domenica 27 settembre 2009

Zucchero - Torno A Casa

Torna a casa
E metti via
Ogni aspirazione che hai
Torna a casa
Che oramai
Ti sei fottuto lo sai... yeh
Torna a casa
Vai regolare
Che tanto non c'e' piu' niente da fare
Torna a casa
Hai perso il treno
Almeno adesso lo sai almeno
Che c'e' ancora lei
Lei che crede in te
Vai e non voltarti!
Torna a casa
E' gia' mattina
Anche se non hai niente da dire
Torna a casa
Hey bambina
Raccogli i pezzi di questo cuore.
Torna a casa
Che sei una roccia
Puoi cambiarti i vestiti e la faccia
Torna a casa
Con l'ultimo treno
Almeno adesso lo sai almeno
Che c'e' ancora lei
Lei che crede in te
Dai eh non odiarti!
Eh vai eh non voltarti
Ogni cosa si aggiusta
Eh dai non odiarti!
Zucchero

giovedì 17 settembre 2009

Pensione di vecchiaia a 65 anni entro il 2018

Dal prossimo anno dunque le donne nel pubblico impiego, salvo coloro che hanno maturato il diritto al 31/12/2009, andranno in pensione di vecchiaia a 61 anni, che diventeranno 65 nel 2018. In otto anni si arriverà così a quell'equiparazione richiesta da tempo dall'Unione Europea. L'aumento dell'età pensionabile avverrà gradualmente, come anticipato nelle scorse settimane, in dieci anni: uno ogni due. Dal 1 gennaio 2015 poi, l'età pensionabile potrà adeguarsi alle aspettative di vita, con un aumento di massimo tre mesi riferito al primo quinquennio antecedente. È quanto prevede un emendamento presentato dal governo al decreto legge anticrisi, che adegua i requisiti di età anagrafica per l'accesso delle pensioni all'incremento della speranza di vita calcolato dall'Istat.
Una sorta di "finestra mobile", fa sapere il ministro del Lavoro Sacconi, che sarebbe rivista di poche mensilità ogni cinque anni, che diventerebbero pochi giorni l'anno.
Con questo meccanismo, spiega Sacconi, "la sostenibilità risulterebbe la migliore o tra le migliori di Europa".

LA DECONTRIBUZIONE DEL PREMIO VARIABILE:


LA DECONTRIBUZIONE DEL PREMIO VARIABILE:
UNA SVOLTA NEL MONDO DEL LAVORO
PER DARE IMPULSO ALLO SVILUPPO E ALL’OCCUPAZIONE

Con il collegato previdenziale alla Finanziaria (legge 247 /07) del primo gennaio 2008 si è voluto dare un impulso concreto allo sviluppo e all’occupazione, in un periodo laddove la crisi economica attanaglia i più grandi paesi occidentali. Circolari, messaggi e precisazioni dell’INPS specificano ed entrano nel merito delle nuova normativa che sostituisce la legge n.135/97.
Questo nuovo strumento costituisce e rappresenta per le aziende e indirettamente per i lavoratori una buona opportunità per poter contribuire ad invertire la rotta sul fronte occupazionale. Vogliamo offrire ai nostri dirigenti territoriali e aziendali, una serie di informazioni essenziali per poter accedere ed usufruire dei benefici che offre questa legge attraverso la concessione di uno sgravio contributivo sugli importi previsti dalla contrattazione collettiva aziendale e territoriale o meglio di secondo livello.
La presente comunicazione vuole essere un’ ausilio affinché i nostri dirigenti possano meglio conoscere ed accostarsi a questa normativa che dal primo gennaio 2008 ha sostituito la legge 135/97.
Al riguardo segnaliamo in particolare il decreto interministeriale del 7 maggio 2008 che prevede uno sgravio contribuivo del 3 % della retribuzione contrattuale annua dei lavoratori.
Per accedere allo sgravio le aziende presentano all’INPS una domanda utilizzando lo schema predisposto dall’Istituto, che comunque va inoltrata esclusivamente per via telematica. Le aziende possono sfruttare la normativa anche per lavoratori iscritti ad altri Enti previdenziali. Alla procedura si accede dalla sezione online del sito www.inps,it sezione ‘‘ Servizi per le aziende e consulenti’’.
Per meglio interpretare la portata dei benefici, l’INPS ha proposto un esempio particolare tarato su un’azienda industriale. In un’azienda con oltre 50 dipendenti, ad un operaio con una retribuzione annua ipotetica di 24.000,00 euro è corrisposto un premio di 1.000,00 euro.
Per quantificare lo sgravio si dovrà operare come segue:
- retribuzione presunta € 25.000 comprensivi di premio
- sgravio contributivo, sulle erogazioni previste dalla contrattazione di 2° livello, nei limiti del 3% della retribuzione imponibile annua del lavoratore – pari al 25 % della quota di contribuzione datoriale dovuta sull’erogazione e totale per la quota del lavoratore.
- tetto dell’erogazione per la quale è possibile chiedere lo sgravio
€ 25.000,00 x 3% = € 750,00
- sgravio a favore dell’azienda = 25 della percentuale a proprio carico
750,00 x 25 % = € 188,00
- sgravio a favore del lavoratore dell’industria = 9,49 % , pari all’intera quota a suo carico
750,00 x 9,49 = € 71,00
- sgravio complessivo richiesto = € 259,00; €. 188,00 azienda e € 71,00 lavoratore.
Per eventuali altri chiarimenti rivolgersi all’Ufficio per le Rsu della Confederazione:
Mario Gaetani – tel. 06 32482281 – drsu2@ugl.it
Responsabile : Antonio Scolletta - tel. 06 32482263 – ascolletta@ugl.it

LA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO - NUOVO MODELLO CONTRATTUALE

Casta scorrere il testo dell’Accordo sulla riforma degli assetti contrattuali, sottoscritta lo scorso 15 aprile, per rendersi conto degli enormi spazi di partecipazione e di contrattazione che esso offre in materia di contrattazione aziendale o territoriale. Proprio alle Rsu viene offerto un ruolo centrale nelle future relazioni industriali e sindacali. Ne parliamo con Antonio Scolletta, di recente divenuto responsabile dell’Ufficio confederale delle Rsu/Rsa.
Qual è il primo obiettivo di questa fase per la Ugl?
“Sicuramente dobbiamo approfondire ogni singola questione sia tecnica che giuridica, così come sarà necessario mettere in rete le migliori prassi: dovremo, in altre parole, fare sistema.”
Quali sono le reazioni a caldo degli Rsu Ugl?
“Girando come sto facendo (a proposito, ringrazio gli amici di Torino, Milano, Genova, Bologna, Trento, Venezia e Latina per la calorosa accoglienza riservatami e per la massiccia partecipazione) ho colto i segni distintivi di una grande passione e di una forte determinazione a voler fare presto e bene. La tutela dell’occupazione, i miglioramenti economici, nuove ipotesi di welfare locale o aziendale e il rilancio della nostra economia passano anche - lo dico senza enfasi - attraverso la capacità di adempiere al nostro mandato con passione, determinazione, costanza d’impegno e con grande professionalità. Occorrerà metterci il cuore e il cervello, come ho avuto modo di dire durante i nostri incontri.”
In proposito segnaliamo che le forme di decontribuzione fiscale e contributiva che accompagnano il nuovo modello di contrattazione aziendale – che lega il premio variabile ad elementi che siano in grado di elevare la competitività delle nostre aziende – sono un ulteriore incentivo sia per i lavoratori che per le aziende. Al riguardo spero che risulterà utile una scheda sintetica che troverete in questa stessa sezione.
Che cosa cambia d’ora in poi?
“Con il nuovo modello negoziale muta il rapporto di forza tra lavoro e impresa e passa il principio, che dovrà divenire prassi in ogni segmento produttivo, secondo cui una parte della ricchezza prodotta in azienda grazie all’operosità, all’ingegno, e alla flessibilità di impiego del lavoratore, deve finire nelle tasche di quest’ultimo come salario aggiuntivo, nelle forme del premio variabile e/o di servizi di welfare (dagli asili nido, ai buoni spesa, dai ticket per i mezzi di trasporto, al contributo per le spese sanitarie). Il secondo livello di contrattazione, affidato alle Rsu e agli organismi territoriali dell’Ugl, è destinato a divenire il vero motore occupazionale e solidaristico anche per tutti quei lavoratori che, soprattutto in un momento di grave crisi economica e finanziaria come quello attuale, restano drammaticamente privi delle più elementari tutele. Spetta perciò a tutti noi rendere esigibili queste opportunità, negoziando le migliori condizioni contrattuali a livello aziendale o territoriale per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici che guardano all’Ugl come al sindacato del fare”.

Area delle Politiche Confederali Ugl
Ufficio per le RSU/RSA

DALLA NORMA GIURIDICA ALL’ORDINAMENTO

L’insieme di norme costituisce l’ordinamento giuridico, le norme sono in rapporto tra loro. La parola diritto oltre ai suoi innumerevoli significati,ha anche quello di ordinamento giuridico,nelle espressioni “diritto canonico”..”diritto italiano”.. Dai trattati del Thon del Binding risulta che il vero e proprio elemento primo della realtà giuridica è la norma di per sé stessa considerata, e l’ordinamento no era oggetto autonomo di studio. I primi a richiamar l’attenzione sulla realtà dell’ordinamento giuridico furono i teorici dell’istituzione. IL titolo del libro del Santi Romano è l’ordinamento giuridico..abbiamo valutato che la teoria dell’istituzione è la continuazione della normativa e le due non sono in opposizione. Secondo me la teoria dell’istituzione ha avuto il grande merito di capire che il diritto non è solo norma, ma che essa è legata ad altre in un sistema normativo. Tra i meriti di Kelsen, vi è quello di aver avuto piena consapevolezza dell’importanza dei problemi connessi all’esistenza di questo sistema;infatti nella sua opera “teoria generale del diritto e dello stato”, la trattazione della teoria del diritto è divisa nelle parti nomostatica e nomodinamica, relative rispettivamente alla norma e all’ordinamento. Ordinamento giuridico e definizione del diritto
Abbiamo capito che non si può dare definizione al diritto ponendoci dal punto di vista della norma presa isolatamente La norma è resa efficace dalla complessa organizzazione che è l’ordinamento giuridico. Prendendo ad esame la singola norma non si è potuto trarre alcun elemento caratteristico per distinguerla da altre categorie di norme(morali..sociali). Nell’insieme dei tentativi compiuti per caratterizzare il diritto attraverso qualche elemento della norma, consideriamo 4 criteri:
formale (si ritiene di poter definire il diritto per un elemento strutturale,abbiamo visto che in base alla struttura, le norme si dividono in positive-negative;categoriche-ipotetiche;
generali-individuali. Ma la prima e la terza non distinguono in quanto possono trovarsi in altri ordinamenti),
materiale(criterio che si vorrebbe trarre dal contenuto delle norme cioè dalle azioni possibili di regolamentazione, ma il campo delle azioni possibili è vasto e riguarda anche le regole di condotta. I tentativi si richiamavano alle azioni interne e esterne; soggettive e intersoggettive),del sogg.che pone la norma(teoria del diritto come regola coattiva e teoria del diritto come emanazione del potere sovrano convergono.Una volta definito il diritto col potere sovrano,si è già fatto il salto dalla norma all’ordinamento in quanto ciò che sovranità in una società viene definito attraverso l’ordinamento giuridico;dunque la sovranità concretizza non una norma ma l’ordinamento), del destinatario (può presentare le due varianti del suddito e del giudice. Per quanto riguarda i sudditi, l’affermazione è accompagnata dal fatto che si dice giuridica la norma che è seguita con convinzione o credenza della sua obbligatorietà. Ma questo sentimento è il sentimento che la singola norma fa parte di un’organismo più complesso dal quale trae il suo carattere specifico. Per quanto riguarda le norme rivolte al giudice, la sua figura è intesa come colui cui una norma dell’ordinamento attribuisce il potere e dovere di stabilire il diritto).In tutti i casi siamo rinviati dalla singola norma al sistema normativo.Dobbiamo abbracciare l’ordinamento.
La nostra definizione di diritto:
Abbiamo determinato la norma giuridica con i caratteri dell’esteriorità e dell’istituzionalizzazione onde la definizione di norma giuridica come quella norma”la cui esecuzione è garantita da sanzione esterna istituzionalizzata. Quindi parlando di istituzionalizzazione pur partendo dalla singola norma si giunge all’ordinamento. Ciò che noi usiamo chiamare diritto è un carattere di certi ordinamenti normativi più che delle loro norme. Così il problema della definizione di diritto diviene il problema di definizione di un’ordinamento normativo. In questo caso per definire la norma giuridica basterà dire che è quella appartenente ad un ordinamento giuridico. Ma cosa si intende per ordinamento giuridico? Il dire che la sanzione organizzata lo distingua sappiamo che ciò riguarda proprio l’ordinamento nel complesso,in quanto vi sono norme non sanzionate. Anche considerando l’efficacia come carattere per distinguere l’ordinamento,è giusto dire che essa nel complesso è carattere costitutivo del diritto. L’efficacia è fondamento della validità dell’ordinamento.Una norma consuetudinaria diviene giuridica quando entra a far parte di un’ordinamento. Esistono norme giuridiche perché esistono ordinamenti giuridici distinti da non.giuridici e non viceversa.Il termine “diritto”quindi indica un sistema normativo,non un tipo di norma.Pluralità di norme: Non esistono ordinamenti formati da una sola norma, poiché bisognerebbe immaginarne una che comprenda tutte le azioni possibili e le qualificasse con una sola modalità. Esistono solo 3 possibili di ord. con 1 sola norma:
1—tutto è permesso (negazione stessa di ordinamento giuridico, in quanto la definizione di stato di natura è negazione di lrdin civile)
2—Tutto è proibito (impossibile vita sociale umana)
3—tutto è comandato (impossibile la vita umana in quanto e azioni possibili sono in conflitto tra loro). Al contrario è concepibile un’ordinamento che comandi o vieti una sola azione,il che genera il permesso per tutte le altre. Nell'ordinamento esistono norme di condotta, di struttura o di competenza (prescrivono condizioni e procedimenti attraverso i quali vengono emanate norme di condotta valide). E’ concepibile un’ordinamento composto da una sola norma di struttura?Generalmente lo si considera monarchia assoluta —“E’ obbligatorio tutto ciò che il sovrano comanda”…e comunque non implica il fatto che vi siano norme di condotta:esse sono tante quanti i comandi del sovrano.Esiste il problema dell’unità e della gerarchia delle norme;si tratta di sapere se l’ordinamento costituisca oltre ad unità un sistema. Il problema delle antinomie giuridiche. Il problema della completezza e delle lacune dell’ordinamento. Il problema del rinvio di un’ordinamento all’altro.

CLASSIFICAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE

Norme generali e singolari: Le norme si distinguono per contenuto,per il modo in cui sono poste,per i destinatari. Quindi prendiamo in esame il criterio formale, ossia il criterio che ha a riguardo la struttura logica della proposizione prescrittivi. Distinzione elementare è quella tra proposizioni universali e singolari (in cui il soggetto rappresenta singolo individuo o una classe) e riferita alle norme giuridiche ha duplice applicazione. Ogni proposizione prescrittiva, e quindi anche le norme giuridiche sono formate da due elementi: soggetto (a cui la norma si rivolge) o destinatario, e l’oggetto della prescrizione(azione prescritta). Per interpretare una norma quindi dobbiamo guardare a questi due elementi… soggetto e azione possono presentarsi in norma giuridica sia in forma singolare che universale. In questo modo si ottengono 4 proposizioni giuridiche:
1) prescrizioni con destinatario universale
2) prescrizioni con destinatario singolare
3) prescrizioni con azione universale
4) prescrizioni con azione singolare.
Generalità e astrattezza: Esse ci aiutano a vedere limiti e difetti della dottrina. Infatti questa dottrina è imprecisa perché non chiarisce di solito se i 2 termini siano usati come sinonimi o con significati differenti… d’altro lato è fuorviante poiché lascia credere non vi siano norme giuridiche individuali e concrete. Riteniamo opportuno chiamare generali le norme universali rispetto al destinatario,e astratte quelle universali rispetto all’azione. Così consigliamo di parlare di norme generali per quelle rivolte a ad una classe di persone.. e astratte quando ci troviamo di fronte a norme che regolano un’azione tipo. Alle norme generali si contrappongono quelle individuali,e a quelle astratte le concrete,o detto meglio ordini. Quindi accanto a norme generali e astratte troviamo comandi e ordini. Ritengo che la considerazione di generalità e astrattezza come requisiti essenziali della norma giuridica, abbia origine ideologica, ritengo cioè che dietro a questa teoria vi sia un giudizio di valore..” è bene che le norme giuridiche siano generali e astratte”..per corrispondere all’ideale di giustizia,cioè pensiamo siano più che altro requisiti della norma giusta per cui tutti gli uomini sono uguali.La prescrizione generale ha quindi per fine l’uguaglianza. ”LA LEGGE E UGUALE PER TUTTI” è la generalità delle norme, cioè il fatto che esse si rivolgono alla totalità dei cittadini, o ad un tipo astratto di operatore nella vita sociale. La prescrizione astratta ha anche il fine della certezza,ossia la determinazione degli effetti che l’ordinamento giuridico attribuisce ad un dato comportamento,in modo che il cittadino sia in grado di sapere in anticipo le conseguenze delle proprie azioni. LA GENERALITA DELLA NORMA E’ GARANZIA DI UGUAGLIANZA..E L’ASTRATTEZZA DI CERTEZZA. Bisogna ci siano norme concrete per attuare le astratte. Nella realtà combinandosi i 4 requisiti di generalità,astrattezza,individualità e concretezza,le norme giuridiche possono essere di 4 tipi.
Norme affermative e negative:
Tutti gli uomini sono mortali
Tutti gli uomini non sono mortali
o limitare l’universalità: non tutti gli uomini sono mortali.
possiamo negare insieme universalmente e neghiamo l’universalità: non tutti gli uomini non sono mortali.. ovvero alcuni uomini sono mortali. Per indicare queste 4 proposizioni usiamo i termini latini di: omnis, nullus, non omnis, nonnullus. La seconda è il contrario della prima;la terza è la contraddittoria della prima e la quarta è la contraddittoria della seconda. Ogni proposizione ha la sua contraria e la sua contraddittoria. Due proposizioni si dicono contrarie quando non possono essere entrambe vere,ma entrambe false; contraddittorie quando non possono essere né entrambe vere né entrambe false; subcontrarie quando possono essere entrambe vere, ma non entrambe false; subalterne quando la verità della prima si può dedurre dalla verità della seconda,ma non viceversa. Tra due contrari vi è rapporto di incompatibilità,tra due contraddittori di alternativa,tra due subcontrari di disgiunzione,tra il subalternante e il subalternato di implicazione. Per applicare ciò alle prescrittive, partiamo da un’affermativa universale e col diverso uso del segno non otteniamo altri 3 tipi di prescrizioni:
1— tutti devono fare x ---
2—nessuno deve far x (divieto)
3—non tutti devono fare x (permissiva negativa)
4—nono tutti devono non fare x (permissiva positiva).
Tra obbligo e permesso vi è la differenza di due negazioni. Dal quadrato risulta che le prescrittive affermative e negative(ossia comandi e divieti) sono contrari; le permissive affermative e negative sono subcontrari;mentre comandi e permessi negativi e divieti e permessi positivi son tra loro contraddittori.
Norme categoriche e ipotetiche:Esiste una terza distinzione formale:quella basata sulla forma del discorso. Qui occorre distinguere norme categoriche e ipotetiche. Norma categorica è quella che stabilisce che una certa azione deve esser compiuta; l’ipotetica è quella che stabilisce che una certa azione deve esser compiuta se si verifica una certa condizione. Le ipotetiche possono essere di due tipi a secondo che la sanzione consista nel non raggiungimento del fine desiderato oppure nel raggiungimento di un fine diverso da quello desiderato: le prime son dette strumentali, le seconde finali.

Le norme a catena e il processo all’infinito

Per il Thon ” Ogni attribuzione di diritti riposa su di un complesso sistema di imperativi, dei quali il successivo ha sempre per condizione la disobbedienza del precedente, ma l’ultimo quando sia trasgredito, rimane in ogni caso privo di conseguenze”. Ma è impossibile che una norma impotente acquisti valore solo per ciò che nel caso della sua trasgressione ad essa si connetta un’altra norma potente. Se è vero che una norma è giuridica solo se sanzionata, anche la norma che stabilisce la sanzione sarà giuridica solo se sanzionata.. si arriverà per forza al punto in cui vi sarà una norma sanzionatoria che non sarà a sua volta sanzionata. Quindi la norma primaria presuppone la secondaria, la quale è a sua volta primaria rispetto alla propria norma sanzionatoria che è secondaria rispetto a questa e terziaria rispetto alla prima..si arriva al punto in cui la norma è solo secondaria e non anche primaria.. cioè al punto in cui non si può procedere all’infinito, ma si arriverà ad una norma non sanzionata. Questa obiezione tende a dimostrare che la sanzione organizzata non può comprendere ogni norma.
Possiamo dire che la tesi di norme non sanzionate non importa rifiuto della tesi sanzionista,la quale si fonda sull’ordinamento preso nel complesso,inoltre abbiamo già detto che la sanzione implica la presenza di un’apparato coercitivo,il quale implica la presenza di potere di coazione che non può esser a sua volta costretto. Inoltre si fa comunque affidamento sull’adesione spontanea, e poi un’ordinamento con tutte le norme superiori sanzionate sarebbe basato unicamente sulla forza. Forza e consenso sono i due fondamenti del potere,e la presenza di norme superiori non-sanzionate rispecchia le situazioni storiche:le norme non sanzionate rappresentano quel minimo di consenso senza il quale nessuno stato potrebbe sopravvivere.

giovedì 10 settembre 2009

Excursus storico del - Principio di Separazione tra Politica e Gestione

La legge 08.06.1990 n. 142, all’art.51 comma 2, per la prima volta sanciva la distinzione tra politica e gestione precisando che, in base ad essa: " spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge o lo statuto non riservino espressamente agli organi di governo dell’Ente".
Non passano molti anni che il D.Lgs. 3 febbraio 1993 n.29, all’art.3 estende il principio a tutte le pubbliche amministrazioni affermando tra l’altro che: "gli organi di governo definiscono gli obiettivi ed i programmi da attuare e verificano la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite".
Lo stesso art.3 D.Lgs. 29/1993 riservava, invece, ai dirigenti (responsabili della gestione e dei relativi risultati) "la gestione finanziaria tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo".
Negli anni successivi è un continuo susseguirsi di interventi del legislatore rivolti a rafforzare ulteriormente detto principio.
Il D.Lgs. 29/1993 art.3 veniva, poi, più volte modificato ( cfr. art.2 D.Lgs. 470/1993, art.3 D.Lgs 80 del 1998, art.1 D.Lgs. 387/1998 e D. Lgs. 165/2001).
Il principio generale di distinzione tra funzione strategica e funzione gestionale, sancito dal citato art. 3 D. Lgs. 29/1993, viene esteso attualmente alle autonomie locali dall’art. 107 del D. Lgs. 8 agosto 2000 n. 267, che rinvia alla fonte statutaria regolamentare solo per la precisazione delle modalità di attuazione.
Questo principio risente della particolare collocazione della dirigenza stessa, che rappresenta il momento di collegamento tra politica e amministrazione e, quindi, il punto di emersione delle contraddizioni che connotano tale relazione. Nei moderni ordinamenti, infatti, sussiste una contraddizione di fondo tra due valori inevitabilmente confliggenti: da una parte, il principio di sovranità popolare, che impone un controllo dell’amministrazione da parte di organi che siano provvisti di legittimazione democratica e, dunque, espressione di rappresentanza politica; dall’altra il principio di imparzialità, che, invece, postula un’amministrazione al servizio dell’intera collettività e non di una determinata maggioranza politica.
Pur all’interno di tale dicotomia, nell’ordinamento italiano, l’assetto delle relazioni tra politici e burocrati è sempre stato connotato da elementi di specificità.
Art. 4. Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità.
(Art. 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 2 del D.Lgs. n. 470 del 1993 poi dall'art. 3 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998)
1. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;
d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;
g) gli altri atti indicati dal presente decreto.
2. Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa,della gestione e dei relativi risultati.
3. Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2 possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.
4. Le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall'altro.
Tratto da una pubblicazione di LUIGI OLIVERI
Illegittime disposizioni organizzative che subordinino l'attività gestionale dei dipendenti degli enti locali ad informazioni preventive e direttive degli assessori.
Lo chiarisce la sentenza 25 luglio 2006, n. 3225 del Tar Toscana, sezione II che ha annullato una deliberazione di giunta comunale, con la quale alcune attività del corpo di polizia municipale erano state sostanzialmente scorporate dalla funzione di direzione del comandante, ed assegnate direttamente ad alcuni agenti, che le avrebbero dovuto esercitare riferendo preventivamente agli assessori, nel rispetto delle loro direttive.
Il Tar Toscana ha inevitabilmente rilevato il contrasto insanabile tra tale delibera ed il principio di separazione delle competenze degli organi di governo rispetto a quelle degli organi di ge¬stione, sottolineando anche la mancanza di un rapporto di subordinazione gerarchica tra detti soggetti.
La sentenza, nonostante la sua sinteticità, appare estremamente rilevante, in quanto mette in luce in via espressa gli elementi maggiormente delicati del corretto rapporto tra organi politici e tecnici.
Il principio di separazione, anche se sono passati ormai 16 anni dalla sua introduzione, continua a non essere del tutto accettato dagli organi di governo e molti sono i tentativi di aggirarlo.
In particolare, si procede proprio seguendo le due strade ritenute illegittime dal Tar Toscana.
Da un lato, infatti, si tende ad enfatizzare un rapporto di gerarchia tra giunta e dipendenti, in realtà inesistente.
Proprio perché le giunte sono prive della competenza ad adottare concreti atti di gestione, assegnati in via esclusiva alla responsabilità e competenza dei dirigenti o responsabili di ser¬vizi ai sensi dell'articolo 107 del d.lgs 267/2000, esse non sono poste in posizione di gerarchia.
Infatti, il rapporto gerarchico può sussistere solo in quanto l'organo superiore e quello inferiore condividano una medesima competenza.
Meno che mai, poi, un rapporto gerarchico potrebbe intercorrere tra un singolo componente della giunta e l'organo tecnico, visto che l'assessore non assume rilievo e poteri giuridici se non agendo collegialmente nell'ambito della giunta.
L'altra strada è quella dell'informazione preventiva direttiva, che maschera, invece, veri e propri ordini di servizio e controlli sugli aspetti operativi, a loro volta illegittimi sempre perché gli organi di governo debbono fermarsi ad adottare atti di programmazione e controllo generali, non provvedimenti puntuali.
La sentenza, inoltre, afferma l'interesse ad agire del responsabile di servizio, che a segui¬to di atti della giunta surrettiziamente rivolti a contrastare col principio di separazione, ritenga lesa la propria autonomia operativa.
I dirigenti o i responsabili di servizio, dunque, dispongono dell'interesse legittimo alla corretta attuazione delle disposizioni sulle competenze degli organi, in quanto tale interesse salvaguarda il fine generale del rispetto del principio di buon andamento e della competenza ad agire degli organi, posto dall'articolo 97 della Costituzione.

venerdì 4 settembre 2009

Il Concordato Fallimentare e Concordato Preventivo

Il concordato fallimentare, che va tenuto distinto dal concordato preventivo (che costituisce una vera e propria procedura concorsuale, come stiamo per approfondire) è, ove vengano rispettate determinate condizioni, una delle forme di chiusura del fallimento. La proposta di concordato può essere presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purché i dati contabili e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all'approvazione del giudice delegato. In merito al contenuto della proposta de quo, essa può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei oppure trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, indicando le ragioni dei trattamenti differenziati dei medesimi. La proposta può anche indicare trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse oppure optare per la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma. Nel delineare le modalità di votazione e di formazione della maggioranza, l’art. 128 l.fall. stabilisce, in via generale, che il concordato è approvato se riceve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto.
Decorso il termine stabilito per le votazioni, il curatore presenta al giudice delegato una relazione sul loro esito. Se la proposta è stata approvata, il giudice delegato dispone che ne sia data immediata comunicazione al proponente, al fallito e ai creditori dissenzienti e fissa un termine per la proposizione di eventuali opposizioni. Se entro quel termine non vengono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame, provvedendo con decreto motivato e pubblicato a norma dell'articolo 17 l.fall.. Tale forma di pubblicità è funzionale anche all’eventuale proposizione del reclamo dinanzi alla corte di appello, che pronuncerà in camera di consiglio.
Gli articoli successivi si occupano di disciplinare i vari aspetti legati, rispettivamente, all’efficacia del concordato, ai suoi effetti, nonché ai casi di annullamento dello stesso, oggi previsti senza più ombra di dubbio in modo tassativo.

Il concordato preventivo
Come si è accennato all’inizio, il concordato preventivo è una delle procedure concorsuali regolate dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, in particolare al suo titolo III. Gli scopi che tale procedura si prefigge di raggiungere sono molteplici, ma la dottrina ne segnala almeno tre. In primo luogo, il concordato preventivo mira a soddisfare l’interesse del debitore ad ottenere una paralisi delle azioni esecutive nei suoi confronti, conservando, al tempo stesso, la disponibilità e l’amministrazione della sua impresa. In secondo luogo, il concordato preventivo tiene conto dell’interesse dei creditori ad evitare una lunga e dispendiosa attività liquidatoria fallimentare, conseguendo il soddisfacimento delle proprie ragioni in tempi brevi. In terzo luogo, non è certo trascurabile l’interesse pubblico a garantire continuità a un’impresa (con tutto ciò che ne consegue, anche in termini occupazionali e di riflessi sul mercato nazionale o, quantomeno, locale), a patto che questa abbia dimostrato di possedere ancora potenzialità produttive degne di fiducia.
Anche il concordato preventivo è stato preso in considerazione dal D.L.gs. n. 5/2006, il quale ha tentato di risolvere una pluralità di frizioni e di difficoltà applicative che la dottrina aveva rilevato. Senza addentrarci troppo nella disamina delle singole novità, potremmo dire, fin da ora, che l’attuale assetto normativo rende i creditori divisibili in classi, in modo da rendere più omogenea l'espressione dei loro diversi interessi nell'ambito della procedura liquidatoria. Il concordato diventa, così, lo strumento attraverso il quale la crisi dell'impresa può essere risolta anche attraverso accordi stragiudiziali che abbiano a oggetto la ristrutturazione dell'impresa, come emerge già dalla nuova rubrica del titolo III della legge fallimentare, nella quale, dopo le parole “del concordato preventivo (…)”, sono state inserite le parole “ (…) e degli accordi di ristrutturazione”.

Tipi di Concordato - Essenzialmente due tipi:
- garantito: quando è a priori garantita la soddisfazione integrale dei creditori privilegiati e della percentuale concordataria (almeno il 40%) per i creditori chirografari
La riforma fallimentare (art. 160 L.F.)ha eliminato qualsiasi riferimento alla soddisfazione integrale dei creditori privilegiati e richiede solo un piano per la soddisfazione dei creditori chirografari senza il limite del 40%
- con cessio bonorum , quando senza garanzia vengono ceduti ai creditori tutti i beni che al momento dell'omologa deve sussistere il requisito dell'idoneità degli stessi a coprire la percentuale concordataria. Tuttavia se per cause successive questa previsione non si avvera, non si ha risoluzione del concordato.
La riforma del concordato preventivo
Il decreto legge n. 35 del 2005 (cd. decreto competitività), convertito in Legge n. 80 del 14 maggio 2005, è entrato in vigore il 17 marzo 2005, trovando applicazione per tutti i procedimenti pendenti e non ancora omologati a tale data.
Il nuovo art. 160 della Legge fallimentare, così come riformulato dalla Legge n. 80 del 2005, ha introdotto nel nostro ordinamento una diversa concezione della procedura di concordato preventivo, eliminando quei requisiti di meritevolezza che facevano del concordato una soluzione alle tensioni finanziarie, non irreversibili, dell'imprenditore "onesto ma sfortunato". Una delle principali modifiche introdotte dalla riforma è l'abbandono della rigidità del principio della par condicio creditorum. Ora i creditori possono essere suddivisi in classi omogenee e le stesse possono ricevere un trattamento diverso.
Il concordato preventivo biennale
In diritto tributario si usa lo stesso termine "Concordato preventivo" per indicare tutt'altro istituto: la possibilità di determinare in via preventiva e forfettaria il carico fiscale.
La legge n. 326 del 2003 ha introdotto una forma sperimentale di concordato preventivo fiscale che interessa le annualità 2003 e 2004, che devono essere oggetto di accordo preventivo in modo congiunto. L'adesione al concordato da parte del contribuente determina una serie di benefici relativi alla determinazione agevolata delle imposte sul reddito, alla semplificazione di alcuni obblighi contabili e alla limitazione dei poteri di accertamento dell'Amministrazione finanziaria.
Condizioni per l’ammissione al concordato preventivo
L’art. 160 l.fall., che si occupa di individuare le condizioni per l'ammissione alla procedura in esame, stabilisce che l'imprenditore in “stato crisi” (intendendosi per tale anche, ma non necessariamente, lo “stato di insolvenza” di cui all’art. 5 l.fall.) ha facoltà di proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano, il quale può prevedere una serie di interventi. Il primo di questi è la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito. Altri possibili contenuti della proposta de quo sono, da una parte, l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore e, dall’altra parte, la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. L’imprenditore, infine, può proporre ai creditori un piano che preveda trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
La domanda di ammisione al concordato preventivo
Ai sensi dell’art. 161 l.fall., per accedere alla procedura in commento, è necessario avanzare specifica domanda, attraverso un ricorso sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale. All’istanza devono essere allegati, da parte del debitore, una serie di documenti, tra i quali rivestono particolare importanza: una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori (contenente, a sua volta, l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione), l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore, nonché un’idonea documentazione dalla quale si possa dedurre il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Dopo aver verificato la completezza e la regolarità della documentazione, il tribunale emette un decreto con cui dichiara aperta la procedura di concordato preventivo. Nel caso in cui siano previste diverse classi di creditori, il tribunale provvede analogamente, ma solo previa valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi. Con tale provvedimento, il tribunale provvede a delegare un giudice alla procedura di concordato e ad ordinare la convocazione dei creditori. Con il medesimo atto, inoltre, viene nominato il commissario giudiziale (il quale, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, riveste le funzioni di pubblico ufficiale, in modo assimilabile, sotto vari profili, al curatore fallimentare) e si stabilisce il termine entro il quale il ricorrente deve depositare, nella cancelleria del tribunale, la somma che si presume necessaria per l'intera procedura (cfr. art. 163 l.fall.).
Principali effetti del concordato preventivo
Il concordato preventivo produce una serie di effetti; tra questi emerge l’inizio dell’attività di vigilanza del commissario giudiziale, nonostante il debitore conservi l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa. E’ da rilevare che oggi non è più prevista la generale “direzione del giudice delegato”, ma l’autorizzazione di tale organo è necessaria affinché gli atti di straordinaria amministrazione non perdano efficacia rispetto ai creditori anteriori al concordato (anche se il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta tale autorizzazione).
Nonostante vari articoli (tra cui gli artt. 165 e 169 l.fall.) rinviino a numerose norme dettate per il fallimento, alcune regole, anche in merito agli effetti, sono del tutto peculiari del concordato preventivo. Ad esempio, a partire dalla data della presentazione del ricorso e fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti, del resto, rimangono sospese e le decadenze non si verificano. I creditori, inoltre, non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, a meno che non vi sia all’uopo una specifica autorizzazione del giudice.
Dato che durante il concordato il debitore non perde la disponibilità dei propri beni, il commissario giudiziale ha poteri meno incisivi rispetto a quelli del curatore fallimentare. Egli ha funzioni di coordinamento e controllo su tutta l'attività svolta dal debitore, collaborando con quest'ultimo nella gestione dell'attività di impresa e nell'esecuzione degli obblighi concordatari. Il commissario inoltre riferisce al giudice delegato le omissioni, le mancanze e le violazioni eventualmente riscontrate. Può essere nominato commissario chi ha i requisiti per essere curatore fallimentare (art. 163 c. 2 n. 3 che richiama gli articoli 28 e 29 L.F.). Nell'esercizio delle sue funzioni il commissario agisce quale pubblico ufficiale (art. 165 L.F.). Di seguito elenchiamo le competenze e le attività del commissario nelle diverse fasi del concordato preventivo: - Sulla base delle scritture contabili e dell'elenco dei creditori depositato dal debitore, inviare lettera a tutti i creditori mediante raccomandata in cui si comunica l'avvenuta ammissione alla procedura della società, si indica la data di adunanza innanzi al Giudice Delegato, si richiede l'espressione di voto e l'entità del credito vantato; - In presenza di immobili e beni mobili iscritti in pubblici registri eseguire la trascrizione del decreto presso gli uffici competenti; - Vigilare sull'amministrazione dei beni verificando che l'imprenditore non effettui alcun pagamento, intraprenda nuove azioni o sottoscriva nuovi contratti senza l'autorizzazione scritta del Giudice Delegato; - Redigere l'inventario del patrimonio del debitore ed una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulla proposta di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori. Tale relazione deve essere depositata in cancelleria almeno 3 giorni prima della adunanza dei creditori. - Verificare l'iscrizione della causa a ruolo. - Predisporre parere motivato da depositarsi almeno dieci giorni prima dell'udienza. Gli atti, sia commissivi che omissivi, del commissario sono impugnabili mediante reclamo ai sensi dell'art. 36 legge fallimentare.
Aspetti procedurali del concordato preventivo
Al commissario giudiziale spetta la verifica dell'elenco dei creditori e dei debitori con la scorta delle scritture contabili presentate a norma dell'art. 161; costui apporterà, così, le eventuali rettifiche che si rendessero necessarie. Successivamente, lo stesso organo comunicherà ai creditori un avviso contenente la data di convocazione dei creditori medesimi e le proposte del debitore.
Espletati i numerosi adempimenti procedurali, di cui agli artt. 171 e ss. l.fall., si riunirà l'adunanza dei creditori, presieduta dal giudice delegato, in seno alla quale il commissario giudiziale illustrerà la sua relazione e le proposte definitive del debitore. Ciascun creditore esporrà, se lo ritiene opportuno, le ragioni per le quali non ritiene ammissibile o accettabile la proposta di concordato e solleverà le contestazioni sui crediti concorrenti. Il debitore, a sua volta, potrà rispondere e contestare i presunti crediti, fornendo i dovuti chiarimenti.
L’art. 177 l.fall., nel dettare regole dettagliate sul punto, prevede, in via generale, che per l’approvazione del concordato è indispensabile il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima. Il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza dei crediti ammessi al voto, può approvare il concordato perfino se risulti il dissenso di una o più classi di creditori, a patto che la maggioranza delle classi abbia approvato la proposta di concordato; per aversi siffatto esito, tuttavia, è necessario il concorso di un’altra condizione: il tribunale deve ritenere che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Nel rispetto delle procedure e delle condizioni indicate dagli artt. 179 e ss. l.fall., poi, si provvederà all’omologazione del concordato da parte del tribunale, con decreto motivato, il quale sarà comunicato tanto al debitore quanto al commissario giudiziale. A quest’ultimo spetta il compito di darne notizia ai creditori, nonché di pubblicarlo e affiggerlo a norma dell'articolo 17 l.fall... Con il decreto di omologazione si chiude la procedura di concordato preventivo, a patto che l'omologazione stessa intervenga nel termine di sei mesi dalla presentazione del ricorso, termine prorogabile di sessanta giorni per una sola volta, con apposito decreto del tribunale (cfr. art. 181 l.fall.).
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
La riforma del 2006, come si accennava, ha introdotto alcuni articoli nell’originario impianto della legge fallimentare. Tra questi, ha richiamato l’attenzione soprattutto l’art. 182bis, in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti. A tal fine, è attribuita al debitore la facoltà di depositare un accordo di ristrutturazione dei debiti, stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
L'accordo è pubblicato nel registro delle imprese, in modo che sia i creditori che ogni altro interessato siano in grado di proporre opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione stessa. Il tribunale, una volta decise le opposizioni, procede all'omologazione con decreto motivato. L'accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese.
Effetti ed esecuzione del concordato preventivo
Ai sensi dell’art. 184 l.fall., il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato, anche se costoro mantengono inalterati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, pur restando salva la possibilità di stabilire in senso opposto nel contesto dell’accordo.
Dopo l'omologazione del concordato, il commissario giudiziale ne sorveglia l'adempimento, secondo le modalità stabilite nella sentenza di omologazione. Egli dovrà riferire al giudice ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio ai creditori. L’art. 186 l.fall., infine, si occupa di disciplinare i casi e le modalità procedurali relativi alla risoluzione e all’annullamento del concordato, operando ampi rinvii a quanto stabilito nel titolo dedicato al fallimento, precisando che, con la sentenza che risolve o annulla il concordato, il tribunale dichiara il fallimento dell’impresa interessata.