fronte contributivo e assicurativo, inoltre, la circolare ribadisce in parte principi già enunciati in precedenti circolari: il distaccante è titolare del trattamento contributivo, da adempiere con riferimento all’inquadramento della sede di provenienza; il premio per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali è a carico del distaccante ma è calcolato sulla base dei premi e della tariffa applicati al distaccatario (cfr. circolari Min. lav nn. 4 e 58 del 1994).
Il datore di lavoro distaccante rimane responsabile, in caso di rivalsa dell’Istituto, in occasione di un infortunio sul lavoro che integri un’ipotesi di reato e che sia avvenuto presso il distaccatario incaricato della direzione e della sorveglianza del lavoro in base all’art. 10 Dpr 1124/1965. È possibile, tuttavia, un diverso accordo tra le parti.
Il consenso del lavoratore distaccato
Così chiariti i profili economici, normativi e contributivi, la circolare affronta l’ipotesi racchiusa nell’art. 30, comma 3, del Dlgs n. 276/2003, precisando innanzitutto che il consenso del lavoratore al distacco che comporti un mutamento di mansioni "vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni nell’ipotesi in cui, pur in assenza di demansionamento, vi sia una specializzazione e/o una riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio professionale del lavoratore".
Distacco a più di 50 Km
La circolare in esame sottolinea altresì che il riferimento alle "comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive" per il distacco che avvenga in un’unita produttiva a più di 50 Km di distanza dalla sede di provenienza, "non comporta l’applicazione della disciplina del trasferimento". Si tratta di una precisazione che, se pur parziale, è quanto mai opportuna, dal momento che il tenore letterale della riforma Biagi poteva autorizzare ad un’interpretazione che ravvisasse, in tale specifica ipotesi, una trasformazione del distacco in trasferimento ("Quando comporti un trasferimento a un’unita produttiva sita a più di 50 km ... il distacco può avvenire solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive o sostitutive", cfr. art. 30, comma 3, Dlgs n. 276 del 2003; la giurisprudenza, come noto, ha invece sempre ritenuto illegittimo il trasferimento del lavoratore disposto a seguito di distacco presso altra società del gruppo (cfr., per tutte: Trib. Milano, 23.12.2000). Nonostante tale precisazione, tuttavia, la circolare non afferma alcunché in merito ai motivi della diversa disciplina del distacco che avvenga ad una distanza maggiore di 50 km (l’unico che è lecito intuire è quello dei maggiori disagi per il distaccato), né alcuna esemplificazione delle citate ragioni tecniche, organizzative e produttive o sostitutive.
Distacco parziale
Da ultimo, la circolare apre la possibilità di un distacco parziale (possibilità per il lavoratore distaccato di svolgere la propria attività lavorativa anche parzialmenate presoso il distaccatario e continuando a svolgere presso il distaccante la restante parte di prestazione lavorativa).
Sostituzione di lavoratore distaccato
La circolare in oggetto autorizza il distaccante ad assumere con contratto a termine un altro lavoratore ove sussistano le esigenze che legittimano l’apposizione del termine in base alle previsioni del Dlgs 368/2001.
Osservazioni conclusive
In definitiva, si può concludere che la circolare n. 3/2004 offre ulteriori margini di flessibilità al datore di lavoro assistiti dalla contemporanea previsione di precisi limiti. La definizione di temporaneità come "indipendente dalla durata del periodo di distacco", l’estensione del concetto di "interesse" del datore di lavoro, la qualificazione del consenso del distaccato quale "ratifica dell’equivalenza di mansioni" e la possibilità di sostituire con contratto a termine il distaccato, si presentano, infatti, come validi strumenti nelle mani del datore. Per contro, la precisazione che la durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante; che l’interesse del distaccante si protragga per tutto il periodo di distacco, nonché il richiamo all’assenza di demansionamento o ai requisiti di legge per la stipulazione di contatti a termine sembrano arginare correttamente il nuovo potere datoriale.
Requisiti del distacco
a) La temporaneità
b) l’interesse del distaccante
a) La temporaneità - È intesa come non definitività indipendentemente dall’entità del periodo di distacco, purché la durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante.
b) L’interesse - È inteso come qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui. La sussistenza di tale interesse deve inoltre protrarsi per tutto il periodo di durata del distacco.
Oneri economici, contributivi e assicurativi
Retribuzione e contributi: Sono a carico del distaccante e vanno adempiuti in relazione all’inquadramento del datore di lavoro distaccante
Oneri assicurativi:Sono a carico del distaccante ma calcolati sulla base dei premi e della tariffa applicati al distaccatario.
Il distaccante è responsabile, in caso di rivalsa dell’Istituto, per infortuni sul lavoro che integrino ipotesi di reato avvenuti presso il distaccatario. È possibile un diverso accordo tra le parti.

L’istituto del comando
L’art. 56 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 («Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato»), prevedeva l’istituto del comando, ovvero che «l’impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra Amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell’Amministrazione cui l’impiegato stesso appartiene» (primo comma), comando che poteva essere «disposto, per tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza» (secondo comma); nel mentre, l’art. 57 disciplinava il trattamento economico del personale comandato, prevedendo che doveva provvedere alla spesa «direttamente ed a proprio carico l’Ente presso cui detto personale va a prestare servizio» (terzo comma).
L’attuale disciplina contrattuale del comparto regioni-autonomie locali non prevede nessuna norma specifica al riguardo. Il CCNL siglato il 22 gennaio 2004 (quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003) ha preso in considerazione la particolare situazione del personale comandato in relazione però a due distinti profili della disciplina del rapporto di lavoro: le progressioni economiche orizzontali e verticali (vedi art. 19: “Partecipazione del personale comandato o distaccato alle progressioni orizzontali e verticali”).
Come deve interpretarsi tutto ciò? Qual è l’attuale disciplina da applicarsi al personale comandato?
È stata la giurisprudenza di merito che ha costruito l’istituto del comando per il personale del sistema pubblico sulla base di due articoli del codice civile: l’art. 2103, contenente la disciplina sulla «prestazione del lavoro» e l’art. 2104, che regola la «diligenza del prestatore di lavoro».
Invero, ogni lavoratore alle dipendenze di una pubblica Amministrazione può essere comandato dal proprio datore di lavoro a prestare servizio temporaneamente presso un altro datore di lavoro, nell’ambito dell’esercizio unilaterale del potere direttivo ai sensi del citato art. 2104 c.c. Anche se il comando può soddisfare le esigenze organizzative di entrambi i datori di lavoro, la giurisprudenza ha chiarito che debba essere presente e determinante l’interesse del titolare del rapporto ad utilizzare il lavoratore presso un altro soggetto beneficiario della prestazione. Non è, inoltre, necessario il consenso da parte del lavoratore, ma è sempre deciso d’autorità dal titolare del rapporto, anche se è evidente che il consenso dato dallo stesso lavoratore rende meno conflittuale tale procedura.
Il comando di un dipendente destinato a prestare la propria attività presso un datore di lavoro diverso da quello d’appartenenza non comporta la nascita di un nuovo rapporto di impiego con l’Ente destinatario della prestazione, ma si verifica solamente una modificazione temporanea ed oggettiva del rapporto di lavoro originario. In altre parole, l’Ente originario rinuncia alle prestazioni del suo dipendente che sono invece rese per conto del soggetto di destinazione, al quale viene delegata una porzione del potere direttivo nonché gestionale (ferie, permessi, ecc.) nei confronti del personale in posizione di comando. Non può essere diversamente, in quanto questi ultimi poteri attengono alla sfera operativa per lo svolgimento della prestazione.
L’art. 19 del CCNL del 22 gennaio 2004 soprarichiamato ribadisce il diritto del dipendente a partecipare, sempre e in ogni caso, alle selezioni sia orizzontali che verticali previste per la generalità del personale. Si tratta, in realtà, di una disposizione ovvia e inutile, in quanto non poteva essere diversamente, dato che il lavoratore continua ad essere dipendente a tutti gli effetti dell’Ente d’appartenenza. Per consentire l’effettiva realizzazione di tale diritto del dipendente comandato è previsto che l’Ente d’appartenenza debba concordare con l’Ente utilizzatore le modalità per acquisire da questo le informazioni e le eventuali valutazioni concernenti il lavoratore comandato che, alla luce delle regole adottate dallo stesso Ente di appartenenza in materia di progressioni orizzontali e verticali, siano necessarie per consentire la sua effettiva partecipazione alle stesse.
L’Ente che utilizza funzionalmente il personale comandato è tenuto a rimborsare all’Ente di appartenenza il trattamento fondamentale, secondo le modalità e la tempistica opportunamente e preventivamente concordate tra i due enti. Per quanto concerne il trattamento economico accessorio (produttività collettiva, pagamento ore di straordinario, indennità di maneggio valori, reperibilità, ecc.) l’ARAN, nella relazione illustrativa al CCNL 22 gennaio 2004, ha sostenuto che debba essere erogato direttamente dal datore di lavoro che ne utilizza le prestazioni, secondo le regole e modalità fissate dalla propria contrattazione decentrata integrativa, sopportandone quindi i relativi oneri. Trattasi di una disposizione di difficile (per non dire impossibile) applicazione, in quanto ci troveremmo di fronte a due uffici del personale appartenenti a due enti diversi (come si attuerebbe la classificazione previdenziale del lavoratore? E come avverrebbe la suddivisione del pagamento degli oneri contribuitivi?) tenuti a liquidare, l’uno il trattamento fondamentale, l’altro il trattamento accessorio spettanti allo stesso dipendente. Più facile (come avviene nella realtà quotidiana) è concordare tra i due enti che la corresponsione dell’intera busta paga sia di spettanza dell’Ente d’appartenenza dietro comunicazione mensile dell’importo dovuto da parte dell’Ente utilizzatore del dipendente, e il relativo rimborso.
Ma nei casi in cui venga meno il requisito della temporaneità e vi sia rispondenza al triplice interesse del dipendente, dell’Amministrazione di appartenenza e di quella di destinazione, l’utilizzazione del dipendente deve mutarsi necessariamente in prestazione di attività lavorativa a titolo definitivo, con inserimento in ruolo per effetto della mobilità esterna volontaria presso quella di destinazione. In altri termini, il trasferimento, o passaggio diretto, attualmente regolato dall’art. 30 del D.L.vo n. 165/2001, può essere attuato solamente tramite un accordo trilaterale, cioè con il consenso dell’Amministrazione ricevente (che deve disporre di un posto vacante di pari categoria), dell’Amministrazione cedente e del dipendente interessato. Giuridicamente si configura come una cessione di contratto (art. 1406 c.c. cioè la cessione ad altri della complessa posizione che un contraente ha rispetto a obblighi e diritti nell’ambito di un contratto sinallagmatico) in quanto ad un datore di lavoro ne subentra un altro. Con questo istituto si viene incontro alle esigenze di razionalizzazione dell’organizzazione e di efficienza della pubblica Amministrazione: se l’attività del dipendente è utile per soddisfare un fabbisogno professionale (che si è dimostrato duraturo) dell’Amministrazione di destinazione è opportuno che la sua professionalità sia dalla stessa acquisita, con la copertura del relativo posto in organico.
Altro problema è stabilire se sia possibile disporre il comando da o presso un’azienda privata. Orbene, se la fonte per la disciplina del comando deve essere individuata nel codice civile, dobbiamo ritenere che non sussistono vincoli o prescrizioni che possano circoscrivere il comando stesso alle sole pubbliche amministrazioni dovendosi, invece, ritenere praticabile anche una mobilità temporanea da e verso aziende private. Saranno i soggetti interessati al comando a definire consensualmente le condizioni e i tempi della utilizzazione del lavoratore e l’accollo dei relativi oneri finanziari; il tutto con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001

Libertà di Stampa

In Italia la libertà di stampa è sancita dall'Art. 21 della Costituzione (anche se l'associazione Reporter Senza Frontiere ha sospettato alcune limitazioni durante i vari governi di Silvio Berlusconi tra fine anni '90 ed inizio anni 2000).
Non in tutti i paesi del mondo l'informazione è protetta da una carta dei diritti o da articoli specifici della costituzione relativi alla libertà della stampa. Ad esempio l'Australia non ha nessun articolo nella sua costituzione e neanche una "carta dei diritti" che tuteli il diritto alla libertà di stampa.
Ex art. 21 Cost. la libertà di manifestazione del pensiero è conferita a tutti (anche stranieri). Possibilità dunque di manifestare il proprio pensiero con la parola lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. Trattasi di un diritto, questa volta, che adempie ad una fondamentale funzione sociale negli stati a democrazia pluralista : la libera formazione della pubblica opinione che a sua volta, sotto un determinato profilo, si identifica con la volontà popolare. Compresi in tale diritto anche il c.d. diritto al silenzio (di non manifestare il proprio pensiero) e la facoltà ad informare (libertà di informazione). Discusso invece è il diritto all'informazione. Unici limiti :
• la riservatezza e l’onorabilità della persona. Ci sono norme penali che puniscono i reati di diffamazione, oltraggio ed ingiuria e norme civili con misure preventive e sanzionatorie a tutela dei diritti della personalità.
• il buon costume,essendo vietate le manifestazioni di pensiero che offendono il comune senso del pudore e la decenza
• il segreto giudiziario per proteggere la reputazione degli imputati e garantire il buon andamento dei processi
• il segreto di Stato a tutela di interessi militari, diplomatici o di sicurezza
• apologia di reato intesa come comportamento idoneo a provocare delitti.
Parlando di stampa ( il legislatore costituzionale non ha preso in considerazione gli altri moderni mezzi di comunicazione di massa ) l'art. 21 Cost. prevede il divieto di ogni forma di autorizzazione preventiva e di censura mentre il sequestro degli stampati può avvenire solo per atto motivato della autorità giudiziaria. Problemi riguardo la stampa in ordine al segreto istruttorio. Per la televisione nel '76 si è abolito il monopolio pubblico purché le reti private fossero autorizzate dallo stato e non eccedenti gli ambiti locali. Infine per tutelare il c.d. diritto d'accesso ai suddetti mezzi di comunicazione di tutte le forze politiche, sociali, culturali, si è istituita nel '75 una commissione interparlamentare.
La libertà di stampa è una delle garanzie che un governo democratico, assieme agli organi di informazione (giornali, radio, televisioni, provider internet) dovrebbe garantire ai cittadini ed alle loro associazioni, per assicurare l'esistenza di una stampa libera, con una serie di diritti estesi principalmente ai membri delle agenzie di giornalismo, ed alle loro pubblicazioni.
Si estende anche al diritto all'accesso ed alla raccolta d'informazioni, ed ai processi che servono per ottenere informazioni da distribuire al pubblico.

Le attribuzioni governative

Il governo per realizzare le sue finalità connesse all’approvazione del suo programma politico da parte del parlamento, si avvale di una serie di attribuzioni che sono:
1. competenze di indirizzo politico come ad esempio l'approvazione dei disegni di legge d'iniziativa del governo, l'approvazione dei bilanci per la loro presentazione al parlamento, le proposte di scioglimento dei consigli regionali, l'impugnativa delle leggi regionali davanti alla corte costituzionale o davanti al parlamento per contrasto di interessi, le deliberazioni in tema di trattati internazionali e di politica estera.
2. competenze amministrative normalmente attribuite ai ministri eccetto quelle di cosiddetta alta amministrazione per la loro importanza politica che vengono devolute al consiglio dei ministri (es. nomina di ambasciatori, prefetti, consiglieri di stato o della corte dei conti). Ma sono anche di alta amministrazione le deliberazioni compiute dai comitati interministeriali.
3. competenze normative che possono essere a livello legislativo o subordinato alle leggi ordinarie del parlamento. Si avranno in generale decreti presidenziali formalmente emanati dal p.d.r. anche se il contenuto è deliberato dal consiglio dei ministri o dai singoli ministri e sottoposti a registrazione da parte della corte dei conti, decreti ministeriali o interministeriali emanati dai ministri.
Competenze legislative (normative) del governo
l'art. 70 Cost. attribuisce l'esercizio della funzione legislativa collettivamente alle due camere ma in determinati casi, in deroga a ciò, agli art. 76 e 77 Cost. si prevede che il governo possa porre in essere decreti aventi forza di legge ordinaria attraverso pur sempre un controllo parlamentare ex ante o ex post.
Si distinguono:
• DECRETI LEGISLATIVI O LEGGI DELEGATE che possono definirsi ordinanze giuridiche aventi efficacia di legge formale emanate dal governo in base ad una delega del parlamento nei limiti stabiliti dall'art. 76 Cost.
• DECRETi LEGGE O ORDINANZe DI NECESSITA'
Ai sensi dell'art. 77 Cost. il governo, in caso di necessità o di urgenza, adotta sotto sua responsabilità provvedimenti provvisori aventi forza di legge che devono essere presentati alle camere il giorno stesso per la loro conversione in legge. A tale fine le camere vengono convocate e si riuniscono entro 5 giorni (anche se sciolte). I decreti legge perdono efficacia ex tunc, fin dal momento della loro entrata in vigore, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla pubblicazione .
Il decreto legge è deliberato dal consiglio dei ministri ed emanato dal capo dello stato e deve inoltre contenere la indicazione della necessità e della urgenza che lo hanno causato e la clausola della presentazione al parlamento per la conversione in legge.
DECRETI LEGISLATIVI O LEGGI DELEGATE che possono definirsi ordinanze giuridiche aventi efficacia di legge formale emanate dal governo in base ad una delega del parlamento nei limiti stabiliti dall'art. 76 Cost.
La delega del parlamento è conferita con legge formale ordinaria che conferisce la competenza al consiglio dei ministri.
Lo art. 76 Cost. pone limiti all'esercizio della potestà delegata: a)temporali, deve essere fissato nella legge di delega il termine entro il quale la legge delegata può essere emanata. Ai sensi della l. n.400/88 se il termine finale eccede i due anni il governo deve chiedere il parere delle camere sugli schemi dei decreti delegati; b)di competenza, salvo l'eccezione prevista all'art. 79 Cost. (amnistia e indulto) la legislazione delegata può essere esercitata unicamente dal governo; c)di contenuto, l'oggetto della delegazione deve essere specificamente determinato nella legge di delega; d)di finalità, occorrendo che nella legge di delega siano specificate le linee e i principi generali che debbono guidare il governo nel disciplinare la materia oggetto di delegazione; e)formali, perché i decreti legislativi sono emanati con decreto del presidente della repubblica. Al pari delle leggi del parlamento è inserito nella raccolta ufficiale di esse e pubblicato ai fini della entrata in vigore nella gazzetta ufficiale.
Il motivo per cui si ricorre al decreto legislativo è evidentemente quello di legiferare con rapidità. Vi si ricorre in genere per es. in materia di predisposizione di codici per determinate materie e per la redazione di testi unici.

Referendum

La parola referendum riprende il gerundivo neutro latino del verbo refero ed indica lo strumento attraverso cui il corpo elettorale viene consultato direttamente su temi specifici; esso è uno strumento di democrazia diretta, consente cioè agli elettori di fornire - senza intermediari - il proprio parere su un tema oggetto di discussione.
Si differenzia dal plebiscito, in quanto il suo uso è regolamentato e può anche essere di uso frequente.
Il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare, sancita all'art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana.
L'esito referendario, espressione di questa sovranità, è una fonte del diritto primaria che vincola i legislatori al rispetto della volontà del popolo.
Forme e limiti di questa sovranità sono regolati dalla Costituzione dalle successive norme che stabiliscono le procedure referendarie e le materie che non sono sottoponibili a referendum.
In presenza di nuova legge che non rispetti l'esito referendario, i soggetti autorizzati (magistrati, politici, associazioni di cittadini) possono ricorrere alla Corte Costituzionale per ottenere l'abrogazione della legge.
La ratifica di trattati internazionali e, in particolare, l'adesione a organizzazioni inter-nazionali e sovra-nazionali sono compiti del Parlamento, non sottoponibili a consultazione referendaria. Nella maggioranza dei Paesi europei invece devono essere sottoposti a consultazione popolare, poiché l'adesione comporta una cessione e limitazione della sovranità.
Secondo la giurisprudenza costituzionale italiana, il referendum abrogativo non è ammissibile in caso di norme collegate ad impegni comunitari, quali regolamenti Ue di immediata attuazione o leggi italiane che recepiscono una direttiva.
Nell'Unione europea non esiste l'istituto del referendum abrogativo nè può chiedersi alla Corte di Giustizia la disapplicazione di una direttiva in uno Stato membro perché questa confligge con la sua Costituzione.
La Costituzione italiana prevede numerosi tipi di referendum: quello abrogativo di leggi e atti aventi forza di legge (art. 75), quello sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale (art. 138), quello riguardante la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni (art. 132, c. 1), quello riguardante il passaggio da una Regione ad un'altra di Province o Comuni (art. 132, c.2). Inoltre prevede, all'art. 123 c. 1, che gli statuti regionali regolino l'esercizio del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione.
Altri referendum a livello comunale e provinciale sono poi previsti da fonti sub-costituzionali.
Il 2 giugno 1946 in Italia si svolse il primo referendum istituzionale. Gli italiani furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia.
Il referendum può definirsi come atto normativo con forza legislativa conferito alla volontà popolare. Si distingue tra :
Referendum statali, referendum regionali, territoriali.
I referendum statali si distinguono a loro volta in referendum abrogativi e referendum confermativi.

Referendum abrogativo: ex art. 75 Cost., su richiesta di 500000 elettori o di 5 Consigli Regionali è indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione parziale o totale di una legge o di un atto avente valore di legge.
Non possono essere sottoposte a referendum abrogativo:
- le leggi di bilancio
- le leggi di amnistia e di indulto
- le leggi di ratifica dei trattati internazionali
- le leggi tributarie
Possono parteciparvi tutti i cittadini che possono essere elettori alla camera dei deputati.
Procedimento del referendum abrogativo:
a) Iniziativa per la raccolta delle firme da parte dei promotori
b) Deposito delle sottoscrizioni presso la cancelleria della corte di cassazione
c) Accertamento della legittimità della richiesta effettuato per la parte procedurale dalla stessa Corte di cassazione, per l'ammissibilità costit. da un organo denominato "ufficio centrale per il referendum".
d) Indizione della votazione, previa delibera del Consiglio dei ministri con decreto del Presidente della Repubblica.
e) Votazione e scrutinio
f) Dichiarazione del risultato. Nel caso questo sia favorevole il capo dello Stato, previa attestazione dell'ufficio centrale per il referendum, dichiara con decreto l'abrogazione delle
disposizioni di legge oggetto del referendum. L'abrogazione decorre di regola dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto nella gazzetta ufficiale. Per ragioni di opportunità si può far decorrere fino a massimo 60 giorni dalla pubblicazione.
per quanto riguarda i rischi di intralcio del referendum nel funzionamento delle istituzioni si ovvia soprattutto con limitazioni cronologiche e impedendo più di una convocazione all'anno. Il referendum non ha corso quando durante lo svolgimento del procedimento la disposizione relativa venga abrogata o modificata sostanzialmente.
Referendum conservativo: è detto anche referendum costituzionale. E' regolato dall'art. 138 Cost. e per le modalità attuative dalla legge n. 352 del 1970. E' detto confermativo perché consiste in una conferma popolare delle leggi di revisione od integrazione costituzionale approvate nella seconda votazione solo a maggioranza assoluta da parte dei componenti delle camere e non con la maggioranza qualificata dei due terzi, nel caso in cui entro tre mesi dalla pubblicazione provvisoria di dette leggi modificative ne facciano richiesta
come minimo un quinto dei componenti di una camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali.
Il referendum confermativo consiste dunque in un concorso popolare alla determinazione di una volontà di legislazione costituzionale come aggravamento della procedura di revisione. Così la legge di revisione costituzionale appare come un atto complesso dovuto all'incontro di più volontà normative.
Per quanto riguarda il referendum regionale esso può essere indetto per: - approvare la fusione di regioni esistenti o per la creazione di nuove regioni - per abrogare o meno leggi o regolamenti regionali (l'ammissibilità dipende dallo Statuto) -per l'istituzione di nuovi comune e il cambio delle loro denominazioni (consultivi).

Il procedimento legislativo e le sue fasi

E' noto che il potere legislativo è identificato con il parlamento, ed infatti lo art. 70 Cost. afferma che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere. Le leggi ordinarie emanate dal parlamento nella gerarchia delle fonti sono subordinate solo alle leggi costituzionali (e quindi esse come tali sono inidonee a riformare la costituzione, anche se è lo stesso parlamento a potere modificare la costituzione con opportuno procedimento distinto da quello di emanazione delle leggi ordinarie). In ogni caso ha dunque anche la c.d. competenza delle competenze ed è detto allora organo sovrano. Ne consegue che deroghe alla competenza legislativa del parlamento possono essere previste solo da leggi costituzionali.
Tuttavia in determinati casi il ricorso alla legge ordinaria emanata dal parlamento per la disciplina di una determinata materia è esplicitamente previsto e obbligatorio per la Costituzione. Si tratta delle materie in cui sussiste una riserva di legge, che può essere:
• assoluta : tutta la normativa della materia deve risultare da legge, es. la previsione di un fatto come reato.
• relativa : quando si consente che la legge stabilisca solo i principi fondamentali e si permette che altra normativa di dettaglio sia attuata tramite regolamento o atto sublegislativo.
I FASE: INIZIATIVA LEGISLATIVA
Il potere di iniziativa legislativa si esplica nella presentazione di un disegno di legge redatto in articoli ad una delle due camere del parlamento avente la conseguenza di attivare il procedimento legislativo.
Si discute se il titolare dell'iniziativa abbia la pretesa di vedere la sua proposta oggetto di una deliberazione a carattere definitivo. La risposta è certo positiva anche se nella pratica, per vari motivi e non solo per la mole di lavoro parlamentare, vengono attuate varie tecniche di insabbiamento costituzionalmente scorrette che vanificano tale pretesa.
Titolari del potere di iniziativa legislativa sono (art. 71, 99, 121 Cost):
- il governo (l'esecutivo senza tale potere non potrebbe attuare il suo programma politico)
- i membri delle camere
- il popolo (mediante la proposta da parte di almeno 50.000 elettori di un progetto redatto in articoli)
- il consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (ovviamente con il limite delle materie di ec. e lav.)
- i consigli regionali, nelle materie di interesse regionale.
II FASE DELL'ESAME O DISCUSSIONE
Una volta presentato il progetto di legge ad uno dei rami del parlamento il presidente della camera cui sia stato presentato lo assegna alla commissione competente per materia in modo che possa riferire all'assemblea dopo un esame preliminare (la commissione si riunisce in sede referente).
- Non possono però essere assegnati alle commissioni progetti di legge che riproducono sostanzialmente il contenuto di progetti in precedenza respinti se non siano trascorsi 6 mesi dalla data della reiezione.
- Oltre al parere della commissione competente può essere facoltativamente richiesto l'esame di un'altra commissione.
- Sempre e obbligatoriamente l'esame spetta anche alla commissione bilancio e programmazione qualora il progetto di legge preveda entrate o spese.
Le commissioni, dopo l'esame, nominano un relatore per riferire alla assemblea ed eventualmente un comitato o sottocommissione per sostenere la discussione.
I gruppi dissenzienti possono designare anche propri relatori di minoranza. La discussione in assemblea verte sia sulle linee generali che sui singoli articoli.
La discussione può portare verso tre direzioni:
1. approvazione
2. rigetto
3. approvazione con emendamenti
Emendamento è ogni modifica del testo di un disegno di legge, e potere di emendamento è il potere di modificare il testo mediante l'approvazione di una proposta di emendamento.
L'emendamento in qualità di parziale modifica di un disegno di legge non può essere totale e imponente una regolamentazione opposta.
Gli emendamenti si distinguono in:
- soppressivi, aggiuntivi e sostitutivi, dal punto di vista sostanziale;
- divisivi, riunitivi e traspositivi, dal punto di vista formale.
Lo stesso emendamento può essere suscettibile di subemendamento.
In sede di discussione possono sorgere vari problemi (per es. proposizione di emendamenti già respinti) sull'ammissibilità degli emendamenti, e a riguardo compito delicato di decisione spetta al presidente della camera.
Il progetto di legge approvato da una camera viene trasmesso all'altra dov'è sottoposto al medesima iter procedurale al fine di pervenire ad un approvazione nell'identico testo. Qualora si abbia una approvazione anche parzialmente difforme il progetto viene ritrasmesso alla prima camera che lo ha approvato e fin che non venga approvato nel medesimo testo da entrambe le camere fa la spola da una all'altra (si dice fa da navetta con il rischio che non si pervenga ad una approvazione entro la fine della legislatura con effetto ghigliottina. Il che descrive una tecnica di insabbiamento verificantesi qualora la maggioranza non voglia assumersi la responsabilità politica di un esplicito rigetto).
III FASE COSTITUTIVA
Con la approvazione del medesimo progetto da parte di entrambe le camere si forma la volontà legislativa del parlamento. Per le deliberazioni di approvazione è sufficiente una maggioranza semplice (la maggioranza dei presenti, da qui il valore dell'astensione).
Sistemi di votazione parlamentare:
1. a scrutinio palese : a) per alzata di mano, b) per divisione nell'aula, c) per appello nominale, d) con procedimento elettronico.
2. a scrutinio segreto : a) a mezzo di palline b/n, b)con deposito di scheda, c) con procedimento elettronico.
IV FASI DI INTEGRAZIONE DELL'EFFICACIA DELL'ATTO LEGISLATIVO
Perché la volontà legislativa sia accertata e produca effetti giuridici occorre la promulgazione e la pubblicazione della legge ai sensi art. 73 e 74 Cost.
Con la promulgazione il Capo dello Stato attesta solennemente che la legge è stata approvata con regolare procedimento e la rende esecutoria.
Con la pubblicazione della legge nella gazzetta ufficiale si consente la conoscenza o meglio la presunzione di conoscenza (non potrà essere addotta la ignoranza della legge, a meno che, come sancito in tema di legge penale dalla Corte Costituzionale (1988) il suo contenuto non sia di complessa individuazione da parte dei destinatari).
La legge entra in vigore dopo un periodo di vacatio legis dalla data di pubblicazione di solito di 15 giorni (art. 73 Cost.)
Si ricordi che l'atto di promulgazione non ha natura legislativa e quindi la promulgazione (salvo la limitata facoltà di rinvio ex art. 74 Cost.) è atto dovuto a meno che la promulgazione non costituisca un caso limite di attentato alla costituzione.
Promulgazione di una legge.
Costituisce la fase di integrazione dell’efficacia dell’atto legislativo
Perché la volontà legislativa sia accertata e produca effetti giuridici occorre la promulgazione e la pubblicazione della legge ai sensi art. 73 e 74 Cost.
Con la promulgazione il Capo dello Stato attesta solennemente che la legge è stata approvata con regolare procedimento e la rende esecutoria.
Con la pubblicazione della legge nella gazzetta ufficiale si consente la conoscenza o meglio la presunzione di conoscenza (non potrà essere addotta la ignoranza della legge, a meno che, come sancito in tema di legge penale dalla Corte Costituzionale (1988) il suo contenuto non sia di complessa individuazione da parte dei destinatari).
La legge entra in vigore dopo un periodo di vacatio legis dalla data di pubblicazione di solito di 15 giorni (art. 73 Cost.)
L'atto di promulgazione non ha natura legislativa e quindi la promulgazione (salvo la limitata facoltà di rinvio ex art. 74 Cost.) è atto dovuto a meno che la promulgazione non costituisca un caso limite di attentato alla costituzione. Il Capo dello Stato può anche rinviare la legge al Parlamento,secondo l'art. 74, con un messaggio contenete le proprie ragioni per tale decisione,ma se il Parlamento ripresenta legge questa volta deve essere promulgata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Questo rinvio è comunque l'unico strumento che ha il Capo dello Stato per interporsi nel procedimento legislativo

giovedì 22 ottobre 2009

UGL SICILIA: CONDORELLI, CHIESTA ATTUAZIONE DELLE LINEE GUIDA PER RIORDINO FORMAZIONE PROFESSIONALE

L’annuncio dell’Assessore Di Mauro sull’inserimento nel Bilancio regionale del prossimo anno delle somme occorrenti per coprire interamente le attività formative del 2010 e l’apprezzamento dichiarato a mezzo stampa dall’Assessore Gentile in merito alla copertura finanziaria non ci convincono – dichiara Giuseppe Messina, Coordinatore regionale Enti formativi di Ugl Sicilia . La nostra O.S. ha condiviso un percorso di riordino del settore con il Presidente della Lombardo e con l’Amministrazione attraverso la sottoscrizione di un documento programmatico che, nel riscrivere le regole, impegnava il Governo a pubblicare l’Avviso per il Piano Regionale dell’offerta Formativa che avrebbe garantito l’avvio delle attività nel gennaio prossimo. Niente di tutto questo, emerge uno scontro, che sembra rientrato, sulla metodologia di confronto che appartiene solo alla politica. Gli operatori del settore – conclude Messina – hanno bisogno di certezze sul loro futuro e la formazione professionale in Sicilia ha necessità di indossare una nuova veste, puntando su innovazione, efficienza ed efficacia attuando il processo di riforma organico.
Non c’è più tempo per discutere – dichiara Giovanni Condorelli, Segretario Generale Ugl Sicilia – il Governo passi alla fase operativa sbloccando l’Avviso ed autorizzando gli enti formativi a programmare le attività secondo le Linee Guida condivise e sottoscritte meno di 20 gironi fa, il settore necessità di un riordino non più rinviabile per garantire risposte certe ad un mondo del lavoro cambiato radicalmente e restituire serenità agli operatori del settore.
Palermo, 22 ottobre 2009

Attuazione - Legge Brunetta "riforma della P.A."

Giorno 09/10/2009 il Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato il decreto legislativo di attuazione della Legge Brunetta di riforma della Pubblica Amministrazione (Legge n. 15 del 4 marzo 2009).
E’ l’ennesima riforma del lavoro pubblico/privatizzato (comunemente chiamata riforma Brunetta) che tende ad ottimizzare, la produttività del lavoro pubblico l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, in forza di principi e di criteri posti come fondamento dalla legge 4 marzo 2009 n°15 .
Al fine di armonizzare la disciplina del lavoro pubblico con quello privato, si va a scombussolare l’intero sistema delle relazioni sindacali, intervenendo direttamente sulle procedure di contrattazione collettiva, nonchè sull’intera revisione del complesso sistema retributivo dei dipendenti introducendo il concetto di performance individuale ed organizzativa.
Il decreto de quo oblitera definitivamente il concetto di produttività individuale e collettiva, introdotti dal D.lgs n°29/ 93, che ci hanno accompagnato nell’arco dell’intero processo di contrattualizzzazione della pubblica amministrazione.
La performance sostituisce la produttività individuale e collettiva con conseguente distribuzione del trattamento accessorio, del tutto innovativa che interessa tutta la riforma della pubblica amministrazione.
Il nuovo sistema della perfomance, passa attraverso una modifica sostanziale del trattamento economico dell’art 45 del D.lgs n°165/01(cfr.art 55 Decreto legislativo), disposizione che contiene le voci che compongono la retribuzione dei lavoratori del pubblico impiego. A tal proposito il decreto appare particolarmente innovativo atteso che, introducendo un nuovo comma 3 , prevede tra le voci del trattamento accessorio, subito dopo il trattamento fondamentale, rispettivamente quelle della performance individuale e organizzativa . Quanto alla prima in realtà va rilevato nel decreto l’assenza di una esplicita definizione di performance individuale, evincibile però da una attività interpretativa sistematica degli articoli relativi al ciclo della performance che caratterizzano in sostanza “le fasi della misurazione e valutazione della medesima. Primo tra tutti l’art 9 c.2 del D.Lgs da cui si ricava che” la misurazione e valutazione della performance è collegata al raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali e alla qualità del contributo assicurato alla performance dell’unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali ed organizzativi”; ed ancora dal c.3 dell’art 9 che si riferisce all’oggetto della prestazione da valutare,e che stabilisce espressamente che non sono considerati ai fini della performance i periodi di astensione obbligatoria per maternità o per congedo parentale. Di particolare interesse poi l’art 10 lett.b che in tema di “relazione sulla performance”, fa esplicito riferimento ai risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse… Di non facile interpretazione operativa poi la definizione di performance organizzativa formulata nel nuovo c.3 lett b dell’art.45 del D.lgs n°165/01 “con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione”. Del tutto innovativo è poi nel rinnovellato art 45 la introduzione,dopo il c.3 con il c“3-bis di un’ulteriore strumento di incentivazione finalizzato “a premiare il merito e il miglioramento della performance”, e cioè quei risultati eccedenti rispetto a quelli programmati, assegnati e conseguiti dal dipendente e che si caratterizza come istituto ad applicazione solo eventuale, atteso che la sua distribuzione è vincolata alla sussistenza di apposite risorse da destinare ad hoc in sede di rinnovo contrattuale compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica.
Interagiscono più soggetti su base piramidale per il funzionamento del ciclo della performance ( art 4) Titolo II.
Viene istituita la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Funzione pubblica e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere alle funzioni di valutazione, alla misurazione della performance, nonché di gestione e valutazione del personale. Ogni amministrazione, singolarmente o in forma associata, si dota di un Organismo indipendente di valutazione della performance.
Estrema rilevanza assume l’organo centrale con competenze di carattere generale (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche) esso, organismo centrale che indirizza, coordina e sovrintende all’esercizio delle funzioni di valutazione svolge l’importante funzione di ”definire i parametri e i modelli di riferimento del sistema di misurazione e valutazione della performance” ( cfr.art 13 c.4 e c.5 lett.g ) che ogni pubblica amministrazione sarà obbligata a predisporre ( cfr art 3 c.2) ovviamente fissando le fasi, i tempi, le modalità, i soggetti e le responsabilità del processo di misurazione e valutazione della performance; inoltre la medesima dovrà anche prevedere delle procedure di conciliazione relative all’applicazione del sistema di misurazione e valutazione della performance, nonché delle modalità di raccordo e di integrazione con i sistemi di controllo esistenti.
Altra novità rilevante è il c.d piano della performance, documento programmatico triennale, da aggiornare annualmente entro il 31 gennaio, e da adottare in coerenza con il ciclo della programmazione finanziaria, e che definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione nonché gli obiettivi individuali assegnati al personale dirigenziale e non ed i relativi indicatori ( cfr. art 10 c.1 lett a).
Il decreto legislativo prevede inoltre l’istituzione di organismi indipendenti di valutazione della performance, che sostituendo tra l’altro i servizi di controllo interno di ciascuna amministrazione di cui al D.lgs n°286/99, svolgeranno l’importante potere di validazione della relazione sulla performance annuale, nonché quella a consuntivo riferita ai risultati gestionali indicati dal Dirigente, sulla cui base provvederà alla formulazione di una graduatoria con collocazione in tre diversi livelli di merito del personale dipendente finalizzata alla distribuzione del trattamento accessorio che influenzerà anche la sfera giuridica del rapporto di lavoro.
In ogni amministrazione, l’Organismo indipendente, sulla base dei livelli di performance attribuiti ai valutati compila una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale e di quello non dirigenziale.
Con questa graduatoria:
a) il venticinque per cento del personale è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al salario accessorio collegato alla performance individuale;
b) il cinquanta per cento è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;
c) il restante venticinque per cento è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l’attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale.
d) Sono previste deroghe alla percentuale del venticinque per cento in misura non superiore a cinque punti percentuali in aumento o in diminuzione, con corrispondente variazione compensativa delle percentuali.
Vengono istituiti nuovi strumenti per premiare il merito e le professionalità:
a) il bonus annuale delle eccellenze assegnato al personale collocato nella fascia di merito alta per non più del 5%;
b) il premio annuale per l’innovazione pari al bonus annuale di eccellenza per ciascun dipendente premiato;
c) le progressioni economiche attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione;
d) le progressioni di carriera dal 1° gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica e, quindi, le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso.

mercoledì 21 ottobre 2009

D. attuazione legge 4/03/09 n. 15 Titolo IV - Sanzioni disciplinari

CAPO V - Sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici
Art. 67 (Oggetto e finalità)
1. In attuazione dell’articolo 7 della legge 4 marzo 2009, n. 15, le disposizioni del presente Capo recano modifiche in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche in relazione ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo.
2. Resta ferma la devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative al procedimento e alle sanzioni disciplinari, ai sensi dell’articolo 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Art. 68 (Ambito di applicazione, codice disciplinare, procedure di conciliazione)
1. L’articolo 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente: “Art. 55-(Responsabilità, infrazioni e sanzioni, procedure conciliative) - 1. Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all’articolo 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2.
2. Ferma la disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, ai rapporti di lavoro di cui al comma 1 si applica l'articolo 2106 del codice civile. Salvo quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. La pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione del codice disciplinare, recante l’indicazione delle predette infrazoni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all’ingresso della sede di lavoro.
3. La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all’esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la conclusione.
4. Fermo quanto previsto nell’articolo 21, per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente i sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3, si applicano, ove non iversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19, comma 3.”.
Art. 69 (Disposizioni relative al procedimento disciplinare)
1. Dopo l’articolo 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001 sono inseriti i seguenti: “Art. 55 - bis (Forme e termini del procedimento disciplinare)
1. Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma
2. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 4. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo.
2. Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l’addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa. Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa.
3. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all’interessato.
4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’articolo 55- ter. Il termine per la contestazione dell’addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa.
5. Ogni comunicazione al dipendente, nell’ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell’addebito, il dipendente può indicare, altresì, un numero di fax, di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilità. In alternativa all’uso della posta elettronica certificata o del fax ed altresì della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. È esclusa l’applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo.
6. Nel corso dell’istruttoria, il capo della struttura o l’ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attività istruttoria non determina la sospensione del procedimento, né il differimento dei relativi termini.
7. Il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell’incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall’autorità disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto all’applicazione, da parte dell’amministrazione di ppartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell’illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.
8. In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un’altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest’ultima. In tali casi i termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a decorrere alla data del trasferimento.
9. In caso di dimissioni del dipendente, se per l’infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Art. 55-ter-(Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale)
1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all’articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’autorità competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.
4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell’istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell’articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l’autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale.
Art. 55-quater- (Licenziamento disciplinare)
1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
2. Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54.
3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso.
Art. 55-quinquies - (False attestazioni o certificazioni)
1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.
2. Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione.
3. La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all’assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati né oggettivamente documentati.
Art.55-sexies-(Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare)-
1. La condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54, comporta l’applicazione nei suoi confronti, ove già non ricorrano i presupposti per l’applicazione di un’altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità del risarcimento.
2. Fuori dei casi previsti nel comma 1, il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell’ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall’amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, è collocato in disponibilità, all’esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilità, e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all’articolo 33, comma 8, e all’articolo 34, commi 1, 2, 3 e 4. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l’eventuale ricollocamento. Durante il periodo nel quale è collocato in disponibilità, il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti.
3. Il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresì la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo.
4. La responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave.
Art. 55- septies - (Controlli sulle assenze)
Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale.
2. In tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all’Istituto nazionale della previdenza sociale, secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato dalla normativa vigente, e in particolare dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall’articolo 50, comma 5-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, introdotto dall’articolo 1, comma 810, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dal predetto Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, all’amministrazione interessata.
3. L’Istituto nazionale della previdenza sociale, gli enti del servizio sanitario nazionale e le altre amministrazioni interessate svolgono le attività di cui al comma 2 con le risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
4. L’inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione medica concernente assenze di lavoratori per malattia di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta l’applicazione della sanzione del licenziamento ovvero, per i medici in rapporto convenzionale con le aziende sanitarie locali, della decadenza dalla convenzione, in modo inderogabile dai contratti o accordi collettivi.
5. L'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono stabilite con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.
6. Il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora nonché il dirigente eventualmente preposto all’amministrazione generale del personale, secondo le rispettive competenze, curano l’osservanza delle disposizioni del presente articolo, in particolare al fine di prevenire o contrastare, nell’interesse della funzionalità dell’ufficio, le condotte assenteistiche. Si applicano, al riguardo, le disposizioni degli articoli 21 e 55-sexies, comma 3.
Art. 55-octies (Permanente inidoneità psicofisica)
1. Nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, l’amministrazione può risolvere il rapporto di lavoro. Con regolamento da emanarsi, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati, per il personale delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonché degli enti pubblici non economici:
a) la procedura da adottare per la verifica dell’idoneità al servizio, anche ad iniziativa dell’Amministrazione;
b) la possibilità per l’amministrazione, nei casi di pericolo per l’incolumità del dipendente interessato nonché per la sicurezza degli altri dipendenti e degli utenti, di adottare provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio, in attesa dell’effettuazione della visita di idoneità, nonché nel caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo;
c) gli effetti sul trattamento giuridico ed economico della sospensione di cui alla lettera b), nonché il contenuto e gli effetti dei provvedimenti definitivi adottati dall’amministrazione in seguito all’effettuazione della visita di idoneità;
d) la possibilità, per l’amministrazione, di risolvere il rapporto di lavoro nel caso di reiterato rifiuto, da parte del dipendente, di sottoporsi alla visita di idoneità.
Art. 55-novies (Identificazione del personale a contatto con il pubblico)
1. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che svolgono attività a contatto con il pubblico sono tenuti a rendere conoscibile il proprio nominativo mediante l’uso di cartellini identificativi o di targhe da apporre presso la postazione di lavoro.
2. Dall’obbligo di cui al comma 1 è escluso il personale individuato da ciascuna amministrazione sulla base di categorie determinate, in relazione ai compiti ad esse attribuiti, mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, su proposta del Ministro competente ovvero, in relazione al personale delle amministrazioni pubbliche non statali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano o di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.”.
Art. 70 (Comunicazione della sentenza)
1. Dopo l’articolo 154-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente: “Art. 154- ter (Comunicazione della sentenza) – 1. La cancelleria del giudice che ha pronunciato sentenza penale nei confronti di un lavoratore dipendente di un’amministrazione pubblica ne comunica il dispositivo all’amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del provvedimento. La comunicazione e la trasmissione sono effettuate con modalità telematiche, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, entro trenta giorni dalla data del deposito.”.
Art. 71 (Ampliamento dei poteri ispettivi)
1. All’articolo 60 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il comma 6 è sostituito dal seguente: “6. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica è istituito l’Ispettorato per la funzione pubblica, che opera alle dirette dipendenze del Ministro delegato. L’Ispettorato vigila e svolge verifiche sulla conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento, sull’efficacia della sua attività con particolare riferimento alle riforme volte alla semplificazione delle procedure, sul corretto conferimento degli incarichi, sull’esercizio dei poteri disciplinari, sull’osservanza delle disposizioni vigenti in materia di controllo dei costi, dei rendimenti, dei risultati, di verifica dei carichi di lavoro. Collabora alle verifiche ispettive di cui al comma 5. Nell’ambito delle proprie verifiche, l’Ispettorato può avvalersi della Guardia di Finanza che opera nell’esercizio dei poteri ad essa attribuiti dalle leggi vigenti. Per le predette finalità l’Ispettorato si avvale altresì di un numero complessivo di dieci funzionari scelti tra esperti del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’interno, o comunque tra il personale di altre amministrazioni pubbliche, in posizione di comando o fuori ruolo, per il quale si applicano l’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e l’articolo 56, comma 7, del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e successive modificazioni. Per l'esercizio delle funzioni ispettive connesse, in particolare, al corretto conferimento degli incarichi e ai rapporti di collaborazione, svolte anche d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Ispettorato si avvale dei dati comunicati dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'articolo 53.
L'Ispettorato, inoltre, al fine di corrispondere a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, può richiedere chiarimenti e riscontri in relazione ai quali l'amministrazione interessata ha l'obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro quindici giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall'ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell'individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all'articolo 55, per l'amministrazione medesima. Gli ispettori, nell'esercizio delle loro funzioni, hanno piena autonomia funzionale ed hanno l'obbligo, ove ne ricorrano le condizioni, di denunciare alla Procura generale della Corte dei conti le irregolarità riscontrate.”.
Art. 72 (Abrogazioni)
1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) articolo 71, commi 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
b) articoli da 502 a 507 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297;
c) l’articolo 56 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. All’articolo 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n. 97, le parole: “, salvi termini diversi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro,” sono soppresse.
Art. 73 (Norme transitorie)
1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto non è ammessa, a pena di nullità, l’impugnazione di sanzioni disciplinari dinanzi ai collegi arbitrali di disciplina. I procedimenti di impugnazione di sanzioni disciplinari pendenti dinanzi ai predetti collegi alla data di entrata in vigore del presente decreto sono definiti, a pena di nullità degli atti, entro il termine di sessanta
giorni decorrente dalla predetta data.
2. L’obbligo di esposizione di cartellini o targhe identificativi, previsto dall’articolo 55-novies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall’articolo 69 del presente decreto, decorre dal novantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto.
3. Le disposizioni di legge, non incompatibili con quelle del presente decreto, concernenti singole
amministrazioni e recanti fattispecie sanzionatorie specificamente concernenti i rapporti di lavoro del personale di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
continuano ad essere applicabili fino al primo rinnovo del contratto collettivo di settore successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
TITOLO V NORME FINALI E TRANSITORIE
Art. 74 (Ambito di applicazione)

1. Gli articoli 11, commi 1 e 3, da 28 a 30, da 33 a 36, 54, 57, 61, 62, comma 1, 64, 65, 66, 68, 69 e
73, commi 1 e 3, rientrano nella potestà legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere l) ed m), della Costituzione.
2. Gli articoli 3, 4, 5, comma 2, 7, 9, 15, comma 1, 17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26, 27, comma 1, e l’articolo 62, commi 1-bis e 1-ter recano norme di diretta attuazione dell’articolo 97 della Costituzione e costituiscono principi generali dell’ordinamento ai quali si adeguano le regioni e gli enti locali, anche con riferimento agli enti del Servizio sanitario nazionale, negli ambiti di rispettiva competenza.
3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sono determinati, in attuazione dell’articolo 2, comma 5, della legge 4 marzo 2009, n.15, limiti e modalità di applicazione delle disposizioni, anche inderogabili, del presente decreto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche con riferimento alla definizione del comparto autonomo di contrattazione collettiva, in considerazione della peculiarità del relativo ordinamento, che discende dagli articoli 92 e 95 della
Costituzione. Fino alla data di entrata in vigore di ciascuno di tali decreti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri continua ad applicarsi la normativa previgente.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono determinati i limiti e le modalità di applicazione delle diposizioni dei Titoli II e III del presente decreto al personale docente della scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché ai
tecnologi e ai ricercatori degli enti di ricerca. Resta comunque esclusa la costituzione degli Organismi di cui all’articolo 14 nell’ambito del sistema scolastico e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale.
5. Le disposizioni del presente decreto legislativo si applicano nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le attribuzionipreviste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione.